Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Skannatoio Speciale di Dicembre, Si inizia

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view post Posted on 4/12/2016, 18:40
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Il Tospanico Polemico

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CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 4/12/2016, 16:28) 
Eccoti accontentato,G.:per te gli Arcani ( sono un Cartomante, non un Master) hanno sentenziato il genere thriller/giallo/noir. Buon divertimento...

Bene. Sappiate che peró non sto riuscendo a essere serio :D
 
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view post Posted on 5/12/2016, 21:36
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Apprendista stregone

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CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 4/12/2016, 09:44) 
No, il succo e combinare il genere e il tema, non due generi diversi.

Mi sembra un consiglio lapalissiano. Il contest si basa su un genere (scelto a caso) e un tema (scelto da noi) da combinare. :1392239711.gif:
Per cui, nulla di nuovo sotto il sole... :1391975826.gif:
 
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view post Posted on 6/12/2016, 00:25
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"Ecate, figlia mia..."

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Un po' da qui, un po' da lalà

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CITAZIONE (Incantatore Incompleto @ 5/12/2016, 21:36) 
Mi sembra un consiglio lapalissiano.

Sarò tonto io, chissà :p099:

Forse perché davo per scontato che "invasione aliena" rientrasse automaticamente nel genere SF.

Poi una mezza conferma è arrivata da Marco:

Il modo più facile di fare ciò è mischiare i generi, usare le premesse dell'uno e le dinamiche dell'altro, o cose così.

Dal che ho parlato di commistione di generi (che è la cosa che accade nei due film citati da Marco come esempio).

Senza contare che anche White nel racconto introduttivo lascia intendere che la mancanza di originalità deriva dalla standardizzazione dei modelli (inclusi quelli stilistici, però).
 
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view post Posted on 6/12/2016, 08:11
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Apprendista stregone

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Credo che ci sia un po' di confusione su quello che dobbiamo fare. :1392239813.gif:
C'è qualcuno tra i moderatori o tra i giurati, che ci può fornire indicazioni sul da farsi? ^_^

Grazie... :p092:
 
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view post Posted on 6/12/2016, 08:36
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Custode di Ryelh
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CITAZIONE (Gargaros @ 6/12/2016, 00:25) 
CITAZIONE (Incantatore Incompleto @ 5/12/2016, 21:36) 
Mi sembra un consiglio lapalissiano.

Sarò tonto io, chissà :p099:

Forse perché davo per scontato che "invasione aliena" rientrasse automaticamente nel genere SF.

Poi una mezza conferma è arrivata da Marco:

Il modo più facile di fare ciò è mischiare i generi, usare le premesse dell'uno e le dinamiche dell'altro, o cose così.

Dal che ho parlato di commistione di generi (che è la cosa che accade nei due film citati da Marco come esempio).

Senza contare che anche White nel racconto introduttivo lascia intendere che la mancanza di originalità deriva dalla standardizzazione dei modelli (inclusi quelli stilistici, però).

Ragazzi, come ho già detto, non c'è nessun bisogno di mescolare obbligatoriamente generi diversi tra di loro. Vi abbiamo dato un tema e un genere e quello deve essere il vostro punto di partenza per un racconto. Se avessimo voluto una commistione di generi obbligatoria vi avremmo dato due generi, vi pare?
Pensate solo agli indizi: il mio scopo era farvi vedere come, partendo da premesse simili, due lavori dello stesso genere potessero avere esiti totalmente diversi. Ma cosa rende "L'Uomo Puma" e "Lo chiamavano Jeeg Robot" così diversi? Perché il primo è considerato un cult dei film brutti e il secondo sta diventando un cult e basta? La commistione di generi? No: lo sforzo di sviluppare un'idea originale e di svilupparla in modo coerente. A voi portare avanti la stessa sfida.
E questo non vuol dire che non possiate aggiungere elementi di un genere a un altro se lo ritenete necessario, ma, badate bene, devono essere elementi. Il genere complessivo della storia non deve cambiare.

Mi raccomando, ragazzi: non ho intenzione di cedere a Rey "Caldarrostaio a Brescia in giornata di nebbia" ;) ;) .
 
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view post Posted on 6/12/2016, 09:35
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Co-moderatore dello skannatoio
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Ovviamente è anche vero che il vostro scopo è cercare di fare un bel racconto e non per forza un racconto originale. È ancora possibile far appassionare il lettore a una storia, pur essendo quella storia già raccontata molte volte. Fare un racconto nuovo che nessuno ha mai letto, ma che resta una cosa ignobile da dimenticare il prima possibile da sì un punto in più a WP, ma nella vostra classifica non avrete un buon punteggio.

Vi ricordo infatti che mentre ci sarà una commissione che deciderà se il racconto è originale o meno (per decidere chi tra me e WP vince la scommessa), per voi le classifiche procedono in modo normale e l'originalità non è una specifica obbligatoria.

E non è che io voglio regalare a WP... ehm... non mi ricordo che avevo scommesso :D
 
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view post Posted on 6/12/2016, 11:02

Alto Sacerdote di Grumbar

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CITAZIONE (Incantatore Incompleto @ 6/12/2016, 08:11) 
Credo che ci sia un po' di confusione su quello che dobbiamo fare. :1392239813.gif:
C'è qualcuno tra i moderatori o tra i giurati, che ci può fornire indicazioni sul da farsi? ^_^

Grazie... :p092:

macché confusione! Scrivi! Che sto affilando la mannaia apposta per te! :D
Voglio vedere i risultati di questi mesi, ho aspettative ALTISSIME (giusto per metterti poca pressione :P )

:1392239812.gif: :1392239812.gif: :1392239812.gif:
:p082: :p082: :p082:
 
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view post Posted on 7/12/2016, 00:04
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Apprendista stregone

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Bene. Mettiamoci subito al lavoro, allora! :1392239620.gif: :1392239620.gif: :1392239620.gif:
 
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view post Posted on 7/12/2016, 14:32
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Apprendista stregone

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"L'ucronìa (anche detta storia alternativa, allostoria o fantastoria) è un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale."

A questo punto scatta automatica una domandina ai moderatori... :shifty:

Nel 2011 una epidemia zombie su scala mondiale ha generato, per forza di cose, un corso alternativo della storia del mondo da noi conosciuto.

Questo stravolgimento del corso naturale degli eventi, può essere considerato ucronia?

Secondo me sì! :p099:

Voi che dite? :woot:
 
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view post Posted on 7/12/2016, 21:34

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OMAGGIO A UNA SPOSA DEVOTA
Di Alexandra Fischer

TEMA: PROFEZIA

GENERE: STORICO


Shah Jahan era riuscito a tenere il trono malgrado gli intrighi della moglie del padre, l’imperatrice Mehrunnisa.
E prima, c’erano stati i fratricidi, obbligatori per assicurarsi il potere, perché il favore del nonno, l’imperatore Akbar, non bastava nel mondo spietato della corte moghul.
Shah Jahan aveva trovato conforto nella moglie, l’imperatrice Mumtaz Mahal, l’ornamento della corte, la madre dei quattro possibili eredi al trono e delle due principesse.
I figli che avevano avuto, in realtà, erano stati quattordici, ma le morti alla nascita e un caso di vaiolo, ne avevano decimato la maggioranza.
Era forse per contrapporsi a quel destino se Mumtaz Mahal, nata Arjumand Banu, aveva deciso di avere un’altra figlia, malgrado il fisico indebolito da quattordici gravidanze in diciannove anni di unione.
L’ultima nata costò la vita all’imperatrice.
Shah Jahan ne uscì distrutto.
Vide le ancelle preparare la moglie defunta, togliendole le vesti insanguinate e lavandola tre volte con acqua del Gange nella quale erano stati disciolti oli profumati di canfora.
La morte non aveva scalfito nulla dell’ovale perfetto del volto e della finezza dei lineamenti, per non parlare delle linee sinuose del corpo che aveva tanto amato.
Sembrava addormentata e i gioielli che indossava confermavano ancora quell’impressione: i dodici bracciali di diamanti al polso, gli orecchini, l’anello al di sopra della curva del naso.
Dopo averla asciugata, una delle serve più anziane si avvicinò all’imperatrice, sfiorandole il naso.
- Cosa fai? – le domandò Shah Jahan, distrutto dal dolore.
- Deve lasciarsi dietro tutto ciò che le è appartenuto in vita. Il suo nome dovrà essere dimenticato, affinché la sua anima possa appartenere ad Allah.
- No. Lasciale i gioielli.
La vecchia rispose, contrita: - Come volete, maestà.
L’imperatore comandò alle cucitrici di avvolgere l’imperatrice nei tre sudari rituali di seta, facendoli appuntare con cento diamanti.
Rimase freddo davanti all’obiezione della vecchia serva: - Ma i sudari devono essere privi di ornamenti.
La sepoltura dell’imperatrice avvenne nella fossa rettangolare del forte di Burhanpur.
I precetti escludevano l’uso di bare e il corpo venne interrato.
Quel mercoledì del 17 giugno 1631, il 17 Zi’l- Qa’a, anno 1040 dell’Egira, pioveva.
Attorniato dai figli, l’imperatore, vestito di bianco, colore tradizionale del lutto, sentì che anche una parte di se stesso veniva trascinata nella fossa.
La vicinanza delle altre due mogli dell’harem lo lasciò indifferente.
Ripensava alle parole della vecchia serva.
Il nome della sua Arju doveva essere dimenticato.
La voce stridula della donna gli risuonò nella mente, come una perfida profezia da annullare.
Dimenticata?
Shah Jahan prese la sua decisione quel giorno: la sua Arju avrebbe continuato a vivere nei secoli nel mausoleo che le avrebbe fatto edificare ad Agra, a settecento chilometri di distanza.
L’aspetto dell’edificio era ancora nebuloso nella sua mente stremata dalla lacerazione della perdita, ma il nome gli era chiaro: lo avrebbe chiamato Taj Mahal, la Tomba Luminosa.
All’epoca, il terreno apparteneva a Jai Singh, vassallo dell’impero moghul.
La morte di Mumtaz gli tolse quel che il munifico Akbar gli aveva permesso di tenere.
Lunedì 15 dicembre 1631, 21 Jumada al-awal, anno 1041 dell’Egira, la lastra tombale che ricopriva le spoglie interrate dell’imperatrice venne rimossa.
Gli operai depositarono le spoglie della sovrana in una bara di legno di sandalo preparata apposta per l’occasione.
Le cerniere erano di argento battuto e lungo il coperchio correvano intarsi dello stesso metallo.
Il feretro venne poi caricato su una barca diretta ad Agra.

Il Taj Mahal, di marmo bianco, cominciò a prendere forma già allora.
Il terreno era stato spianato apposta, dopo l’abbattimento del palazzo di Jai Singh e il fiume che scorreva nei pressi venne deviato, mentre l’imperatrice riposava in una tomba provvisoria a cupola di arenaria rossa.

Martedì 22 giugno 1632, 4 Zi’l-Hiija, anno 1041 dell’Egira, ad Agra si celebrò il primo anniversario della morte dell’imperatrice secondo il rituale musulmano dell’urs, ossia il matrimonio, l’incontro fra l’anima del defunto e Allah.

Shah Jahan desiderava la pace per la moglie.
In lui, il dolore stava diventando sopportabile.
Sapeva di stare lottando contro il tempo per smentire la profezia della vecchia serva.
La morte si sarebbe portata via anche lui, dissolvendolo, ma il Taj Mahal avrebbe tramandato nei secoli il nome di Arju.
Martedì 26 Maggio 1633, 17 Zi’l- Qa’da, anno 1042 dell’Egira.
Il secondo urs in memoria di Mumtaz Mahal si celebrò all’interno e non sul piazzale come l’anno prima, perché la terrazza affacciata sullo Yamuna era completata e su di essa sarebbe sorta la Tomba Luminosa, affiancata a sinistra da una moschea e a destra dalla sala per le riunioni.
Le estremità della terrazza, progettata per coprire tutta lunghezza del parco, si incurvavano intorno a torri ottagonali che avrebbero segnato il confine nordorientale e nordoccindentale del complesso.
In base ai desideri del sovrano, gli edifici principali dovevano sorgere presso l’acqua.
La tomba sarebbe stata eretta su una piattaforma di mattoni e arenaria, i fianchi rivestiti di lastre di marmo scolpiti in archi privi di decorazione, terminanti a ogiva.
I pilastri di pietra e ferro erano stati realizzati scavando via il terreno arrivando a toccare la roccia madre, con il sostegno di assi di legno piantati in cerchi tracciati precedentemente.
Il legno sarebbe marcito ma i pilastri avrebbero retto il peso degli edifici e della terrazza digradante verso il fiume.
Il corpo dell’imperatrice era stato esumato dalla tomba provvisoria e trasferito nella camera approntata sotto la terrazza.
Il cenotafio era stato delineato sulla piattaforma e la zona circondata da una griglia d’oro massiccio, lavorato con fiori e smalti, alta un metro e venti e del peso di quattrocentocinquanta chili.
C’erano anche lampade a olio in maglia d’oro a forma di mezzaluna, sole e stelle
La griglia a pannelli ottagonali era stata fissata al pavimento di marmo; gli operai, per l’urs, avevano montato pertiche per appendere le lampade sulla tomba.
Sabato 23 luglio 1633 16 Muharram, anno 1043 dell’Egira
L’architetto Ustad Ahmad Lahori e il calligrafo Amanat Khan commentavano la magnificenza dei giardini voluti dall’imperatore per abbellire la Tomba Luminosa, cipressi, guava, aranci, frangipani.
Per ognuno ci voleva un angolo a parte, per meglio far risaltare il luogo del riposo eterno dell’imperatrice.
Su questo, erano entrambi d’accordo.
Lahori divergeva dalle opinioni del collega e amico solo un punto: - Non sono un maestro. Sto eseguendo con le mani il progetto voluto dall’imperatore.
La tomba era stata costruita su un sottile plinto di marmo sulla piattaforma marmorea che aveva ospitato il secondo urs.
Comprendeva la cupola principale e quattro più piccole sul tetto piatto.
- Ecco, mi sono permesso di far cambiare idea a Sua Maestà solo su un punto. Il colore del marmo. Le gradazioni chiare danno un aspetto migliore alla costruzione, decisamente migliore del bianco puro. E dalla Grande Porta, l’occhio dello spettatore verrà ingannato. Vedrà le differenze fra le pietre soltanto avvicinandosi alla piattaforma, ma c’è dell’altro.
Lahori gli indicò i quattro portali identici rivolti ai quattro punti cardinali.
- Nessuno saprà riconoscere la vera entrata guardandoli, non importa in quale punto del Taj Mahal si trovi.
Il calligrafo sorrise.
C’era anche la sua mano, nelle iscrizioni in arabo sulus degli edifici principali, la tomba, la moschea sullo stesso piano e la Grande Porta.
Attorno al portale dell’ingresso principale della tomba c’era una fascia rettangolare di marmo coperta dalle iscrizioni coraniche della Sura trentaseiesima, Ya Sin.
All’interno della tomba, sull’arco meridionale, Amanat Khan aveva inciso in persiano: “Scritto dal figlio di Qasim al-shirazi ‘Abd al-Haqq, con il titolo di Amanat Khan, nell’anno 1045 dell’Egira”.
Amanat Khan usò il persiano, la lingua di corte, soltanto per l’epitaffio sul cenotafio dell’imperatrice e per firmare la propria opera.
Ahmad Lahori costruì una camera mortuaria sotterranea in cui il corpo dell’imperatrice fu interrato e coperto da un cenotafio di marmo intarsiato.
Amanat Khan sapeva che nella stanza centrale e superiore della tomba ce n’era un altro, ancora più splendido, perché ne aveva realizzate le iscrizioni coraniche.
Gliene domandò perché lo avesse ideato.
Ahmad Lahori replicò: - È un falso che ho voluto realizzare per trarre in inganno eventuali predatori di tombe. L’ho fatto per salvaguardare il progetto di Sua Maestà di eternare il nome della sua consorte. Questo luogo sarà molto frequentato. Ho pensato ai pellegrini, facendo in modo che l’acqua non manchi, ma tenendo conto anche dei ladri.
Amanat Khan aveva ancora negli occhi lo splendore di quel finto cenotafio di marmo bianco come il latte appena munto e dagli intarsi di fiori di lapislazzuli blu, diaspro rosso, ematite nera, clorite e giada verde, calcare giallo.
Quella, però, era solo una piccola parte della maestria di Ahmad Lahori.
La camera mortuaria era il suo omaggio a una sposa devota.
La stanza era ottagonale, rivestita di marmo bianco, con otto archi su ciascuna parete su due piani con la fila di archi superiore di archi a somiglianza di quella inferiore.
Soltanto tre arcate erano forate da finestre che occupavano l’intero arco.
Le altre quattro erano chiuse e una costituiva l’ingresso alla tomba.
Alle finestre c’era vetro di Aleppo, di color giada e nefrite e le sfumature verdi, riflettendo sul marmo bianco quelle degli alberi all’esterno, davano l’impressione che l’imperatrice dimorasse in eterno nel Giardino di Allah, mentre il pavimento era di marmo nero a stelle bianche.
Lahori aveva rafforzato l’elemento del giardino nelle decorazioni floreali di pietra dura che abbellivano il marmo, talmente realistiche da far pensare a fiori veri e non a una creazione della sua fantasia.
La griglia d’oro era stata sostituita da una di corniola e giada, pur lasciando le lampade d’oro.
Shah Khan aveva voluto proteggere così la sua sposa dai tombaroli.
 
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view post Posted on 8/12/2016, 10:22
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CITAZIONE (Incantatore Incompleto @ 7/12/2016, 14:32) 
"L'ucronìa (anche detta storia alternativa, allostoria o fantastoria) è un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale."

A questo punto scatta automatica una domandina ai moderatori... :shifty:

Nel 2011 una epidemia zombie su scala mondiale ha generato, per forza di cose, un corso alternativo della storia del mondo da noi conosciuto.

Questo stravolgimento del corso naturale degli eventi, può essere considerato ucronia?

Secondo me sì! :p099:

Voi che dite? :woot:

Anche secondo me. Di solito ucronia prende in considerazione eventi più lontani, ma anche così vicino va bene.
 
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view post Posted on 8/12/2016, 17:32
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E grande Shanda (scusa ho visto solo ora che avevi postato).

Velocissima come al solito :)
 
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view post Posted on 9/12/2016, 14:29
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Losco Figuro

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Sono pieno di lavoro in questo periodo, o lo posto adesso o mai più, come è è...


Tema: Viaggi nel tempo
Genere: Splatter

Oltre il tempo

Mike aprì il rubinetto della doccia e richiuse la cabina perché l’acqua non schizzasse ovunque. Mentre aspettava che diventasse calda, alzò lo sguardo sullo specchio appeso sopra il lavandino, restando di sasso quando il suo riflesso non fece altrettanto.
Mentre lo osservava a bocca spalancata, il suo volto nello specchio si velò di panico, lo sguardo fisso su qualcosa che sembrava essere oltre lui. Un istante dopo, una marcata linea rossa comparve sul suo collo e la testa si ribaltò all’indietro, staccandosi quasi del tutto, mentre un fiotto di sangue invadeva l’altro lato della superficie metallica.
Mike urlò e balzò all’indietro, rovinando contro la cabina della doccia che si infranse all’impatto. Atterrò malamente di schiena tra le schegge, prendendo a sanguinare da decine di piccoli tagli.
Ebbe appena il tempo di vedere la lastra rimasta nel telaio come una ghigliottina prima che questa cedesse e si abbattesse sopra di lui.

La porta del bagno si aprì incerta, la chioma rossa di Kate comparve anche prima del suo volto, tratteggiandosi nel vapore che usciva dalla doccia ormai bollente.
«Micky? È successo qualcosa?» chiese la donna, guardandosi intorno spaesata prima che il suo sguardo si posasse sul corpo di suo marito disteso scompostamente in terra.
Ammutolita, Kate si avvicinò alla doccia e vi gettò un’occhiata. Lo spettacolo di Mike quasi privato della testa, immerso in un lago di sangue, la raggelò, ma non fu nulla rispetto a ciò che seguì prima ancora che potesse realizzare quello che aveva visto.
Sotto i suoi occhi, la pelle dell’uomo iniziò a tendersi e gonfiarsi, il suo ventre si espanse in pochi istanti fino a dimensioni che avrebbe ritenuto impossibili, mentre una tinta violacea si impossessava della sua carnagione. Gli occhi affiorarono dalle orbite, quasi stesse sforzandosi di vedere meglio qualcosa, fino a esplodere del tutto all’esterno con la forza di un tappo di champagne, accompagnato però non da spuma bianca ma da una coda di nervi ottici e una scia di materia giallastra e maleodorante.
Nel contempo, il volto dell’uomo parve liquefarsi sotto il getto bollente dell’acqua, scendendo in rivoletti rossi verso lo scarico, già intasato da capelli e grumi di materiale indefinibile.
Infine, l’addome esplose, spandendo il proprio contenuto in ogni dove. Intestini grigiastri si ritrovarono a pendere dalla cabina della doccia come festoni natalizi, mentre un forte odore di ammoniaca ed escrementi permeava l’aria.
Occorsero parecchi minuti prima che Kate smettesse di urlare. Per allora, il suo riflesso nello specchio era silente da tempo.

Seth Foster era accosciato accanto ai resti di Mike Holliter, a infinitesimale distanza da una pozza di vomito parzialmente secco che doveva essere stata lasciata lì da sua moglie, ora in compagnia dei medici.
Si era tolto la tuta anticontaminazione dopo che le analisi preliminari avevano escluso la possibilità dell’esposizione a rischi chimici o batteriologici, ma indossava ancora, come sempre, guanti e sovrascarpe, per non inquinare le prove. Anche se di prove ce n’erano ben poche.
Si chiese, forse per la centesima volta da quando era entrato, cosa mai potesse ridurre un uomo adulto a uno scheletro nell’arco di poche ore. A quanto era riuscito a sentire, la moglie aveva parlato di sangue e interiora e chissà che altro, ma di tutto ciò non era rimasta traccia alcuna all’arrivo della scientifica, solo ossa perfettamente pulite. Tanto che, se non gli fosse stato assicurato il contrario, Seth avrebbe pensato a uno scherzo. Una possibilità che non escludeva ancora del tutto.
Aveva ormai esaminato la scena con ogni mezzo possibile, a parte un rilevatore di ectoplasmi, e non aveva trovato niente che lasciasse anche solo pensare a una morte violenta. Avrebbe detto anche a una morte in generale, se non fosse stato per lo scheletro che ne era evidente testimonianza. Certo, il vetro della doccia era in frantumi, ma non c’erano tracce di sangue o niente altro che dimostrasse che qualcuno vi si era ferito.
Seth si rialzò, lisciandosi con le mani pieghe inesistenti dei pantaloni.
Tolti vetri, scheletro e vomito, il bagno era in ordine, nessun segno di colluttazione. Teoricamente era possibile che qualcuno fosse entrato, avesse afferrato la vittima e l’avesse spinta con forza contro la cabina doccia, ma poi? Aveva meticolosamente ripulito ogni singolo osso, eliminato ogni traccia di materia organica, al punto che neanche gli strumenti più sofisticati ne rilevavano, e il tutto mentre la moglie della vittima si faceva venire una crisi isterica con probabile episodio allucinatorio?
Non aveva alcun senso. A tutti gli effetti, quella non era neppure una vera scena del crimine.
Seth voltò le spalle allo scheletro e fece un cenno ai suoi uomini perché dessero il via libera al trasferimento in obitorio. Uscì dall’appartamento senza guardarsi indietro, imboccò l’ascensore e ne ridiscese al piano terra del basso condominio. Si diresse spedito all’uscita e quasi si schiantò contro il portone quando questo, nonostante lo stesse spingendo, non si mosse di un solo millimetro.
Confuso, provò a tirare, senza ottenere miglior risultato. Alzò allora lo sguardo sul vetro scuro, impallidendo nel rendersi conto che tale non era. L’oscurità era fuori.
Sentì la claustrofobia rialzare la testa dentro di lui. Non si trovava tecnicamente in uno spazio ristretto, ma la sola idea di non poter uscire, e del buio che sembrava occupare il mondo esterno nonostante fosse più vicino a mezzogiorno che a mezzanotte, erano più che sufficienti.
Senza fermarsi a riflettere, prese il portone a spallate, non riuscendo neppure a scuoterlo.
Si guardò intorno, un accenno di panico negli occhi. Il condominio non aveva un portiere e non sembrava esservi nessuno a cui chiedere cosa stesse accadendo.
Il suo sguardo si posò su un vaso contenente una felce, o qualcosa di simile. Lo afferrò senza por tempo in mezzo e lo scagliò contro il vetro, mandando entrambi in frantumi. Ma se quelli del vaso si sparsero in terra assieme a foglie e terreno, quelli della vetrata rimasero assieme, tramutati in una ragnatela vetrificata, in immobile e insidiosa attesa della sua preda.
Seth non riuscì a spingersi a colpirla ulteriormente. Voltò le spalle all’uscita e tornò di sopra. Non vide mai la felce alle sue spalle avvizzire rapidamente fino a ridursi in polvere, e poi cessare del tutto di esistere.

L’ascensore si aprì su un pianerottolo vuoto. La porta dei signori Holliter era ancora aperta, ma nessuno degli agenti stava entrando o uscendo.
Col sudore che gli si raggelava sulla fronte, Seth fece un singolo passo fuori dalla cabina. Dietro le sue spalle, lo specchio rifletteva il nulla.
Rimase per un istante come inebetito, a guardare il vuoto attorno a sé. Poi, un urlo dall’interno della casa richiamò la sua attenzione. Scuotendosi di dosso timori vecchi e nuovi, si precipitò oltre la porta, solo per trovarsi di fronte a un incubo fatto carne. E nella maniera peggiore.
Jonas, uno dei suoi assistenti, si stava contorcendo sul pavimento in preda a quelle che sembravano convulsioni. Aveva la schiuma alla bocca, ma era schiuma rossa di sangue, densa come lava. Chiazze di un rosso talmente scuro da apparire nero lo circondavano come la sagoma di gesso sulla scena di una sparatoria. Ogni manciata di secondi, un colpo di tosse gli squassava il petto, aggiungendone una all’insieme.
Prima che Seth potesse anche solo pensare di avvicinarsi, Jonas si piegò in due in preda a una tosse ancora più violenta. Colpo dopo colpo dopo colpo divenne sempre più forte e sonora, accompagnata da un gorgoglio sinistro, finché, in un ultimo supremo sforzo, dalla sua bocca eruttò una massa amorfa che si riversò sul pavimento in spire fumanti, pendendogli dalle labbra come un intubamento inverso. L’uomo la guardò con occhi sgranati prima di accasciarvisi sopra e smettere del tutto di muoversi.
Quello che seguì sarebbe rimasto impresso nella mente di Seth per gli anni a venire.
La carne di Jonas divenne pallida e livida nell’arco di pochi secondi. Dapprima parve gonfiarsi, poi avvizzire, infine imputridì del tutto, staccandosi dal corpo in grossi pezzi che atterravano sul pavimento con tonfi liquidi, lasciando le ossa esposte. Un fetore di decomposizione si spanse tutto intorno, costringendolo a coprirsi naso e bocca con le mani per non vomitare quel che restava della sua colazione, ma fu solo un istante, poi non rimase più nulla. Carne, sangue, puzza, ogni traccia dell’esistenza di Jonas si era ridotta a un ammasso di invisibili atomi sparsi chissà dove, a eccezione del suo scheletro, perfettamente intatto, e dei vestiti.
Seth fu colto da un improvviso capogiro che lo costrinse a cercare un appoggio nel divano poco distante. Fu così che si avvide della presenza di Kate, rannicchiata tremante dietro lo schienale, con gli occhi serrati e le mani premute sulle orecchie.
Barcollò verso di lei e le cadde accanto in ginocchio con più forza di quanta avrebbe voluto. Non senza sforzo, le afferrò delicatamente le spalle per scuoterla e attirare la sua attenzione. Dovette provare a lungo.
Quando infine gli occhi della donna si aprirono e parvero metterlo a fuoco, le domandò: «Cosa è successo?», costringendosi a non far tremare la voce.
Kate non rispose subito. Si tolse le mani dal capo e indicò vagamente verso l’ingresso, tremando al punto che non era possibile capire cosa volesse puntare. Poi balbettò: «Lo s... specchio. Lui era... era...»
«Cosa? Cos’era?» ribatté lui, incapace di mantenere un tono calmo.
La donna lo fissò senza rispondere.
«Dove sono gli altri?» chiese ancora Seth. Lei scosse la testa. Aveva il viso rigato di lacrime e negli occhi se ne vedevano di nuove pronte a sgorgare.
L’uomo si alzò sulle gambe malferme, puntellandosi contro il divano, e andò a passo incerto verso il bagno. Altri due scheletri si erano aggiunti al primo. Non poteva avere dubbi su chi fossero stati da vivi.
Quasi senza volere, alzò lo sguardo verso lo specchio affisso al muro. Il suo riflesso glielo restituì. Aveva un profondo taglio sulla fronte da cui sgorgava un rivolo di sangue, e i vestiti strappati in più punti. Istintivamente, si passò il dorso di una mano sulla testa, ritraendola pulita. A stento notò che il riflesso non aveva fatto altrettanto.
Incredulo, agitò la mano davanti a sé. Il riflesso si ostinava a non imitarlo. Restava lì a fissare con sguardo vacuo qualcosa che aveva tra le mani, una sorta di antico volume non del tutto visibile nello specchio.
Alle sue spalle non c’era il bagno illuminato degli Holliter col suo macabro contenuto, ma una parete nuda su cui qualcuno aveva tracciato un cerchio contornato di simboli arcani.
Seth barcollò all’indietro.
«Che cos’è...? Che cos’è quella stanza?» urlò, forte abbastanza perché Kate potesse sentirlo, ma, se sperava in una risposta, non ne ebbe nessuna.
Intanto, la scena nello specchio mutava, come in un bizzarro video in cui la telecamera era puntata su di lui ed era lo sfondo a muoversi. Si vide superare un corridoio, poi una porta, infine uscire nello stesso pianerottolo che aveva appena lasciato e rientrare in casa. Elaborò la scena in un istante. Corse fuori.
La porta di fronte a quella degli Hollister era socchiusa, sembrava che qualcuno stesse sbirciando dallo spiraglio ma, chiunque fosse, non appena lo vide, tentò di chiuderla.
Seth non gliene diede il tempo. Si lanciò contro la porta con tutto il suo peso, spalancandola e gettando a terra quello che sulle prime gli parve uno scimpanzé vestito da umano. A una seconda occhiata, si rese conto che si trattava di un uomo, ma un uomo impossibilmente magro, dalla pelle grinzosa e incartapecorita al punto da apparire di un colore giallo brunastro. Aveva pochi ciuffi di capelli biancastri sulla testa, radi e stopposi, e lo sguardo di chi è appena uscito dall’inferno o sa di stare per andarci.
Prima che l’uomo potesse fare qualcosa, il vecchio si alzò in piedi con una velocità che non avrebbe dovuto avere e gli fu addosso, ad artigliarlo con unghie lunghe e frastagliate che nondimeno riuscirono a lacerargli la camicia e strappargli il bavero della giacca. Seth tentò di staccarselo di dosso senza successo, infine si gettò assieme a lui contro la parete più vicina, più e più volte, fino a costringerlo a mollare la presa. Quando lo fece, il vecchio si afflosciò sul pavimento come un sacco vuoto.
Seth sentì qualcosa di caldo e umido scorrergli lungo la fronte. Vi passò il dorso di una mano e la ritrasse sporca di sangue.
Rivide sé stesso nello specchio. Non era la stanza giusta.
Ignorando sangue e vecchio, si inoltrò nel corridoio, seguendo alla rovescia una strada che non aveva mai percorso prima in alcun senso. Passando, lo sguardo gli cadde sulle foto alle pareti: una giovane coppia dall’aria spensierata occhieggiava da miriadi di cornici.
In fondo al corridoio, come si era atteso, trovò la stanza della visione, se di visione di era trattato. Era un piccolo ambiente vuoto e privo di finestre, pareti e pavimento insozzati di un liquido rosso troppo simile a sangue per i suoi gusti. A chi sarebbe potuto appartenere?
Non si trattava di semplici macchie ma di disegni elaborati, cerchi ornati di simboli incomprensibili che ne percorrevano la circonferenza all’esterno e all’interno. Ve ne era uno su ogni parete, a eccezione di quella interrotta dalla porta, uno sul pavimento e perfino uno sul soffitto. A prima vista sembravano identici, ma il suo occhio allenato a individuare i dettagli non fece fatica ad accorgersi che quello sul muro aveva una sbavatura ad alterare uno dei simboli esterni.
In terra, al centro del cerchio, si trovava un volume rilegato in pelle scura e irregolare. Si chinò a raccoglierlo. Il contatto con quella superficie crespa gli irradiò una sensazione di disgusto che gli risalì lungo le braccia come l’abbraccio di un serpente, al punto che dovette fare uno sforzo per non lasciarlo andare.
La copertina era anonima, né un titolo né altro. L’interno, composto di pagine spesse e porose che non davano l’idea di essere carta, conteneva disegni simili a quello nella stanza, accompagnati da spiegazioni in una lingua a lui ignota, forse latino.
«Avrebbe dovuto essere mia moglie», pronunciò una voce strozzata alle sue spalle. Dava l’idea di qualcuno che stesse tentando di parlare attraverso uno spesso tessuto.
Voltandosi, non si sorprese di vedere il vecchio sulla porta. Se non altro non sembrava sul punto di aggredirlo nuovamente.
«Volevo riportare in vita mia moglie ma non so cosa ho fatto. Qualcosa... mi ha urlato nella testa che era il momento sbagliato... che doveva... tornare avanti... poi...» Non terminò la frase. «Era così giovane... non è giusto... e io... cosa mi ha fatto...?»
Seth non rimase ad ascoltarlo. Non gli interessava cosa gli avesse fatto, gli interessava ciò che stava ancora facendo a chiunque si trovasse nel palazzo.
Riattraversò veloce l’appartamento e tornò a casa degli Holliter. Kate era ancora dove l’aveva lasciata. Si mise il libro sottobraccio, la prese per le spalle e la tirò in piedi senza badare alle gentilezze.
«Non so cosa stia succedendo, ma dobbiamo andarcene da qui, subito!» le disse.
Non aveva mai creduto a spettri, mostri e demoni, ma, dopo quello a cui aveva assistito, non poteva perder tempo a dubitare dell’esistenza di qualcosa di malvagio e letale che si trovava lì con loro in quello stesso istante. A cosa fosse avrebbe potuto pensare dopo, ora doveva mettere in salvo più gente possibile.
La donna continuava a fissarlo inebetita. Aprì la bocca per dirle qualcosa, ma nel farlo si rese conto che non stava guardando lui, bensì tenendo lo sguardo puntato su qualcosa alle sue spalle, l’espressione inorridita.
Si voltò di scatto, aspettandosi di vedere il vecchio di nuovo sul piede di guerra, ma non c’era nessuno. A parte lo specchio. E, nello specchio, qualcosa che non avrebbe dovuto esistere.
Sembrava umano, ma non lo era. La sua bocca era una misera fessura, a stento visibile tra i tratti del viso. Il naso del tutto assente, gli occhi grandi e privi di iridi e pupille, ma che ugualmente trasmettevano l’idea di uno sguardo da predatore. Il viso era del tutto glabro, la pelle violacea e screziata di rosso.
Seth si voltò a cercare l’origine del riflesso, senza trovarla. Poi ricordò cosa era accaduto nel bagno. Quella cosa non era ancora lì, ma ci sarebbe stata presto.
Senza attendere ulteriormente, afferrò la donna per un braccio e se la tirò dietro fino al pianerottolo.
L’ascensore era ancora in attesa e fu sul punto di entrarci, ma per andare dove? Aveva quasi dimenticato il motivo per cui era ancora lì. L’intero palazzo era imprigionato in qualcosa che non comprendeva, non avrebbero potuto uscirne, non facilmente almeno.
Fece una rapida svolta verso l’appartamento di fronte, la cui porta era ancora spalancata come l’aveva lasciata. Si precipitò all’interno, continuando a portarsi dietro Kate. Il vecchio era ancora nella stanza dipinta e, quando lo vide, la donna ebbe un sussulto, ma non disse o fece nulla.
«Che cos’è? Come lo rimandiamo indietro?» domandò Seth a bruciapelo.
«Doveva essere...» iniziò a rispondere il vecchio.
«Non mi importa cosa doveva essere», lo interruppe lui. «Come ce ne sbarazziamo?»
«Io non... quel simbolo...» Il vecchio puntò un dito rachitico contro la sbavatura sulla parete. «Doveva essere... tomba... ma la vernice... credo...» Si bloccò.
Seth archiviò la magra consolazione sulla natura del liquido rosso. «Cosa credi?» lo incalzò.
«Credo che... sia... tempo... oltre il tempo...»
«Cioè avresti portato qui qualcosa dal futuro?»
Il vecchio annuì, e fu una visione inquietante. Scheletrico com’era, Seth ebbe l’impressione che la testa gli si sarebbe staccata dal collo e avrebbe rotolato fino ai suoi piedi.
Seth impallidì, e non solo per quel pensiero. Quale razza di futuro poteva aver mai generato una creatura come quella?
«Credo che stia...» riattaccò il vecchio «che voglia... tornare indietro».
«Uccidendo la gente?» domandò Seth incredulo, rendendosi conto solo allora di avere ancora con sé il libro. «Capisci che c’è scritto qui?» chiese mostrandolo.
«No, non credo voglia... uccidere... io... questo...» Agitò le mani davanti a sé, con le dita rivolte all’interno come a indicarsi. «Vorrebbe andare avanti ma... fa andare avanti... gli altri».
Lo sguardo di Seth si illuminò con un lampo di comprensione. Ricordò le foto nel corridoio, la moglie morta, così giovane aveva detto. «Tu... eri quello nelle fotografie?! Ti ha fatto invecchiare?»
L’altro annuì nuovamente.
«Stai dicendo che questa... cosa... cerca di tornare nel futuro e invece fa accelerare il tempo degli altri? Che...» Non finì la frase. Aveva senso. Cosa poteva trasformare un uomo adulto in uno scheletro in pochi minuti? Il tempo, compresso e accelerato fino a trasformare quei minuti in anni, decenni, forse secoli, ecco cosa.
Ma come si fermava una creatura che poteva letteralmente farti invecchiare a morte? E che, a giudicare dai risultati, stava diventando sempre più brava a farlo?
«Perché il palazzo è sigillato, cos’è quell’oscurità là fuori?» domandò.
«Cosa?» ribatté l’altro. A giudicare dallo sguardo, non ne aveva saputo nulla fino a quel momento.
«Non importa. Come lo rimandiamo da dove è venuto?»
«Non lo so... non c’è una formula per... cosa... mandare... i vivi nell’oltretomba... credo... non c’è... era solo per... doveva essere...»
«Lo so cosa doveva essere, il problema è cosa è!» ruggì Seth esasperato. Spinse il libro con tanta forza tra le braccia del vecchio che per un attimo temette potessero spezzarsi, gracili com’erano. «Cerca qualcosa!»
L’altro rimase immobile per un istante, poi aprì il volume con aria incerta, sfogliandolo senza dar l’impressione di capire cosa stesse facendo.
Seth cercò di fare mente locale. L’essere, qualunque cosa fosse, voleva solo tornare al suo tempo, o almeno così sperava, ma perché nel farlo finiva con l’accelerare il tempo altrui? E perché solo di esseri viventi? Niente altro nel palazzo sembrava aver subito un invecchiamento innaturale, perfino i vestiti delle vittime erano rimasti intatti. Cosa lo spingeva a tentare di spostarsi nel tempo solo in presenza di qualcuno che ne subiva i nefasti effetti collaterali? E se non fossero stati effetti collaterali?
«È un vampiro!» esclamò di botto, talmente all’improvviso che perfino Kate si voltò a guardarlo con un’espressione interrogativa sul volto.
«Non sta... lo fa apposta, sta succhiando gli anni delle sue vittime per nutrirsi... o forse li accumula per... non lo so, come energia per potersene andare, o qualcosa del genere...»
«Allora siamo morti», commentò il vecchio, insolitamente lucido.
«Non se riusciamo a rispedirlo indietro. Trova un modo. Intanto...» Si guardò intorno, passando lo sguardo sulle pareti nude, poi corse fuori. Aprì una, due porte, alla terza vide un bagno, vi entrò e staccò di forza lo specchio dal muro, riportandolo nella stanza dove aveva lasciato gli altri due. «Gli specchi vedono avanti, non molto, ma se siamo in pericolo lo vedremo, forse potremo farci qualcosa» disse appoggiando lo specchio in un angolo, da dove poteva riflettere la maggior parte della stanza. Quando si fece indietro per osservarlo, vide il riflesso di Kate con gli occhi quasi fuori dalle orbite, un colorito bluastro sul volto. La vera Kate era normale, per quanto poteva esserlo nel suo attuale stato di shock.
«No... sta arrivando... dobbiamo...»
«Non possiamo fare niente. Non si vede. Non si è mai visto».
«Non è vero. Io l’ho visto, prima. Nello specchio». In un angolo della sua mente, pensò a quanto fosse bizzarra la situazione. La creatura era un vampiro, in qualche modo, ma laddove i vampiri non si riflettevano negli specchi, questa sembrava essere visibile solo attraverso di essi.
«Ci serve un’arma».
Il vecchio si strinse nelle spalle, guardando in un angolo della stanza. «Ho solo il pugnale cerimoniale, ma non servirà. Moriremo tutti».
Seth sbuffò. Guardò il punto indicato, dove un lungo coltello ricurvo dal manico nero era in terra, poi osservò ancora lo specchio e si immobilizzò. La creatura era nella stanza, o lo sarebbe stata presto.
Stava per lanciarsi a prendere l’unica arma a disposizione quando un verso strozzato attirò la sua attenzione. Voltandosi, vide Kate stringersi le mani alla gola, annaspando in cerca d’aria. Il suo volto aveva iniziato a scurirsi.
Senza pensare, si gettò su di lei, spingendola lontano e prendendone il posto. Sentì un colpo violento e si ritrovò in terra, con le spalle alla parete, poi fu come se tutto avesse rallentato, tutto tranne lui. Sentì il sangue ruggirgli nelle vene come il motore di un’auto di Formula 1. Il cuore gli batteva con tale violenza che si sarebbe aspettato di vederlo uscire, sfondandogli la gabbia toracica. Avrebbe voluto rialzarsi, resistere, anche solo urlare, ma era travolto da una cascata di sensazioni troppo forti anche solo per tentare di contrastarle. Gli occhi gli premevano contro le orbite, pronti a schizzarne fuori, ogni fibra del suo essere tremava e vibrava come in preda al terrore più puro, uno stato non troppo distante da quello che la sua mente provava. Eppure, quando rivolse un ultimo sguardo allo specchio di fronte a lui, riuscì a increspare la bocca in un sorriso.
Riflessa nel vetro vi era la creatura accasciata al suolo, immobile. Un icore giallastro e fumante le usciva da uno squarcio alla schiena, lo stesso icore che grondava dalla lama di un coltello ricurvo dal manico nero, stretto nella mano di una donna dai capelli rossi.
Fu l’ultima cosa che vide prima del buio.

Seth riaprì gli occhi chiedendosi per un istante se fosse quello l’oltretomba, niente altro che una luce abbagliante. Poi si rese conto che si trattava di una lampadina che qualcuno gli stava puntando negli occhi, e la allontanò con un gesto della mano.
Si ritrovò a fissare un viso stranamente familiare, sebbene fosse certo di non averlo mai visto prima.
«Stai bene?» gli chiese il volto semi-ignoto. Anche la voce aveva una sfumatura nota, ma non ne comprendeva la ragione.
«Quando Kate ha colpito la cosa c’è stata... una specie di esplosione, non so come definirla. È tornato tutto indietro».
Seth guardò lo sconosciuto senza capire.
«Sono Tom. Non mi sono presentato prima», continuò quegli. «Io... mi dispiace per tutto questo, immagino mi dovrò costituire... non pensavo... non credevo neanche che sarebbe davvero successo qualcosa».
«Tu sei... il vecchio?» domandò Seth.
L’altro annuì. Nonostante le mutate proporzioni, il gesto era inconfondibile.
«Hai detto che è tornato tutto indietro...?»
Tom indicò sé stesso con un gesto della mano. «Sono di nuovo me stesso. E ho dato un’occhiata a casa di Kate ma... vorrei davvero non averlo fatto. No, i morti non sono tornati in vita, ma...» Non concluse la frase, ma Seth non aveva bisogno che lo facesse. Per quanto fosse abituato alle più sanguinose scene del crimine, non aveva alcun desiderio di andare a controllare di persona la situazione di quell’appartamento.
«Kate... non so se si riprenderà» proseguì Tom in tono cupo.
Seth seguì il suo sguardo verso la donna, seduta in terra in un angolo della stanza, con le spalle alla parete. Teneva ancora stretto nella mano il pugnale cerimoniale, con tale forza da avere le nocche bianche, e faceva oscillare ritmicamente la parte superiore del corpo avanti e indietro, come un macabro pendolo.
L’uomo si rialzò, chiedendosi se qualcosa avrebbe mai potuto cancellare l’accaduto dalle loro menti. Poi un altro pensiero lo colpì.
«Quando...? Da quando credi che arrivasse?»
Tom si strinse nelle spalle e Seth non aggiunse altro. Forse era meglio non saperlo.
Si guardò attorno, ma della creatura non c’era alcuna traccia. Forse era ancora impossibile percepirla, forse era semplicemente tornata indietro anche lei, come il tempo che aveva rubato. Forse, anzi quasi certamente, non l’avrebbe saputo mai.
Senza aggiungere altro, si voltò e imboccò la porta.
Nello specchio dietro di lui, il suo riflesso aprì un portone dal vetro infranto e uscì in strada.
 
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view post Posted on 9/12/2016, 19:37
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Ho letto le prime cinque righe e mi son detto "Evvai con la marmellata di fragole!!! Stanotte avrò gli incubi!" :D
 
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view post Posted on 9/12/2016, 20:09
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CITAZIONE (reiuky @ 9/12/2016, 19:37) 
Ho letto le prime cinque righe e mi son detto "Evvai con la marmellata di fragole!!! Stanotte avrò gli incubi!" :D

Beh, me l'avete dato voi lo splatter, e mi sono anche contenuto :P
 
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