| BOLLA D’ARIA
Di Alexandra Fischer
- Ciao – mi saluta Marzia – hai saputo cosa è successo? - No – le rispondo io, rimanendo appoggiata al pilone di marmo grigio. I miei occhi vagano verso la fontana che c’è alla mia destra e poi passano al ponticello di legno che compare fra i salici piangenti del parco. - Avanti, Trude. Non fare così. - È che non mi interessa. Lasciami sola. Un tizio abbigliato da templare ci passa vicino, reggendo una coppa di latta. Lei ride, io no. Quello è l’eccentrico del villaggio, ogni giorno fa lo stesso giro. Riempie la coppa e ne trangugia un po’, portandosi via il resto. - Ce ne sono, di matti a questo mondo – commento io. - Neppure tu scherzi – mi dice Marzia, indicando la bicicletta rosa con il teschio argentato sul manubrio. - Ti pare? Ognuno ha i suoi gusti. Il templare mi guarda storto ogni volta che mi vede, ma io ho questa passione per i teschi. Dalla maglietta alla cintura dei jeans, passando per gli orecchini. - Davvero non vuoi saperlo? – insiste lei, sistemando meglio la borsa da squaw. Il suo abito frangiato e i mocassini sono l’ultima moda estiva, ma io non ho pregiudizi nei riguardi dei modaioli. Quello che mi urta di Marzia è la sua lingua lunga. Le rivolgo una delle mie occhiatacce e comincio a giocherellare con la chiave della moto. - Smettila. Mi dai sui nervi – mi risponde lei. - Vorrei andarmene – le dico, mettendo bene in evidenza il portachiavi fatto a forma di acchiappasogni. - E anche dormire – aggiungo – quindi, no, non dirmi cos’è successo. Marzia non demorde. - Vedi, riguarda anche te. I suoi occhi guizzano verso il ponte di legno circondato di salici piangenti. - L’hai vista? – mi domanda, alludendo alla fontana. - No, quella la lascio al templare. - Ti sei mai chiesta per cosa la usa? Faccio una smorfia di indifferenza. Abitiamo in una città dai grandi palazzi grigi degli Anni Sessanta, dai vetri colorati in stile Liberty. Alcuni sono nei pressi dei giardinetti nei quali ci troviamo ora lei e io e non mi interessa cosa succede là dentro. - Eh, già tu hai il tuo da fare un po’ più lontano, ma penso che dovresti sapere anche cosa succede qui. Milo, ad esempio… Al solo sentire quel nome, mi irrigidisco. - Smettila. Io ne ho abbastanza delle sue manie. Ogni volta ne inventa una diversa – le dico – ad esempio, quella dell’incenso a tutte le ore. La mia amica scopre i denti. - Eh già. Il lavoro notturno ti sta facendo perdere di vista il suo nuovo interesse. - Se non fosse per il mio incarico, saremmo invasi dai senza pace. - Alludi ai caduti dell’ultima guerra fra bande? - Proprio loro – le rispondo, mostrandole l’acchiappasogni. - Questo sta dando la pace a tutti loro. Marzia annuisce. Poi riprende: - Ho visto alcune loro fotografie sul giornale. Che colossi. Vichinghi contro Esercito della Guerra di Secessione. Visto che hai il coraggio di affrontarli, allora ascolta questa. Milo mi ha detto di aver trovato una scatolina a forma di mummia nel deposito degli oggetti smarriti. So che nelle pause all’ufficio movimento legge libri di egittologia. Li nasconde, ma ho potuto sbirciare una delle copertine dei suoi libri e mi è rimasto impresso La Porta Dimenticata dell’Amenti. Accanto alla sua solita bottiglietta dell’acqua c’era la coppa del tuo templare e la scatolina a forma di mummia che mandava un odore d’incenso da non dirti. Meno male che eravamo a fine turno. Fossi in te, comincerei a rendermi conto della realtà, pensando alle alzatacce notturne di Milo. Sembra che abbia commesso un grosso errore invitando la persona sbagliata a casa. Lo sento parlarne spesso quando è in ufficio. Gli è impossibile dormire come prima, da quando ha preso quella scatolina e l’ha aspersa con l’acqua della fontana qui dietro, ritrovandosi qualcuno che è capace soltanto di spandere odore di incenso. Non fare quella faccia, impossibile che tu l’abbia sentita muoversi, di chiunque si tratti, può farlo soltanto di notte e tu non ci sei mai. Molti vanno alla fontana, ci sono stata anch’io. Adesso mi giro, tanto non c’è nessuno. Ecco, guarda la mia schiena. Credi davvero che sia riuscita a sopravvivere all’incidente, così, per pura fortuna? No, mi hanno portata dal templare. Uno dei Vichinghi. Sì, Larsen qualcosa, questo prima che si nascondesse chissà dove. Ha giocato contro gente del cimitero. Uno lo hai conosciuto, viveva nel tuo palazzo. Sai, il ragazzo con il moncler e le timberland. Non fare quella faccia. Andava a bere l’acqua da lui per vivere l’ultimo scorcio della notte. Alle quattro, riviveva, si toglieva il moncler e le timberland e si sedeva alla scrivania ascoltando il walkman giocherellando con la fotografia della sua ragazza. Io lo so, perché abito nell’alloggio di fronte al suo. E il mio mese, è stato lo scorso agosto. Hai sentito anche tu il rumore di freni accanto a casa tua, sulle strisce pedonali. Larsen era lì e mi ha portata nel parco, dove il templare organizza il gioco in cambio di un sorso dell’acqua della fontana. Ti fa scegliere una chiave per aprire lo scrigno nascosto sotto la base della fontana. Ce ne sono di diversi tipi, d’oro, di ferro, d’acciaio. E tutte di diverse epoche. Devi sapere che è un gioco molto antico. Lo capisci dalle chiavi. Sono quelle delle abitazioni di chi ha smesso di bere la sua acqua per la disperazione di vivere soltanto quella bolla d’aria di poche ore e per l’amarezza di dover ripetere l’esperienza delle chiavi per conservarla. Devi partecipare ogni anno e c’è un solo vincitore, ma tutti possono riprovarci. Oh, ma dalla tua faccia vedo che vorresti sapere cosa contiene lo scrigno. Te lo dico subito, uno specchio che ti rimanda alla visione della giornata più bella di tutta la vita per poi offuscarsi e mostrartela di nuovo, con la luce e il buio che si alternano alla finestra. Durerà poco, ma è vita e felicità per chi riesce ad aprire la serratura con la chiave giusta, per quanto assordati dai pianti dei perdenti. Se sbagli chiave, si rompe nella serratura. In quel caso, il templare ripara la serratura con l’acqua che sarebbe servita al partecipante per tornare a casa propria. Vuoi sapere che cosa ne è dei perdenti? Ebbene, ritornano infuriati al cimitero, afferrandosi all’ultimo pezzo di vita datogli dall’aver aspirato il profumo dell’acqua della fontana. È di lì che sono venuti i ceffi che hai dovuto uccidere. Erano amici di Larsen. Non sapevano perdere neppure da vivi. Che maleducati, però. Mi è spiaciuto per il ragazzo, si è passato una mano fra i capelli pettinati con il gel mormorando qualcosa a proposito della cabina telefonica sotto casa. Quando gli ho detto che l’hanno tolta tanto tempo fa, si è innervosito. Chiamare la sua ragazza per darle appuntamento era stato il suo ultimo pensiero prima di essere colpito dal proiettile di uno dei rapinatori della banca che hanno poi trasferito in centro. Oh, ma scusa, forse vorrai sapere dell’ospite a casa tua. Guarda lì. C’è Milo insieme a una fanciulla. Che bel vestito di bisso e che splendida parrucca nera. Com’è scheletrica, però. Dovresti dirgli di non fidarsi troppo del gioco del templare. Funziona bene soltanto sui morti recenti, non ancora finiti nell’aldilà. Eccoli, si avvicinano. Andiamo via, prima che si accorgano di noi. Accidenti, povera ragazza. È il peggior caso di Morte in Vita che abbia mai visto. Non riconosce neppure il mondo in cui si trova. Milo dovrebbe capire quando una relazione extraconiugale è finita. Al suo posto, mi vergognerei e la riporterei dove l’ha presa. Marzia ha fatto bene a mettermi in guardia. Io, amareggiata, ripenso all’articolo di giornale sul furto di materiale funerario al Museo Egizio e alla fuga dei ladri conclusasi alla stazione, con Milo nei pressi. Mi dirigo verso Milo e la fanciulla. Ci sarà tempo per la scenata con lui. Ora devo pensare a quella povera ragazza e il Museo Egizio mi ha dato un’idea. Hanno ricostruito una sala dei banchetti, di recente. Mentre mi incammino, la voce di Marzia mi segue. - Fatti valere, con lui.
|