Omicidio sul Solar Expressdi Nazareno Marzetti
Da fuori il Solar Express pareva una manciata di pennarelli per bambini tenuti insieme da un paio di elastici. Anche il diverso colore dei vari vagoni contribuiva a quell’idea generale. Una manciata di pennarelli che diventava sempre più grande mentre arrivavano i vari moduli. Il Solar Express, come a un’altra decina di treni in assemblaggio doveva fronteggiare la più grande emergenza umana dello spazio, e stavano raccattando vagoni da tutte le parti.
Todd tornò a guardare il dispositivo di registrazione. Gli avevano dato la possibilità di inviare un messaggio di trenta secondi ai suoi familiari, ma non riusciva a trovare le parole. Si toccò il punto in cui le sue cosce finivano in moncherini fasciati da bende ormai da cambiare. Gli avevano salvato la vita, ma non erano riusciti a fare di più.
«Tutti gli assegnati al vagone sette si avvicinino al portello. Consegnatemi le registrazioni prima di salire e specificate correttamente il destinatario» urlò una ragazza.
Vagone sette, il suo. Diverse persone cominciarono a muoversi. Todd premette sul tasto di registrazione, prese un profondo respiro e «Io…» iniziò, ma si bloccò. Cancellò e riprovò più volte, senza mai arrivare oltre. Intanto le persone cominciavano a muoversi. Galleggiò in assenza di gravità seguendo il flusso, tentando ancora una volta di registrare ogni volta che aveva una mano libera. «Mi spiace mamma» fu il messaggio che consegnò alla ragazza.
«Caren Garien in Kinsley, 2602 Northon Bruxe. Corretto?»
Todd fece un cenno affermativo con la testa e si spinse nel vagone. Seguendo le indicazioni degli assistenti fluttuò andando a sistemarsi sul sedile a lui assegnato, a cui si agganciò con le cinture di sicurezza. Passò un’eternità in un silenzio crucciato, mentre il vagone si riempiva, poi il suono di una sirena e l’interno del vagone iniziò a ruotare su se stesso, dando una sensazione di gravità.
Intorno a lui si sollevò un brusio, che salì di volume fino a diventare un chiacchiericcio assordante. Molti passeggeri si erano alzati e andavano in giro per il vagone, parlando, lamentandosi. Erano tutti superstiti del disastro. Al momento del collasso la cintura spaziale intorno alla Terra ospitava diverse migliaia di persone. Tutti quelli che si erano salvati erano su quel treno spaziale. Sapeva che c’erano state diverse vittime anche a terra, ma le notizie che arrivavano erano confuse.
Avevano davanti diversi giorni di viaggio. Qualcuno sarebbe stato ospitato sulla base lunare, qualcun altro su Marte. La sua destinazione era una base spaziale orbitale. Con tutti e tre gli ascensori orbitanti fuori uso, nessuno poteva più tornare sulla superficie del pianeta.
Restò seduto per qualche tempo, poi un bisogno impellente lo costrinse a scuotersi da quel torpore. Spinse sulla sedia e… si ritrovò ancorato ad essa. Dall’incidente era passato da una scialuppa di salvataggio a una base provvisoria. Da quando aveva perso le gambe era la prima volta che si trovava in presenza di gravità, seppur simulata. Era la prima volta che si rendeva conto che non poteva muoversi da solo. Il bisogno di andare in bagno lo convinse a non perdere tempo in riflessioni filosofiche, e chiamò assistenza.
Diversi minuti dopo si fece strada tra la folla un robot dall’aspetto pittoresco. Indossava un impermeabile e un deerstalker, e aveva una pipa incorporata nella bocca dalla quale usciva un filo di vapore.
«Deduco che avete bisogno di aiuto» disse questo avvicinandosi.
«Eccheccavolo» sbottò Todd. «E tu chi saresti?»
«Sherlock Holmes, mio caro Watson.»
«Mi chiamo Todd. E ho bisogno di un assistente.»
«Dovrebbe intuire che sono stato riconvertito provvisoriamente nel ruolo di assistente di volo. In cosa posso esserle utile, mio caro?»
«Devo andare al cesso» esclamò il ragazzo. Tutta quella sufficienza e quella gentilezza di altri tempi gli faceva venire voglia di essere volgare.
«Ovviamente. La prego di appoggiarsi a me.»
Nonostante i modi sin troppo affettati, il robot fu abile nell’accompagnare il ragazzo ai servizi e Todd poté passare un po’ di tempo da solo.
Si stava lavando le mani quando sentì le urla.
«Cosa succede?»
«L’unico modo per saperlo con certezza è avvicinarsi e chiedere.»
«Grazia Graziella e grazie al…» borbottò Todd, uscendo.
Al centro del vagone, dove la gravità era nulla, galleggiava il corpo di un uomo. Il sangue usciva da un profondo taglio nel petto, formando piccole sfere rosse e lucide che, catturate dalle correnti d’aria, creavano un effetto scenografico tutto intorno al corpo. Todd non riusciva a staccare lo sguardo dagli occhi sbarrati dell’uomo, affascinato e al tempo stesso orripilato dallo spettacolo.
«È necessario scoprire il colpevole il prima possibile. Dato che tu eri con me al momento dell’omicidio mi farai da assistente» disse il robot detective.
«Cosa? Ehi lattina vuota, questo non è uno spettacolo. È un morto vero.»
«Non mi è sfuggito. Le devo far notare, mio caro Todd, che, oltre che figurante negli spettacoli, sono abilitato come aiuto investigatore. Desidera assistermi in questa indagine?»
Todd ci pensò un momento. Sicuramente era un’alternativa migliore a starsene seduto a compiangersi fino a che non verrà smistato in qualche struttura di accoglienza. «Però avrò bisogno di una sedia a rotelle. Non puoi portarmi in braccio tu per tutto il tempo.»
«Ve ne sarà procurata una. Ora mi permetta di portarla verso il corpo.» Il robot lo prese e con una potente spinta, raggiunsero il centro del vagone.
Todd rimase un po’ indietro, mentre il robot di Sherlock Holmes osservava il cadavere. Dopo poco arrivarono alcuni spaziali che si identificarono come agenti e parlarono a lungo con il robot. Todd non ascoltò una parola di quello che si dicevano, rapito com’era dai loro piedi, praticamente un altro paio di mani che non erano in grado di sostenerli in condizioni di gravità normale, almeno così aveva sentito dire. Era la prima volta che vedeva un vero spaziale. La maggioranza degli spaziali era nata e cresciuta nello spazio, per loro la distruzione dell’ascensore orbitale non avrebbe cambiato niente. Tornò a concentrarsi sugli agenti quando il robot lo presentò a loro.
«Per l’occasione il signor Todd mi farà da assistente.»
«E perché proprio lui?»
«Era in bagno sotto la mia supervisione quando è stato commesso il fatto.»
I due agenti lo squadrarono e poi liquidarono la faccenda con un «Fai come ti pare» e si allontanarono.
Todd si chiese se potessero reggere quella gravità artificiale nell’interno del vagone, ma notò che si limitarono ad andare dritti per il centro longitudinale spingendosi con una cintura a getti d’aria.
«Dovremmo procedere nel raccogliere le testimonianze. Mi segua signor Todd» disse il robot.
Il primo giro di testimonianze fu una inutile caciara di persone che avevano sentito lo sparo e si erano voltate verso l’alto. Alla terza testimonianza fotocopia Todd aveva iniziato a gironzolare con la sedia a rotelle allontanandosi dalla calca. Si chiese da dove venisse quell’uomo. Non può comparire lì al centro del vagone dal nulla. Si chiese se la forza di un proiettile sarebbe stata sufficiente per spingerlo fino in quel punto. Non ne sapeva nulla di balistica, ma la spinta che aveva dato Sherlock per farli arrivare fin lì era considerevole. Quindi doveva essere stato spinto da un lato del vagone.
Issarsi a forza di braccia sulla scala a pioli del personale fu difficile solo per i primi metri: quasi subito la gravità fittizia diminuì fino a sparire. Reggendosi al centro del disco e roteando con esso, guardò verso gli spaziali che stavano coprendo il cadavere a qualche metro di distanza. Quanta forza ci voleva per farlo arrivare lì? E quanta precisione per evitare che venisse catturato dalla gravità? Più ci pensava più si convinceva che qualcuno lo aveva spinto lì, ma non capiva perché.
«Ha scoperto qualcosa, mio caro Todd?» chiese una voce poco sotto di lui.
«Mi chiedevo… che senso ha uccidere qualcuno e poi spingerlo lì?»
«Non tragga conclusioni affrettate: prima bisogna esaminare i fatti e poi con un processo logico arrivare all’unica spiegazione plausibile.»
«Be’, l’unica spiegazione plausibile qui è che qualcuno abbia voluto attirare l’attenzione.»
«Non è così che si ragiona: bisogna esaminare…»
«I fatti, ho capito!» Todd prese un profondo respiro. «Io… vado a vedere se trovo qualcosa da questa parte. Tu esamina i fatti e fammi sapere.»
Facendo forza sulla maniglia, si infilò nel condotto di servizio al centro del vagone. Il giunto girava intorno a lui ed era strano non riuscire a capire esattamente cosa girasse e cosa no.
«Non può stare qui» gli disse un membro dell’equipaggio.
«Sono l’assistente di Sherlok Holmes.»
«Ah, allora tutto a posto.»
«Grazie.»
«Ehi! Sarcasmo! Voi terrani conoscete questa parla? Non puoi stare qui, neanche se lo dice quel robot intrattenitore.»
«Ma…»
«È uno spettacolo per intrattenere i passeggeri. Non prenderlo troppo sul serio. La polizia sta facendo la vera indagine.»
«Ah, ora ha tutto più senso.»
«Bravo. Tornatene al tuo posto.»
«Senti… posso stare almeno in questa zona? Giù sono…» indicò con lo sguardo i moncherini.
«Uhmpf! Fai come vuoi, non rovinare lo spettacolo e non superare la linea gialla.»
«Certo» rispose il ragazzo. Appena lo spaziale si fu allontanato, entrò nel corridoio e si sbrigò a infilarsi in un condotto secondario. C’era uno di quelle giacche dell’equipaggio appallottolata in uno sportello. Puzzava, ma se la infilò uguale.
Si voltò, trovandosi faccia a faccia con uno spaziale. Indossava una tuta da lavoro, ma non la giacca dell’equipaggio, quindi ci provò: «Non può stare qui» gli disse, cercando di ostentare una sicurezza che non aveva.
«Bel tentativo» rispose questo. «Ti ho visto sgattaiolare qui dentro.»
«Non sei dell’equipaggio, vero?»
«No. Che stavi facendo?»
«Il tipo ammazzato… ho pensato che poteva esser stato spinto da qui dentro.»
«Non avrai preso troppo sul serio quel robot figurante?» chiese lo spaziale indicando verso il vagone con il pollicione del piede destro.
«No… Sì… Insomma, l’alternativa è starmene a compiangermi per…» di nuovo, concluse la frase indicando le gambe mancanti.
«Ah… è successo…?»
«Oggi, sì. Possiamo cambiare discorso?»
«Certo.» Lo spaziale si guardò intorno e prese a sua volta una giacca dell’equipaggio. «Ostenta sicurezza e potremmo giocare qui in giro per un po’.»
Todd annuì.
«Io sono Pick.»
«Piacere, Todd.»
«Il tipo… si sa chi era?»
Todd scosse la testa.
«Bene, vediamo di scoprirlo» disse lo spaziale, avvicinandosi ad un terminale.
«E come pensi di fare?»
«Se il robot sta facendo intrattenimento, dovrebbe mettere tutte le informazioni sul caso sul proprio sito, in modo che il pubblico possa partecipare… Infatti ecco: Darin Denell. Lavorava sul solar express come addetto alla manutenzione dei sistemi di areazione.»
«Ah. Un momento… Sistemi di areazione?»
Lo spaziale si voltò con gli occhi sgranati. Stavano pensando la stessa cosa.
«Ma… sarebbe assurdo» provò a dire Todd.
«La maggior parte delle riserve di ossigeno vengono dalla Terra. Senza più l’ascensore orbitale, il prezzo dell’aria salirà alle stelle.»
«Ma… sarebbe assurdo: chi ruberebbe l’aria.»
«Ah, ne conosco almeno un paio.»
«Avvertiamo l’equipaggio?»
«Se lo facciamo ci cacciano di nuovo nel vagone. Però… Sì, vediamo se se ne sono accorti.»
Todd seguì lo spaziale per una serie di cunicoli di servizio a gravità zero. Pick si muoveva agilmente, usando tutte e quattro le mani per spingersi nel condotto. Todd aveva qualche difficoltà a seguirlo, ma trovò comodo dover gestire solo metà del corpo. Un pensiero che non gli piacque affatto. Continuò a seguire lo spaziale fino ad un portello, poi entrambi rimasero immobili ad ascoltare quello che l’equipaggio si diceva.
Nella stanza di controllo c’era una certa agitazione. Rimasero un po’ ad ascoltare finché
«Capo» disse qualcuno nella radio interna. «Mancano i serbatoi quattro e cinque.»
«Cosa? Ma come hanno fatto? Li hanno…»
«Segati sì. Il taglio è ancora caldo.»
Seguirono diverse imprecazioni che Todd non riuscì ad afferrare bene.
«Chiama base Luna due. Avvertili della situazione.»
«Senza due serbatoi» fece notare qualcuno, «non riusciremo ad arrivare.»
«Lo so! Lo so. Rika, controlla se ci sono pattuglie della polizia in zona.»
«Negativo, capo. Li ho avvisati, ma si sono verificati furti simili anche in altri convogli.»
«Mike…» il capitano si prese una pausa prima di porre la successiva domanda. «Abbiamo aria per… quanti vagoni?»
«Non vorranno…?» sbottò Todd, in un sussurro.
«Otto. Nove se interveniamo subito e speriamo in un miracolo.»
Todd deglutì.
«Tre vagoni… Sigilla tutti i vagoni e imposta… Una scelta casuale. Guy, riprogramma la rotta. Sprechiamo un po’ di carburante, ma cerchiamo di salvare almeno gli altri e… Cavolo. Saranno seicento persone.»
«La maggior parte sono terrani» commentò qualcun altro in plancia, provocando un nuovo e ben più intenso flusso di insulti e imprecazioni che Todd non ascoltò.
«Trecento persone…» mormorò.
«Non possiamo permetterlo.» Anche Pick era allibito.
«Dobbiamo avvertire i passeggeri.»
«E a che scopo? Ci sarebbe solo una ressa inutile. No… dobbiamo recuperare quei serbatoi.»
«Come? Se neanche loro possono…»
«Ho una navetta» disse lo spaziale, allontanandosi nel corridoio così in fretta che questa volta Todd riuscì a stento a seguirlo.
«Scusa… ma, se hai una navetta, cosa ci fai qui?»
«Ecco… Problemi tecnici. Sai qualcosa di meccanica?»
«Ho smontato la modo di papà un paio di anni fa.»
«Ok, me lo farò bastare. Mi serve qualcuno in sala macchine.»
La Stinger era accatastata nel bagagliaio del Solar Express insieme a tutto quello che erano riusciti a salvare dal disastro.
«Cavolo. Proprio in mezzo. Quando apriremo il portellone… Be’, non saranno contenti» commentò Pick.
«Quando apriremo il portellone l’aria non verrà persa?»
«La stiva viene pressurizzata solo se serve. Dobbiamo procurarci delle tute per arrivare. Se fosse stata più vicino, avrei tentato trattenendo il respiro.»
«Tu sei matto.»
«Se non lo fossi non proverei neppure ad imbarcarmi in questa impresa. Vuoi tirarti indietro?»
«No.»
Pick gli sorrise e si spinse verso la camera stagna. Poco dopo entrambi erano nella navetta. L’aria puzzava di chiuso e di sudore, con un retrogusto acre molto fastidioso. L’ambiente era piccolo. C’era un ristretto spazio abitativo dal quale si aprivano piccoli loculi e si dipanavano corridoi. Una porta dava sulla cabina di pilotaggio, grande esattamente per lo spaziale. «Vai in sala macchine» disse questo, entrandovi. «E preparati.»
«Sì, ma come funziona? Non ho mai lavorato su questi motori.»
«La navetta è un gioiellino. Devi solo seguire le mie indicazioni.»
«Va bene… dov’è la sala macchine?»
«Quel corridoio. Poi gira a destra e scendi in fondo.»
Fece pochi metri e si bloccò: il bivio aveva una strada che saliva e una che scendeva. «Ehm… Pick… qual’è la destra?»
«Quella con il neon rotto.»
«Ah.»
La sala macchine non aveva certo l’aspetto di un gioiellino: chiazze di olio, bruciature di incendi e l’odore acre che aveva sentito poco prima.
«Ok ci sono. Adesso?» urlò. In tutta risposta un macchinario enorme si attivò, producendo un rumore di ferraglia che si trasformò in un persistente ronzio appena arrivò a regime.
«Attiva il microfono» rispose la voce dello spaziale da un altoparlante gracchiante.
Todd cercò un po’ poi riuscì a trovare l’interruttore. «Mi senti?»
«Sì.»
«Qui… non ci capisco niente. La metà di questi tasti non ha etichetta e dell’altra metà…»
«Lo so. Ci sono dei manometri davanti a te. Avvertimi se uno sale troppo.»
«Quanto è troppo?»
«Non lo so. Fai tu.»
Il ragazzo non sapeva neanche che significavano quei valori. Però in quel momento solo uno era salito a poco meno di un terzo di quadrante. «Per ora tutto bene.»
«Ok. Cerca la leva che trasferisce energia ai reattori e poi spingila lentamente.»
«Reattori… reattori… eccola» mormorò Todd, procedendo poi a spingerla. Diverse lancette si alterarono, ma nessuna sembrò salire “troppo”. «Un momento!» esclamò. «Le porte della stiva… Le hai aperte?»
«Non te ne preoccupare. Dammi più potenza. Molta più potenza.»
Todd si pentì di essersi infilato in quell’impresa.
«E reggiti!»
Ci fu un’accelerazione assurda. Todd riuscì appena ad aggrapparsi a una leva. Quella sbagliata.
«Per Marte! Todd! Riapri il flusso di refrigerante!»
In qualche modo il ragazzo riuscì a cambiare presa e rimettere a posto la leva. «Ma che…»
«Ora inizia la parte divertente» disse lo spaziale dalla plancia.
«Che vuoi fare?»
Ma Pick non rispose. Chiamò invece alla radio: «Stinger chiama nave 1804362.»
«Qui 1804362. Pick sei tu?» si sentì rispondere. La voce gracchiante a causa del doppio passaggio.
«Cavolo Carmen! Che state combinando?»
«Be’, mi pare ovvio. E non sperare di averne una fetta.»
«Ma quale fetta! Hai condannato a morte delle persone!»
«Nah. Hanno abbastanza aria per arrivare a destinazione… quasi tutti almeno.»
«Hanno deciso di chiudere l’aria a tre vagoni!»
«Ah be’, troppo tardi. Non restituisco la roba che mi prendo. La vuoi? Sai come fare. Sempre che tu abbia voglia di sprecare carburante e proiettili per inseguirmi.»
Ci fu un rumore sordo. La conversazione era chiusa.
«Hai sentito Todd?»
«Sì ma non mi piace. Che hai intenzione di fare?»
«Un bell’abbordaggio.»
«Cosa? Come possiamo in due abbordare una nave?»
«Carmen lavora da sola.»
«Sì ma…»
«Arriva!»
Un tremendo boato si propagò per tutta la nave. «Danni?»
«Come li vedo?»
«C’è una consolle. Reggiti: manovre evasive!»
Todd non poté fare altro che aggrapparsi alla consolle, mentre la navetta continuava a fare strettissime virate e incassare colpi.
«Danno alla corazzata esterna» lesse Todd. «Ora… danno al propulsore E… No F… Anche E ora… Cavolo! Ci stanno facendo a pezzi!»
«Yuhuuuu!» urlò Pick in preda all’entusiasmo. «Prendi questo! E quest’altro! Ti piace?»
La voce di prima passò di nuovo tra le due radio «Ok! Ok! Maledetto fanatico! Prendi i tuoi fottuti serbatoi e lasciami stare!»
«Saggia scelta carissima!»
«Questa me la paghi.»
«Quando vuoi.»
Il silenzio e la calma che ne seguì furono estranianti.
«Tutto qui?» chiese Todd. «Non che voglia lamentarmi, sia chiaro ma…»
«Certo. Guarda che il carburante e le munizioni costano.»
Il rientro al Solar Express si prospettava molto più tranquillo. Pick aveva già speso un sacco di carburante per quell’assurda battaglia spaziale, e impostò una rotta che gli avrebbe permesso di recuperare i serbatoi sganciati dalla nave di Carmen e trovarsi a un rendez vous con il treno solare con un’unica variazione di traiettoria. Il recupero fu facile, o almeno così lo fece sembrare lo spaziale che, con un unico movimento del braccio robotico, afferrò i due cilindri e li spinse nella piccola stiva. Poi passarono le successive due ore a fare il conteggio dei danni e fare le riparazioni d’emergenza. Finalmente Todd cominciava a capirci qualcosa, anche se era Pick a fare il grosso del lavoro.
«Chi è questo Loone?» chiese, dopo l’ennesima volta che veniva nominato.
«Il mio meccanico» rispose Pick, finalmente in vena di conversare. «Quando la cintura è andata distrutta è caduto in depressione.»
«Capisco.»
«E tu?»
«Io… Ero venuto quassù in gita. Con mio padre.»
Lo spaziale mosse appena la testa, invitandolo a proseguire.
«Quando è successo stavamo nella sezione 32.»
«Quella è che precipitata nell’atmosfera.»
«Sì. Le paratie si stavano chiudendo e… mio padre mi ha spinto. Quando si sono chiuse poi…»
«E i tuoi? Sei riuscito almeno ad avvertirli che stai bene?»
«No. Ci avevano dato la possibilità di registrare trenta secondi, ma non sono riuscito a combinare niente.»
«Usa la mia radio.»
«Ma… non ti costa?»
«Non fare lo scemo. Vai.»
Quando sullo schermo comparve il volto della madre, a Todd si seccò la gola.
«Mamma…» farfugliò.
«Oh, Todd… Stai bene! E Jhon? Come sta? Quando ho saputo ero così preoccupata e nessuno sapeva dirmi niente.»
«Mamma…»
«Ho visto alla televisione. Ne parlano in continuazione: non sanno come mandarvi su ossigeno e come fare per portarvi giù. Stanno preparando uno shuttle.»
«Mamma… Per favore. Fammi parlare.»
«Ma dicono che ci vorrà qualche mese… Sì dimmi.»
«Papà è…» gli ci volle un altro profondo respiro per dire quella parola. «Morto.»
Mentre il volto della madre diventava sempre più bianco, Todd continuò. «Le paratie si stavano chiudendo e lui mi ha dato una spinta. Mi ha salvato, ma è rimasto indietro.» Lei scuoteva la testa, con gli occhi pieni di lacrime. «Poi quando le paratie si sono chiuse, mi hanno… Schiacciato le gambe. Da metà coscia. È Stato…»
«Oh, piccolo mio… Tieni duro va bene? La mamma verrà a prenderti. Faranno uno shuttle. Ti vengo a prendere e ti porto a casa.»
«No, mamma.»
«Cosa?»
«Non torno sulla terra. Non voglio essere solo un povero disabile. Qui, anche senza gambe, posso fare qualcosa. Le gambe non mi servono nello spazio.»
«Ma pulcino mio…»
«Mamma, ho deciso. Non posso più tornare giù.»
Prima di rispondere, la donna si asciugò malamente gli occhi e si soffiò il naso. «Prometti che mi scriverai?»
«Sì.»
«Verrò a trovarti. Promesso.»
«Ci conto.»
Doveroso: le specifiche chiedevano una commistione di generi.
Anche se ho iniziato come un giallo la mia idea era di fare un triller fantascientifico. Il plot twist è dovuto solo alla necessità di giustificare la presenza di un robot Sherlock Holmes, anche se solo come attrazione.
Spero che il risultato sia comunque piacevole.