| ARCADIA di Alexandra Fischer
L’ anziana orologiaia smontò il cipollone e si mise a pulirne gli ingranaggi. Occuparsi di certi pezzi d’antiquariato era la sua specialità. Lavorava sempre nello stesso orario, circondata da arredi nei quali le varie epoche avevano lasciato traccia, a partire dal ritratto baffuto del fondatore, eternato in una fotografia Anni Quaranta che virava al seppia. E anche la clientela non cambiava mai, per la maggior parte ultrasessantenne come lei, per quanto ogni tanto passasse qualche trentenne come il suo collega Guido. Finché, un giorno, il proprietario del negozio le mostrò un paio di lancette. «Sai niente della pendola Arcadia?» «Quel misto di antico e moderno? No» «Si dà il caso che il tuo collega se la sia portata nel loft». Quando il capo le disse dove si sarebbe dovuta recare per riportarla al negozio, Venanzia impallidì. «Ma è ad almeno cento chilometri di qui e lo sciopero dei treni dura da almeno tre mesi e io…» «…ho venduto la macchina per pagare le cure mediche a tua sorella. Lo so, ma devi riportarmela subito. Il cliente lo vuole» Disperata, l’orologiaia telefonò a un suo conoscente, il quale le rispose d’un fiato: ‟Certo che ti porterò fino a Elvia Boaria. Vieni pure quando vuoi, anche subito”. Lei lo prese in parola e il suo amico le mostrò la Balilla del 1936 appena rimessa a nuovo. «Non ti devi preoccupare per la distanza. Sai, ho appena usato questo gioiellino per una gara d’auto d’epoca».
Il loft del collega si trovava accanto a un edificio di stile neoclassico, con tanto di frontone ornato dall’immagine di un vecchio con la falce in una mano e la clessidra nell’altra. All’orologiaia ricordò la stessa figura che sormontava l’orologio. Dietro la tenda di una delle finestre al piano terra si mosse un’ombra, ma lei non vi diede peso, aveva fretta di riprendersi l’orologio e convincere il suo amico a rimandare il giro nella grande città. Guardò verso il loft e vide che le luci della sala erano accese e il portone d’ingresso era aperto, così vi si infilò. Guido l’aspettava in cima alle scale esibendo un sorriso tirato. Facendola entrare nel salotto commentò con finta allegria: «Certo che una macchina così non passa inosservata. Cos’è, il capo ha manie nostalgiche?» «Ma no, è di un mio amico. Piuttosto, l’orologio dov’è? Guarda che deve essere pronto entro domani» L’orologiaia si guardò intorno. «Non è qui, e ti chiederai perché ho lasciato le lancette in negozio» «Eh, sì» Qualcun altro salì le scale. Alla comparsa dell’uomo vestito di completo blu con appuntata una medaglietta con il simbolo di una falce e di una clessidra il suo collega si mise a tremare. «Cos’altro… volete?» «Sapere chi è questa donna. Viene forse dall’altra sede del nostro ordine?» Il collega di Venanzia gli spiegò chi era.
Il rumore di vetri infranti nel palazzo vicino fece sobbalzare l’amico di Venanzia in attesa nella Balilla. Quando vide chi lo aveva prodotto saltare dalla finestra e dirigersi verso la macchina gridando aiuto, si spaventò al punto di paralizzarsi al volante mentre il fuggiasco apriva la portiera. «Questa la prendo io» gli disse, tentando di scaraventarlo fuori dalla portiera, ma il proprietario dell’auto si mise a lottare. Dal palazzo con la finestra rotta uscirono alcuni individui vestiti di blu armati di taser e circondarono il veicolo facendoli scendere entrambi. L’amico dell’orologiaia notò che il gruppo vestito di blu lo era in fogge di svariate epoche: dagli abiti rinascimentali sovrabbondanti di velluti e pellicce alle crinoline ottocentesche e alle marsine e cilindri, passando per gli abiti degli Anni Venti con le linee a trapezio e i completi da uomo con borsalini e soprabiti dai quali si intravedevano colletti smontabili e cravatte sottili fino alla moda contemporanea. «È una festa in maschera o cosa?» domandò con tono scherzoso, ma l’arrivo di un terzo uomo con la sua amica e il collega di lei che lo precedevano a mani alzate lo spaventò. La donna più anziana del gruppo gli andò incontro sistemandosi il cappello Fedora in tinta con il tailleur, i guanti e la stola di visone. «L’orologio?» «Ho frugato dappertutto, ma niente» L’orologiaia disse al collega: «E cosa daremo al cliente?» Il fuggiasco intervenne: «Le lancette». Tutti parvero notare solo allora la borsa a tracolla. «Allora è per quello che mi ha chiesto di portarlo a casa» disse il collega dell’orologiaia «ma come ha fatto a prenderlo di là?» «Così» disse lui aprendo una mano e facendo volare via i vetri sulla strada e ricomponendo la finestra «comandando il tempo, così sono tornato all’istante preciso in cui gliel’ho consegnato. E se mi chiede perché non uso il mio potere per disarmare questi uomini le dirò che non voglio. Fanno parte della mia vita da secoli. Se vogliono usurparmi del mio potere lo facciano, ma a loro rischio».
La donna più anziana del gruppo accompagnò l’orologiaia al negozio, dove la costrinse a prendere le lancette in compagnia del fuggiasco. Degli Anni Quaranta non aveva solo lo stile nell’abbigliamento, ma anche la capacità di guidare la Balilla, requisita all’indignatissimo amico di Venanzia trattenuto nel loft. Prima di scendere lui rifece lo stesso gesto con la mano e l’orologiaia entrò trovandosi davanti al fondatore del negozio, che le diede un paio di lancette uguali a quelle lasciate lì dal collega. La clientela era vestita nella stessa foggia Anni Quaranta della donna più anziana e non si stupì certo di vedere la Balilla parcheggiata a poca distanza dalla vetrina. «Un piccolo salto temporale all’indietro» le disse il cliente «ho scelto le lancette venute prima di quelle lasciate nel negozio della sua epoca». Interdetta, spaventata, Venanzia decise di assecondarlo: «Ma quei suoi compagni se ne accorgeranno» bisbigliò all’uomo prima di uscire dal negozio. «E allora? Voglio vedere cosa faranno dopo che il suo collega avrà messo a posto le lancette».
All’interno dell’edificio in stile neoclassico era tornata la calma. La donna più anziana proclamò: «L’ordine di Saturno tornerà alle attività di sempre. Ora che Arcadia è tornato a funzionare». Non appena le lancette ebbero compiuto il primo giro, l’orologio da tavolo si liquefece e i membri dell’ordine abbigliati nelle fogge anteriori agli Anni Quaranta divennero polvere sotto gli occhi inorriditi dei membri più giovani. Il proprietario dell’orologio disse agli altri, assiepati presso la porta con i taser in pugno: «Provate ad uscire di qui se ce la fate». L’orologiaia e il collega, in piedi insieme al furibondo amico di lei davanti alla parete opposta lo sentirono ridere. Il proprietario dell’orologio si voltò verso di loro: «Per voi non so cosa fare. Vedete, il tempo ha smesso di scorrere per tutti quelli che si trovano qui. Aspettate». Poi andò verso l’ammasso liquefatto e provò a rimetterlo in funzione, com’era già successo in passato ogni volta che il suo potere era stato rimesso in discussione dai suoi aiutanti, ma non successe niente. E gli accoliti gli si avvicinarono pazienti con le armi puntate contro di lui, ma senza perdere di vista l’orologiaia e il collega; per entrambi ci sarebbe stato molto da fare, dopo. Venanzia, però, era di tutt’altro parere. «Lasciatelo uscire. Quelle erano le lancette di ottant’anni fa. Quelle giuste sono rimaste al negozio». Il gruppo rimase con i taser puntati. La donna più anziana l’accusò: «Meglio così, perché avrebbero ucciso anche noi e lui si sarebbe tenuto tutto questo per sé». Allargò le braccia per mostrarle gli specchi veneziani, i vasi cinesi e i mobili di palissandro, solo una piccola parte dei lussi ammucchiati in secoli di salti temporali. Il proprietario dell’orologio disse: «Sì, è vero. Li avrei eliminati tutti e anche me stesso, perché ormai sono stanco di questi giochetti e il mio potere sul tempo si è inaridito come lo sono io». Subito dopo si sedette, osservando amareggiato la massa liquefatta dell’orologio Arcadia, un tempo splendido modello da tavolo di bronzo dorato decorato con statue di pastorelli, inserti di smalto di ninfe e sormontato da Saturno con la falce e la clessidra, tutti inserti che andavano dal Rinascimento passando per il barocco e il Biedermeier ottocentesco e con una cassa centrale risalente agli Anni Quaranta. Le colonne di sostegno e la base, invece, dovevano molto alle linee degli Anni Venti, ancora suggestionati dagli echi classicheggianti del Liberty. Non era sempre stato così, pensò il proprietario, ma la forma originale dell’orologio gli sfuggiva di mente. Allora fece un gesto con la mano che fermò i taser mentre stavano già crepitando di luce e tutti i presenti nella stanza rimasero immobilizzati come calchi pompeiani. L’orologio, tornato integro, parve beffarsi di loro con le lancette ferme all’ora in cui il collega di Venanzia le aveva montate sotto la supervisione di lei.
|