Scusate se la seconda parte è abbastanza raffazzonata, ma sto morendo di sonno e sono già in ritardo. Non appena ho tempo, vedrò di riistemarla.
Bianco e Nero
Yzer fu il primo a vederlo.
La figura scura risaltava tra il grano appena falciato come un ragno sul latte.
- Pa’, arriva qualcuno – fece il ragazzo, puntando il dito in direzione della novità. – Di là, a metà del colle.
Suo padre era immerso fino alla cintola nel vano motore di un rugginoso droide falciatore. Quando si decise ad uscire, le scaglie sul petto sulla schiena erano sporche di olio e il muso allungato era tirato con la smorfia che faceva quando era preoccupato o quando biascicava a bassa voce delle maledizioni ai Capibranco. Fece ombra agli occhi con la mano per vedere meglio.
- Dici che è un vicino? Magari uno degli Angar?
- È troppo lontano e il mantello che indossa gli fa ombra: non riesco a capire chi sia – rispose il padre, dopo qualche istante di silenzio. – Ma non è un Angar e nemmeno un Ranifan. Quei tipi non si muovono d’un passo dalle loro terre durante la mietitura.
- E allora chi sarà?
- Uno straniero.
Rispose il padre, usando lo stesso tono con cui avrebbe parlato di una malattia del bestiame. Mentre la misteriosa figura continuava ad avvicinarsi lentamente, il tanish entrò nel capanno vicino al limitare dei campi. Quando ne uscì, aveva rindossato il vecchio camicione da lavoro e tra le mani stringeva l’elettropungolo che usava per il bestiame.
- Pensi che possa essere un problema, Pa’?
Il padre fece una smorfia.
- E quando mai gli stranieri non lo sono? Ma adesso ci penso io.
- Posso venire con te?
L’altro mugugnò sommessamente, poi lo osservò con aria infastidita. Infine, alzò le spalle.
- Prima o poi avresti dovuto imparare come ci si comporta quando qualcuno si presenta nella nostra terra senza permesso. Vedi solo di non metterti in mezzo.
Yzer lanciò un gridolino di gioia, poi si mise a seguire le orme di suo padre sul sentiero sassoso tra i campi.
Anche se distavano dallo straniero solo una ventina di passi, il mantello che indossava e la sua postura stranamente ingobbita rendevano comunque difficile capire che aspetto avesse. Yzer notò che camminava in modo strascicato e pensò che doveva aver fatto un lungo cammino. Suo padre doveva aver avuto lo stesso pensiero, ma giunse a conclusioni diverse.
- Chi sei, straniero? Sei un vagabondo? – disse, piazzandosi al centro del sentiero con l’elettropungolo in mano. – Non c’è niente da vedere nella mia terra. Se non hai un buon motivo per stare qui, ti conviene andartene subito.
Lo straniero alzò leggermente la testa, quel tanto che bastava a Yzer per notare un certo luccichio nell’ombra del cappuccio.
- Pane… - mormorò il misterioso visitatore, allungando una mano guantata verso di loro. – Solo un tozzo di pane da mangiare, per pieta!
Il padre di Yzer sputò per terra.
- Del pane? Pensi che queste spighe crescano da sole? Noi lavoriamo sodo per avere del cibo e non siamo disposti a dividerlo con i perdigiorno.
Dopo un altro paio di passi, lo straniero cadde in ginocchio. Ancora una volta, allungò una mano implorante verso Yzer e suo padre.
- Acqua…. almeno un sorso d’acqua.
Il tanish si avvicinò alla figura implorante e gli diede un calcio. Lo straniero gemette e si raggomitolò in posizione fetale.
- Cosa vuoi fare? Vuoi crepare sulla mia terra, così da gettare il malocchio sul grano per farlo marcire? – disse ancora, sputando per terra e assestando un altro calcio allo sconosciuto. – Se torni indietro e cammini per un’ora lungo la strada che porta a sud-est, dovresti trovare un vecchio pozzo. Se sarai fortunato ci troverai ancora dell’acqua. Adesso alzati in piedi e vattene!
Quando Yzer vide lo straniero provare goffamente a rimettersi in piedi, senza riuscirci, non poté fare a meno di provare pietà per lui. Si vergognò subito di quell’emozione: se suo padre si stava comportando in quel modo, non poteva essere in errore. Suo padre sapeva sempre cos’era giusto fare.
Lo straniero biascicò qualche supplica e afferrò la caviglia del padre di Yzer, che scosse la gamba con rabbia e rispose colpendolo con l’elettropungolo.
Dal rumore, il giovane capì che si trattava di un voltaggio basso, ma lo sconosciuto ebbe comunque dei forti spasmi.
- Ti ho detto che te ne devi andare! – urlò suo padre, con tono sempre più esasperato. – Vattene!
In un impeto d’ira, il tanish afferrò lo straniero e cercò di rimetterlo in piedi.
Nel farlo, il mantello cadde a terra.
Il padre di Yzer lanciò un urlo.
Le squame che coprivano il corpo dello straniero non erano grigie o verdastre, come quelle di Yzer o di tutti gli altri tanish che conosceva. Erano bianche, della stessa tonalità delle ossa appena ripulite.
Anche la forma della testa era diversa, più allungata, con mascelle di forma più massiccia e una fila di piccoli aculei ossei sul cranio. E occhi rossi come il sangue.
- Albino!
Strillò il padre di Yzer, lasciando istantaneamente cadere a terra lo straniero per fare il più volte segno contro il malocchio. Spaventato, il giovane ripeté il gesto a sua volta.
Dopo pochi istanti di pausa, il tanish tornò a colpire l’albino con l’elettropungolo.
- Maledetto! Cosa vuoi da noi? Vuoi far marcire il grano? Vuoi far ammalare il bestiame? Vuoi far morire i miei figli? – urlò, mentre il ronzio della sua arma si faceva sempre più forte. – Vattene, maledetto albino! Vattene!
Yzer non sapeva se essere più terrorizzato dal portatore di sventura o dalla reazione che suo padre stava dimostrando. Lo aveva visto arrabbiato molte volte ed era anche capitato che lo spiasse mentre affrontava il proprietario di qualche altro podere per motivi di confine o d’orgoglio, ma stavolta era diverso. Stavolta non era la rabbia a muovere i suoi colpi. Era il terrore.
Colpito da scariche sempre più violente, lo straniero cominciò a rotolare sui fianchi e a tremare violentemente.
- No… non oserai… - mormorò il tanish, per poi rivolgersi verso il figlio. – Yzer, presto, va a prendere una corda! Dobbiamo trascinarlo fuori dai nostri campi prima che crepi!
- Una… corda – fece il ragazzo, ancora sconvolto da quello a cui stava assistendo. – Dove la trovo una corda?
- Guarda nel capanno, accidenti. E se non la trovi, prendi un telo di fibra. Dobbiamo sbrigarci, o…
Il tanish smise improvvisamente di parlare, accorgendosi che l’albino gli aveva nuovamente afferrato una caviglia.
- Non mi toccare, bastardo!
Urlò, ripetendo ancora il segno contro il malocchio. Provò a colpire ancora lo straniero, ma l’elettropungolo non raggiunse mai il bersaglio.
Yzer fu accecato per un istante dal bagliore. Quando riuscì nuovamente a vedere, suo padre era riverso a terra, a tre o quattro metri da dove si trovava prima. Lo straniero, invece, era in piedi e il suo corpo era avvolto in una sorta di fiamma biancastra.
- Avresti fatto meglio a darmi pane e acqua – disse l’albino, gelido. – Adesso il malocchio sarà l’ultimo dei tuoi problemi.
Il tanish urlò e provò ad arretrare, poi si accorse di suo figlio.
- Scappa Yzer! – urlò, alzandosi in piedi. – Va ad avvisare tua madre, presto!
Spaventato com’era, Yzer non se lo fece ripetere e cominciò a correre a perdifiato verso casa.
Si voltò indietro solo una volta, quando le urla di suo padre divennero così forti da infrangere persino il terrore che gli stava annebbiando la mente.
Lo straniero aveva afferrato suo padre per il collo e lo aveva alzato a più di un metro da terra. Il tanish urlava ancora, ma le fiamme pallide lo avevano avviluppato e lo stavano consumando. Ma il momento più terribile venne dopo. Quando Yzer si rese conto che l’albino si era voltato e che i suoi occhi color sangue stavano guardando verso di lui.
Il giovane aumentò ancora la sua andatura. Si fece male colpendo le pietre sul selciato. Incespicò, ma non cadde: era troppo spaventato per permettersi di cadere.
Raggiunse il casolare e lo oltrepassò: casa sua era solo a poche centinaia di metri di distanza.
Cominciò ad urlare. Provò a chiamare sua madre. Poi qualcosa lo urtò con violenza sulla schiena e gli fece perdere l’equilibrio.
Sarebbe dovuto cadere, ma qualcosa lo afferrò per un braccio e sollevò in alto. Sempre più in alto.
- Dove credevi di andare, ragazzino? Non ho certo intenzione di lasciarti scappare.
Lo straniero lo teneva senza difficoltà, come se fosse senza peso. Era sempre avvolto da una luce splendente e sulla schiena gli erano spuntate due grandi ali membranose, come quelle che si diceva avessero i nachash, il Branco degli Strisciatori del Vuoto.
Nonostante tutto, Yzer non poté non pensare che era la cosa più bella e terribile che avesse mai visto.
Molti metri più in basso, la porta della casa si aprì e una tanish ne uscì fuori. Aveva un’arma in mano, ma non la usò e cominciò a fare il suo nome.
- È tua madre quella? – fece lo straniero. – Salutala con il cuore e guardala per l’ultima volta. Guarda per l’ultima volta tutto ciò che hai conosciuto fino ad oggi.
Portò alla bocca uno strano macchinario e pronunciò alcune parole in una lingua che Yzer non conosceva.
- La Lindwurm sarà qui a momenti – disse, mentre i suoi occhi si facevano sempre più brillanti, fino a occupare del tutto la visuale del giovane. – Dormi, adesso. Ci aspetta un lungo viaggio.
Quando Yzer rinvenne, si ritrovò immerso nella penombra, con il braccio sinistro incatenato e la schiena dolorante. Allungando la mano, scoprì con orrore di avere una serie di placche metalliche agganciate nella carne, dalla base del collo fino alla vita. Istintivamente, provò a smuoverle, ma, non appena vi appoggiò le mani, sentì di non riuscire più a fare forza sui muscoli e dovette fermarsi.
Prima che avesse modo di riflettere sulla questione, sentì un rumore alla sua sinistra e si voltò, accorgendosi che c’era qualcuno che lo stava guardando.
Yzer urlò: l’essere che lo stava osservando indossava una vestito con una tuta rossa, ma la testa e le mani, che erano scoperte, gli risultavano ributtanti. Era privo di scaglie, come molti animali del suo mondo natale, e la pelle era di un colore tendente al giallo pallido. La testa, priva del muso allungato dei tanish, era coperta sulla sommità da una fitta peluria nera, che si estendeva lungo i lati delle orecchie sporgenti, fino a coprire bocca e mandibola. Gli occhi, poi, avevano una forma affusolata, simile a quella della sua specie, ma la pupilla tondeggiante e il bulbo bianco facevano venire in mente a Yzer i racconti con cui suo padre lo spaventava quando era più piccolo.
Il mostro fece una smorfia, come una sorta di ghigno e pronunciò alcune parole.
-Io… io non capisco.
Disse Yzer, spaventato.
- Ti prego, non farmi del male. Voglio solo…
La creatura scomparve letteralmente dalla sua vista per una frazione di secondo. Quando riapparve, era a meno di un passo di distanza e gli aveva affondato il pugno nello stomaco fin quasi al polso.
Yzer gemette e cadde a terra. Altri colpi lo raggiunsero alla spalla e al torace, facendogli volare via delle scaglie insanguinate. Il mostro lo colpiva con una velocità spaventosa e, mentre lo faceva, non la smetteva di ridacchiare e di parlargli.
Anche se non conosceva la sua lingua, il giovane era più che sicuro che lo stesse insultando.
Improvvisamente, si sentì una nuova voce. La creatura smise di colpirlo e si fece di lato, permettendo a Yzer di vedere l’albino entrare nella stanza.
Il ghigno sul volto della creatura scomparve istantaneamente. Pronunciò qualche parola, ma l’altro lo interruppe e gli fece cenno di andarsene, sibilandogli contro qualcosa che potevano essere tanto insulti, quanto minacce.
Quando la creatura se ne fu andata, l’albino si avvicinò a lui e si accovacciò.
- Perdona Centopiedi: i genetisti che lo hanno reso un E-2 avrebbero dovuto rendere meno ottuso il suo cervello, invece di dargli un corpo disumanamente veloce – disse, parlando nella sua lingua. – L’idiota non ha ancora afferrato che stavolta la merce dev’essere trattata con cura e ti stava usando per sfogare le sue frustrazioni. Non riesce ancora a capire perché è quello che conta meno di tutti nel gruppo.
Yzer impiegò qualche istante per capire che la “merce” era lui.
- Ti prego, voglio solo tornare a casa – balbettò. - Voglio tornare dalla mia famiglia.
- Oh, ma tu stai andando a casa. Una nuova casa, con una nuova famiglia – rispose l’altro, mentre gli asciugava il sangue con un fazzoletto. – Entro un paio di settimane saremo a Veltra. Per allora, le tue scaglie saranno ricresciute e sarai pronto per la consegna. Dobbiamo solo sistemare qualche dettaglio.
L’albino si alzò in piedi. Sul suo muso comparve una sorta di sorriso benevolo che, nel contesto, spaventava Yzer persino più del ghigno del mostro che lo aveva attaccato.
- Si, giusto un po’ di addestramento e sarai un perfetto animale da compagnia. Il Patrizio Tartal ne sarà entusiasta.
- Animale… da compagnia?
L’albino rise.
- Già. Tra esattamente quindici giorni, l’Illustrissimo Jorge Tartal compirà quindici anni e suo padre ha intenzione di regalargli l’animale da compagnia che ha sempre desiderato. Un cucciolo di drago.
Yzer non sapeva cosa significasse “drago”, ma la sostanza del discorso gli era chiara. Per un istante, il dolore e la paura furono sopraffatti da qualcosa che sapeva di aver ereditato da suo padre. L’orgoglio.
- Maledetto albino. Io sono un tanish, non un animale.
- Vero. Tu non sei un animale e io non sono in grado di lanciare il malocchio sulle colture, per farle marcire, come sosteneva tuo padre – gli rispose l’altro. – Il problema è che, se tutti credono che tu sia in grado di fare una cosa, o che tu sia qualcosa, quello in cui credono diventa la verità. Anche se non lo è.
Detto questo l’albino estrasse da una tasca dell’abito un apparecchio e lo toccò un paio di volte con il dito. La catena che bloccava il braccio di Yzer si aprì.
- Seguimi.
Ancora inebriato dall’orgoglio suscitato in lui dalle parole dell’albino, il giovane avrebbe voluto opporsi, ma suo corpo obbedì al posto suo.
Per quanto in modo goffo e scoordinato, cominciò a camminare lentamente verso il suo interlocutore.
Quest’ultimo, osservandolo con aria incuriosita, gli ordinò di fermarsi, poi pronunciò una parola in una lingua sconosciuta.
Yzer si inginocchiò, anche stavolta in modo scoordinato.
- L’Inquisitore che ti abbiamo montato è un vero prodigio della tecnica, ma i parametri per cui è stato ideato sono quelli di un essere umano, non quelli di un drago… - mormorò, sfiorando la placca metallica che il giovane aveva alla base del collo. – Come pensavo: ci sarà da lavorare, per armonizzare i tuoi movimenti con gli ordini impartiti.
Gli afferrò la testa con le mani e lo obbligò a guardarlo negli occhi.
- Alla fine di queste due settimane, la volontà dell’Inquisitore e la tua saranno una cosa sola. Possiamo ottenere questo risultato con le buone, oppure posso fare in modo che ogni tuo movimento diventi un’atroce sofferenza. Regolati su quale strada vuoi percorrere: a me interessa solo il risultato finale.
Terrorizzato, Yzer guardò nel fondo di quegli occhi rossi come il sangue. Non dubitò nemmeno per un istante che stesse dicendo la verità.
- Salta, avanti! Non perdere il ritmo. Più rapido in questo passaggio!
La creatura-uomo chiamato Lucertola guidava la danza, scrutando attentamente il modo con cui Yzer si adattava alle variazioni della melodia.
Erano ore che andavano avanti, ed il giovane sentiva i muscoli contrarsi ad ogni movimento, ma non poteva permettersi distrazioni. L’albino lo stava osservando, e presto sarebbe intervenuto.
Improvvisamente, la musica si interruppe, proprio a metà dell’ennesima piroetta. Yzer rimase immobile sulla gamba d’appoggio: l’ordine che gli era stato dato era “balla”, quindi, fermato il ritmo, avrebbe potuto muoversi in autonomia, ma sapeva bene che sarebbe stato un errore.
- Si, adesso va molto meglio.
Fece l’albino, avvicinandosi a lui, mentre Lucertola si faceva indietro.
- Fai progressi lenti, ma costanti. Adesso sei più sciolto e le tue reazioni si adattano automaticamente a quelle dell’Inquisitore. Però…
Rimase un istante in silenzio, poi pronunciò una parola nella lingua umana chiamata neokoiné. Anche se la stava ancora imparando, Yzer aveva imparato a conoscere quel termine e andò in ginocchio.
- Bene, vedo che facciamo progressi anche in questo. Adesso, dimmi: chi è il tuo padrone?
- Jorge Tartal – rispose il giovane, pronunciando nella stessa lingua la frase che gli avevano insegnato. - Illustre figlio di Malco Tartal, Patrizio di Rialto e…
L’albino lo interruppe, afferrandolo per la gola e fissandolo negli occhi con i suoi orribili occhi rossi.
- Lo pronunci solo con la bocca: i tuoi occhi dicono ancora “io non ho padrone”. La stessa stolida arroganza di tuo padre.
Lo lasciò andare e gli diede le spalle. Yzer gemette debolmente, consapevole di ciò che lo aspettava.
- Soffri.
Il suo corpo fu attraversato da fitte di dolore lancinante che, partendo dalla schiena, attraversarono ad ondate progressive il suo corpo da un capo all’altro. Durò solo pochi istanti, ma al giovane sembrò di morire molte volte.
Nel frattempo, l’albino aveva cominciato a girargli attorno, mentre Lucertola osservava entrambi con aria incuriosita.
- Come può esserci tanto orgoglio in un cucciolo spaventato?
Sbottò l’albino.
- Beh, viene dalle stesse parti tue, no, capo? – gli rispose la creatura-uomo. - Un drago libero dell’Orlo Esterno. Lo hai detto tu che è gente testarda.
- Tanish. Voi li chiamate draghi, ma loro si definiscono tanish – precisò l’albino. – E tra me e questo cucciolo c’è la stessa differenza che può passare tra te un neonato. Anzi, anche di più.
Nel frattempo, Yzer era rotolato su un fianco, cercando di superare i crampi che, nel frattempo, si erano accesi nei muscoli doloranti e contratti.
Avrebbe voluto piangere, ma sapeva che i suoi aguzzini non avrebbero gradito, quindi si trattenne, limitandosi a un’unica lacrima nascosta.
Dopo qualche minuto, il dolore andò scemando, lasciando solo delle sgradevoli contratture nei muscoli.
Adesso nella stanza erano rimasti solo lui e l’albino. Lucertola se n’era andato, ma il giovane non era in grado di dire quando ciò fosse avvenuto.
- In piedi.
Anche se affaticato, Yzer obbedì.
- Ti manca la tua casa, cucciolo?
Chiese l’albino.
“Si.”
- No.
- Bugiardo – fece il suo interlocutore, quasi con noncuranza. – E quel che è peggio, è che menti malissimo. Soffri.
Un’altra scarica fulminea di dolore attraversò il corpo del giovane, facendolo barcollare.
- Sei un animale da compagnia, cucciolo. La tua casa è la casa dei tuoi padroni. Quindi non puoi provare nostalgia. E i tuoi genitori, loro ti mancano?
“Si.”
- No.
- Per quanto quel Jorge Tartal possa essere un moccioso viziato, persino lui si accorgerebbe che stai mentendo. Soffri ancora.
Ancora dolore. Yzer sentì le ginocchia cedergli.
- Ti ho forse dato il permesso di cadere? Resta in piedi, dannazione! – urlò quello, obbligando il giovane a resistere. – Sei un animale, cucciolo: non hai altra famiglia che quella che ti mantiene. Uno scambio equo fatto di finto affetto in cambio della sopravvivenza.
L’albino aveva preso a girargli attorno mentre parlava.
- Devi fingere che non ci sia mai stato nulla prima del momento della tua cattura. Menti a tutti, anche a te stesso, e fa solo quello che tutti si aspettano che tu faccia: questo è l’unico modo che hai per sopravvivere.
Si fermò improvvisamente davanti a lui. La vista di Yzer fu catturata integralmente dai suoi occhi rossi.
- Vorresti uccidermi? Desideri vendicare la morte di tuo padre e la tua cattura?
“Si, o forse…”
Il rosso degli occhi si fece più intenso.
- Rispondi.
“No.”
- No.
L’albino sorrise.
- Bene. Finalmente hai cominciato a capire come si fa.
Quando lo vide allungare la mano, Yzer si obbligò a restare immobile, terrorizzato da ciò che avrebbe potuto fargli se si fosse ritratto.
L’albino lo accarezzò sulla testa.
- Bravo, gli animali non odiano. O, almeno, questo è quello di cui dovrai convincere il tuo padrone – disse quello, ritraendo lentamente la mano. – Comunque, sei stato quasi convincente. Quasi. Ora soffri.
Preso di sorpresa proprio quando sperava di essere al sicuro, il giovane emise un urlo strozzato e crollò a terra.
- Basta così per ora. Torna pure nella tua stanza: Rospo ti porterà da mangiare tra mezz’ora.
Anche se debilitato per lo sforzò, Yzer riuscì ad alzarsi in piedi e si trascinò fuori dalla sala comune.
Gli alti palazzi di Veltra scivolavano rapidamente davanti alla vetrata panoramica della navicella, rivelando un paesaggio massicciamente urbanizzato, ma comunque armonioso.
L’albino si avvicinò a lui, osservando lo spettacolo con aria indifferente.
- Tartal e i suoi ci aspettano allo spazioporto. Quando scenderemo, salderà il nostro compenso e ti prenderà in consegna. Non sei felice di conoscere il tuo vero padrone?
- Non attendevo altro.
L’albino rimase in silenzio qualche istante, poi riprese a parlare, sempre ostentando indifferenza.
- E del tuo abbigliamento cosa mi dici? Da quello che ho capito, è quello che indosserai quando verrai regalato al piccolo Jorge.
Yzer indossava una sorta di ingombrante corazza, tanto pesante quanto appariscente. Da quello che era riuscito a capire, con quella addosso si otteneva il duplice risultato di nascondere l’Inquisitore e di farlo assomigliare a uno dei draghi dei fumetti che il festeggiato adorava.
- Penso che sia tutto bellissimo. Il mio padrone rimarrà estasiato.
L’albino scoppiò a ridere.
- Si. Ora si che sei in grado di ingannare tutti. Sembri in tutto e per tutto un animale da compagnia: sciocco e servile.
Il giovane non rispose, limitandosi a sorridere a sua volta.
- Sono ciò che gli altri vogliono che io sia.
- Bravo, ragazzo. Vedo che hai afferrato il concetto. Io ci ho messo anni prima di rendermi conto di questa verità. E ci ho messo ancora più tempo per trasformarla in un’arma.
I palazzi scomparvero. Davanti a loro comparve una gigantesca pista di decollo, affollata da decine di velivoli e navicelle in partenza o in fase di atterraggio.
- Pochi minuti ancora… - mormorò, l’albino, poi si voltò ancora verso di lui. – Prima che sia troppo tardi, dimmi una cosa: desideri ancora uccidermi?
“Più di ogni altra cosa al mondo.”
- Sono un animale. Gli animali odiano solo i nemici del loro padrone.
L’altro lo osservò per qualche istante ancora, negli occhi un misto di sospetto e ammirazione.
- Adesso sei praticamente perfetto… se non sapessi perfettamente quello che ti ho fatto fin ad ora, persino io crederei alle tue parole.
Si avvicinò a lui e portò il muso allungato vicino all’orecchio.
- Visto che adesso sembri volermi così tanto bene, c’è un piccolo segreto che voglio rivelarti. Una cosa che sarebbe meglio nasconderti – sussurrò. – Con il tempo, alcuni tanish… alcuni draghi, sviluppano doni particolari, segni del nostro legame con i nachash e con il potere del beisir. Se un giorno anche tu dovessi sviluppare simili capacità e ti dimostrassi in grado di superare il controllo dell’Inquisitore, vienimi a cercare.
Yzer sentì la mano dell’altro strisciare sulla corazza, fino a raggiungere la placca posta al centro della schiena.
- Mi serviva il mio potere del beisir per adattare l’Inquisitore alla tua fisionomia, per questo ho inserito al tuo interno una mia scaglia. E finché tu la porterai con te, noi due saremo legati.
Yzer lo guardò, sostenendo il peso dei suoi occhi rossi il più possibile. Per un istante, accettò di abbassare la maschera che aveva indossato.
- Se anche ciò fosse vero, perché dovresti dirmi in che modo trovarti?
- Perché anche tu meriti la stessa occasione che ho avuto io. Anche tu meriti, se ne avrai la forza, di rivendicare il diritto ad essere ciò che sei e non solo ciò che vogliono gli altri. Per la nostra gente ero solo un tanish albino, un abominio portatore di sventura, ma ho scelto di essere molto più di questo. Ora sono Alhague, il drago bianco.