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Skannatoio Marzo 2019, Relazioni Pericolose

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view post Posted on 7/2/2019, 22:16
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Custode di Ryelh
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INDIZIO 1







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view post Posted on 14/2/2019, 17:59

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Ciao, White Pretorian, sono curiosa di vedere le specifiche (visto che devo fare l'esame di riparazione).
 
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view post Posted on 14/2/2019, 19:55
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Apprendista stregone

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Tanto è inutile cercare di capire. Niente è quello che sembra! 👋🏻😜
 
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view post Posted on 15/2/2019, 20:44
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Custode di Ryelh
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Secondo indizio

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view post Posted on 28/2/2019, 23:29
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Custode di Ryelh
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SKANNATOIO MARZO 2019



1) Consegna delle opere per le 23:59 di domenica 17 marzo 2019.
I brani saranno accettati anche se postati con un massimo di 8 ore di ritardo, ma incorreranno in una penalizzazione di 1 punto per ogni ora. I racconti devono essere pubblicati in questo thread. Provvedete a inserire i titoli insieme al testo del racconto.

2) Consegna dei commenti e relativa classifica per le 23:59 di domenica 24 marzo 2019.
Leggete il REGOLAMENTO se non avete idea di come si debbano votare i racconti.
3) un massimo di 7 giorni a partire dagli ultimi commenti pubblicati per leggere i commenti e assegnare 1 punto al miglior commento al proprio racconto e 2 punti all’autore della migliore serie di commenti.

Chi salterà anche una sola di queste fasi incorrerà nella sanzioni previste dal REGOLAMENTO.


LE SPECIFICHE

Lunghezza (globale).
Minima: 5.000 caratteri.
Massima: 25.000 caratteri
(spazi inclusi, escluso il titolo ed eventuale liberatoria).Tolleranza 1%. Vale il contatore standard dello Skannatoio (hhttp://dl.dropbox.com/u/826252/contaW.html)
Genere: tutti i sottogeneri del racconto speculativo (fantasy, fantascienza, horror, triller, giallo etc etc etc).

SPECIFICHE:
"SEI IL MIO VELENO": il protagonista dovrà avere un rapporto "tossico" con un'altra persona. Per rapporto "tossico" si intende un qualsiasi rapporto che risulti essere dannoso per il protagonista stesso, ma di cui non riesce a fare a meno. Potete spaziare su ogni variazione sul tema (dalla sorella spendacciona a Supermen che si innamora di una donna fatta di kriptonite) perché sussista questo rapporto di tossicità e dipendenza

"SOTTO UN CIELO DI FERRO E ACCIAIO...": il racconto dovrà svolgersi interamente sottoterra. A questo fine, sono valide metropolitane, cantine, bunker, gallerie sotterranee e anche strutture complesse tipo Alveare di Resident Evil o tipo Soviet di Sine Requie.


LE COCCARDE
Questo mese saranno assegnate 2 coccarde:

"AMA IL TUO NEMICO": con questa coccarda, vi sfido a portare le estreme conseguenze la prima specifica. Non solo il protagonista vive un rapporto tossico, ma la persona con cui lo vive è nientemeno che il suo peggior nemico (anche qui, massima libertà sul tema).

"SENZA MAI PIù RIVEDERE LA LUCE!: la storia è ambientata sottoterra per l semplice fatto che non esiste più nemmeno una superficie dove tornare. Chi sceglie di seguire questa specifica DEVE spiegare nel modo migliore perché la vita in superficie sia diventata impossibile.

Ricordo ai nuovi arrivati che le "specifiche" delle coccarde NON sono obbligatorie. Se volete guadagnarvi una coccarda, allora inserite nel racconto quello che ci vuole secondo voi per ambirvi, altrimenti non fa niente e potete saltarla, le specifiche obbligatorie sono quelle sopra.

Bene gente. Divertitevi!!
 
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Beatrice S.
view post Posted on 1/3/2019, 15:57




Buongiorno a tutti, Skannatori!

:p091: Mi prostro ai piedi del palco di tortura dello Skanna e chiedo perdono per la lunghissima assenza.

Come vittima sacrificale per ottenere il vostro perdono può andare un racconto da sottoporre alle vostre mannaie affilate?
 
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view post Posted on 1/3/2019, 17:43
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CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 28/2/2019, 23:29) 
"AMA IL TUO NEMICO": con questa coccarda, vi sfido a portare le estreme conseguenze la prima specifica. Non solo il protagonista vive un rapporto tossico, ma la persona con cui lo vive è nientemeno che il suo peggior nemico (anche qui, massima libertà sul tema).

Intendi come il joker in "Lego batman movie"?
 
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view post Posted on 1/3/2019, 21:23
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Custode di Ryelh
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CITAZIONE (reiuky @ 1/3/2019, 17:43) 
CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 28/2/2019, 23:29) 
"AMA IL TUO NEMICO": con questa coccarda, vi sfido a portare le estreme conseguenze la prima specifica. Non solo il protagonista vive un rapporto tossico, ma la persona con cui lo vive è nientemeno che il suo peggior nemico (anche qui, massima libertà sul tema).

Intendi come il joker in "Lego batman movie"?

Secondo me, è più appropriato quello che lega Batman e Joker normalmente, ma direi che l'idea è quella.

CITAZIONE (Beatrice S. @ 1/3/2019, 15:57) 
Buongiorno a tutti, Skannatori!

:p091: Mi prostro ai piedi del palco di tortura dello Skanna e chiedo perdono per la lunghissima assenza.

Come vittima sacrificale per ottenere il vostro perdono può andare un racconto da sottoporre alle vostre mannaie affilate?

Se il perdono vorrai ottenere
fa volare la fantasia su ali nere
e affida il collo all'affilata mannaia
preparandoti a vedere la tua ora più buia
 
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view post Posted on 1/3/2019, 21:27
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Ci provo

Ma non garantisco :)
 
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view post Posted on 2/3/2019, 20:39

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Ciao White Pretorian, io ci provo. Speriamo bene.
 
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view post Posted on 3/3/2019, 04:44
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L'antagonista/amico deve essere per forza umano?
 
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view post Posted on 5/3/2019, 22:48
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CITAZIONE (Gargaros @ 3/3/2019, 04:44) 
L'antagonista/amico deve essere per forza umano?

Nope
 
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Beatrice S.
view post Posted on 6/3/2019, 14:40




LA LOGICA DELL’APOCALISSE

“Sei libera di non credermi, ma ti giuro che nulla di tutto quello che è successo è colpa mia; almeno non la parte che riguarda l’apocalisse.”
Eva digrignò i denti e appiattì la schiena contro la porta di metallo. “Mi stai dicendo che questa è la scusa migliore che riesci a inventarti per giustificare di avermi rapita?”
“Quante volte ancora ti devo dire che non ti ho rapita?” protestò Alex, accennando un passo sul primo gradino della scala in cima alla quale Eva si era abbarbicata nell’inutile tentativo di forzare la porta blindata.
“E mi vuoi far credere di avermi trascinata in questo buco per salvarmi?”
Alex fece un altro passo, cauto. “Se mi lasciassi spiegare…”
“Non ti avvicinare a me!” urlò, isterica.
Alex si bloccò, sforzandosi di respirare a rilento per dissipare la tensione che gli attorcigliava la gola. “Puoi fidarti di me, Eva. Te lo assicuro.”
“Dimmi la combinazione di questa maledetta porta e ti crederò” lo provocò lei, indicando con il mento il pannello elettronico incassato nel muro.
“Non posso.”
“E perché no?”
“Anche questo te l’ho già spiegato: non posso darti la combinazione perché tu apriresti la porta senza darmi nemmeno il tempo per provare a fermarti. E non posso permettertelo.”
“Io ho diritto di andarmene da qui quando voglio. E voglio andarmene ora!” protestò, incrociando le braccia al petto e fissandolo con aria di sfida. “Perché dovresti fermarmi?”
Alex strinse un pugno intorno al corrimano, sorrise. “Principalmente perché quando le
particelle radioattive avranno bruciato i nostri polmoni non avrò nemmeno il tempo per dirti: te l’avevo detto. La cosa mi ferirebbe.”
“Smettila con questa stronzata dell’apocalisse” gridò Eva dando un calcio sul fondo della porta. “È assurdo che tu pretenda che io ti creda”. Picchiò i pugni contro il metallo che risuonò cupo, di un suono senza eco. “Adesso fammi uscire!” supplicò, appoggiando la fronte contro la porta. “Oddio, giuro che mi sento soffocare!”
“Non ti ricordi davvero niente di quello che è successo ieri sera?”
Eva si voltò e lo fissò con un fremito d’odio. “Quello che ricordo è che ieri sera ero a una festa; troppo cool perché tu fossi invitato. C’era buona musica, alcol e persino i fuochi d’artificio. Un sacco di ragazzi mi hanno chiesto il numero di telefono, lo sai?”
“Non pensavo che qualcuno potesse inserire il termine cool in una conversazione reale.”
“Falla finita!”
Alex soffocò una smorfia. “Nient’altro?” la incalzò. “Davvero non ti ricordi nient’altro?”
Eva appoggiò il mento sul palmo della mano. “Benny aveva il mio stesso vestito, la volevo uccidere. Ho pensato di rovesciarle il drink addosso per costringerla a cambiarsi.”
Alex trattenne tra i denti un’imprecazione, si colpì la fronte con un pugno. “Avrei dovuto saperlo! Pensavo che quella tua aria da bambolina viziata fosse solo una maschera, invece non è così: bella vuol dire sempre stupida. Sempre. E ora probabilmente sei una dei pochi esseri umani sopravvissuti all’apocalisse! Lo sapevo che non avrei dovuto rischiare di finire ammazzato per salvarti” Rise, di una risata nervosa. “Ottimo lavoro, Alex. Ottimo lavoro davvero.”
“Ehi, come ti permetti?” soffiò Eva, protendendosi verso di lui.
Alex si allontanò dal fondo delle scale, si sedette sul bordo del divano incassato sul lato corto della stanza. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia, nascose la testa tra le mani.
“Senti, non so proprio come dirtelo in modo gentile o perlomeno nel modo meno traumatico possibile” esordì, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Eva si era seduta su uno scalino e lo fissava con un’espressione interrogativa; Alex si schiarì la voce. “È finito il mondo, Eva.”
Lei roteò gli occhi, esalò una risata sarcastica. “Certo; con gli alieni e tutto il resto. Ma fammi il piacere!”
“A dire la verità si è trattato di esplosioni atomiche a catena; un classico.”
Eva sussultò e sbatté le palpebre; era la prima reazione umana su quel viso di porcellana.
“Le prime esplosioni erano lontane. Per questo le hai scambiate per fuochi d’artificio, ti ricordi, no? Me ne hai anche parlato, dei fuochi, intendo. La notte è diventata chiara come a mezzogiorno” continuò Alex. “Erano tutti imbambolati a fissare l’orizzonte in fumo senza capire che non ci sarebbe voluto molto perché le radiazioni arrivassero fino a qui.” Fece una pausa, scrutando Eva, ma lei rimaneva muta a fissare il pavimento.
“Eva, riesci a capire quello che ti sto dicendo?”
Lei si lasciò sfuggire una risata tremolante. “Quelli erano fuochi d’artificio. Ne sono sicura. Erano così grandi e…”. Si bloccò, mordendosi un labbro, incerta. “Caldi”
“Eri troppo ubriaca per accorgertene, evidentemente. Perchè la cosa non mi stupisce?”
Eva alzò la testa di scatto, fissandolo con odio bruciante. “Non ti permetto di insinuare che io…”
“Eri priva di sensi quando ti ho portata qui. Ah, e il tuo vestito era sporco di vomito.”
Eva increspò la fronte e abbassò lo sguardo; le pupille le rimbalzavano negli occhi come se stesse cercando disperatamente di afferrare un ricordo.
“Io…” mormorò.
“Stai cominciando a ricordare?” la incoraggiò Alex.
Eva sostituì quello sguardo smarrito con un’espressione a lui familiare: il disprezzo.
“L’unica cosa che ricordo chiaramente è di essermi svegliata in un bunker sotterraneo in compagnia di uno sfigato psicopatico che racconta balle su un olocausto nucleare e che ha deciso di rapirmi perché non è in grado di avere normali interazioni sociali. Non intendo passare un minuto di più con te. Fammi uscire, ora!”
Alex scrollò le spalle.“Dovrai abituarti alla mia presenza, che tu lo voglia o no.”
“Che cosa intendi?”
“Abbiamo un generatore indipendente di corrente, scorte di cibo e ossigeno pulito per almeno quindici mesi.”
“Quindici mesi qui dentro? Con te? Nemmeno morta!”
“Non vedo alternative.”
“Potrei andarmene. Devo solo indovinare il codice. Insomma, che ci vuole?”
Alex scoppiò a ridere. “Non pensavo avessi familiarità con il calcolo combinatorio.”
Eva lo fissò, smarrita.
“Basta! Mi arrendo! Se hai intenzione di passare i prossimi mesi a inserire numeri a caso nel pietoso tentativo di indovinare il codice, accomodati”. Alex scivolò lungo il divano e si protese verso gli scaffali della libreria incassati nel muro; estrasse un libro agganciando la copertina rigida con l’indice, lo aprì a una pagina a caso e lo alzò a livello del viso. Fu necessaria solo la prima metà di una frase per riconoscere il romanzo: La penultima verità di Philip Dick. Era una coincidenza o un maledetto scherzo del destino?
“Buon vecchio Philip, se solo fossi ancora vivo! Tu sapresti come raccogliere poesia anche da tutto questo schifo.”
“Non ti permetto di ignorarmi!” sbottò Eva.
Alex rimase in silenzio, girando teatralmente una pagina.
Lei emise un prolungato lamento, il rumore rabbioso dei suoi passi che scendevano le scale risuonò per la stanza. Raggiunse Alex, le sue dita artigliarono il libro e glielo strapparono dalle mani.
Eva lo guardò negli occhi e lui si sentì mancare il fiato da quella vicinanza; aveva un profumo buonissimo. Come diavolo faceva ad avere quel profumo dopo essersi devastata per tutta la notte prima? Si maledisse per averlo anche solo pensato.
“Lo sai che quello che stai facendo si chiama sequestro di persona? Mi sono stufata di questi giochetti. Guarda che io ti denuncio, eh.”
Alex sospirò. “Non volevo arrivare a questo” disse, alzandosi di scatto.
Eva trasalì e balzò all’indietro. “Se solo osi toccarmi io…”
Alex la sorpassò senza degnarla di uno sguardo. Si diresse verso il piccolo televisore incastonato nella parete di fronte, circondato da mensole piene di dvd e videogiochi, organizzati con cura maniacale. Fece una smorfia nello scorrere con lo sguardo su quegli scaffali: avrebbe passato i successivi quindici mesi chiuso in una stanza a giocare e a guardare film? L’apocalisse non sembrava diversa dal resto della sua vita.
Accese il televisore e premette un tasto sul telecomando, fece scorrere sullo schermo vari canali. Solo uno di essi aveva segnale; trasmetteva immagini a scatti e un suono crepitante, acuto.
“L’ho scoperto mentre stavi ancora dormendo e ho pensato di registrarlo. Non so, sai, per quando ci sarà bisogno di ricostruire la storia dell’umanità o cose del genere” disse; sullo schermo qualcosa esplodeva e qualcuno urlava. “Non avrei voluto che lo vedessi, ma a questo punto...”
Eva sbatté le palpebre. Incrociò le braccia al petto e si avvicinò al televisore, gli occhi incollati allo schermo; sulle iridi palpitava l’arancione e il rosso delle detonazioni.
Alex distolse lo sguardo. “È l’ultimo telegiornale trasmesso poche ore dopo le prime esplosioni. Poi non hanno trasmesso più nulla.”
Alex rimase ad ascoltare il respiro di Eva che accelerava e si faceva gemito.
Prima che il filmato finisse premette un tasto sul telecomando e spense lo schermo.
“Credo sia sufficiente. Mi spiace che tu l’abbia capito in questo modo. Ma era l’ultima possibilità che avevo per convincerti a credermi.”
Rivolse lo sguardo verso Eva, ma lei non lo stava ascoltando, i suoi occhi erano concentrati sull’agonia di una lampada al neon sul soffitto spoglio sopra di loro. Alex fissava gli spasmi sul suo volto, il dilatarsi delle sue pupille.
Eva scosse la testa. “Porca troia” gemette.
Con uno scatto si lanciò su per le scale e afferrò con entrambe le mani la maniglia della porta, tirandola con tutte le sue forze. L’ultimo strattone la fece sbilanciare all’indietro, il tallone oltrepassò l’angolo del primo scalino; fece ondeggiare le braccia per tentare di tenersi in equilibrio mentre il resto del corpo cadeva.
***

Una luce lattea le ferì le pupille costringendola a serrarle con un gemito. Il cranio le si schiudeva come un fiore scarlatto, riempiendo le pupille di macchie rossastre.
Acquistò consapevolezza del proprio corpo e si rese conto di essere sdraiata su una superficie morbida. Si arrischiò ad aprire gli occhi; Alex era chino su di lei, le premeva sulla fronte un panno freddo.
Cercò di alzarsi di slancio ma lui la trattenne premendole con fermezza una mano sulla spalla.
“Ehi, piano. Hai preso una bella botta.”
“È peggio di un dopo sbronza” gemette.
Allontanò la mano di Alex con uno scatto nervoso, si mise seduta, il divano era diventato un letto. La sua mente procedeva a rilento, inquadrando gli oggetti intorno a sé come se li vedesse per la prima volta: le scale, la porta blindata, la libreria; sulla destra le mensole con i cibi in scatola, una cisterna d’acqua, una piccola cucina e un frigorifero, davanti a lei la parete con il televisore. Era spento ma negli occhi le palpitavano ancora quelle immagini, come in un film dai pessimi effetti speciali.
Serrò con forza le palpebre.
“Alex” disse. “È successo davvero?”
Lui si limitò ad abbassare lo sguardo.
“Oddio” mormorò Eva. “E tutti gli altri sono…”
Alex annuì.
“Cosa ti fa essere sicuro che le radiazioni non arriveranno anche qui dentro?”
“Non lo faranno. Mio padre l’ha fatto costruire apposta. È sicuro.”
“Allora essere nevrotici catastrofisti è un cavolo di gene di famiglia?”
Alex scrollò le spalle. “Dopo la morte di mia madre si era ossessionato all’idea della fine del mondo. Era devastato, pieno di soldi e non amava le barche; questo è il risultato. Niente yatch personale, ma un bunker antiatomico in giardino.” disse, allargando le braccia.“Beh, a quanto pare aveva ragione. Peccato sia morto prima di vedere confermate le sue teorie. Ne avrebbe riso di gusto.”
Eva si abbracciò le ginocchia. “Perché hai deciso di salvare solo me?”
“Oltre ad essere, diciamo pure, alquanto pazzo, mio padre era un egoista. In questo rifugio c’è posto solo per due. Me e lui, questo era il programma. Mi sarei gettato su un fungo atomico se avessi dovuto passare la fine del mondo con lui, credimi.”
“Ma perché proprio me?”
Alex assunse un’espressione che Eva non riuscì a interpretare.
“Va meglio la testa?” le chiese.
Si era quasi dimenticata di quel dolore pulsante; si portò una mano alla fronte, le dita percorsero il morbido spessore di una garza.
“E questo dove l’hai imparato?”
“Nevrotico ossessionato dalla fine del mondo, ricordi? In caso di emergenza conoscere le basi del primo soccorso è essenziale. Sapere maneggiare una katana lo sarebbe altrettanto. Ma solo in caso di apocalisse zombie. Peccato che questo non sia il caso..”
“Avresti preferito un’apocalisse zombie?”
“Ammettilo, almeno sarebbe stata un tantino meno noiosa.”
Eva premette il palmo sulla benda; era calda, morbida. Il calore del sangue le solleticava i polpastrelli, ma il dolore si stava già affievolendo. “Grazie” mormorò. Si sentiva in colpa: non aveva fatto altro che urlargli addosso e lui l’aveva salvata. Aveva sempre considerato Alex uno di quelli che si escludono dalla realtà per rinchiudersi nel loro mondo di sogni. Ma era la realtà a essere diventata un incubo: l’apocalisse era avvenuta davvero. E lei non se ne era accorta perché era troppo ubriaca. Grandioso. Perdersi la fine del mondo per colpa di una sbronza.
Guardò Alex e nel petto le risalì un palpito di gratitudine.
“Com’è successo?” domandò in un sussurro. “La fine del mondo, insomma. Chi è stato?”
“Uno sbaglio? Un equivoco? La smania di potenza di qualche piccolo leader con libero accesso all’arsenale atomico del proprio stato? Chi può dirlo ormai? In fondo ha qualche importanza?”
Eva emise un lento sospiro. Gettò uno sguardo al frigorifero nell’angolo. “Hai per caso delle birre lì dentro? Non so tu, ma io non ho nessuna intenzione di trascorrere l’apocalisse da sobria.”
***

Eva ingollò un sorso di birra gelida e schioccò le labbra.
La testa non le doleva più, era diventata incredibilmente leggera.
Era seduta sul letto, la schiena appoggiata alla spalliera, un sacchetto di patatine in mezzo alle gambe; le briciole si erano sparpagliate su tutte le lenzuola.
Alex era seduto sul ripiano della cucina, si era slacciato i primi bottoni della camicia; dopo tre birre il suo viso si era colorato, gli occhi inumiditi. Eva si accorse che la stava guardando.
“Che c’è?” gli domandò alzando un sopraciglio.
Alex rimase in silenzio prima di trovare il coraggio di parlare.
“Ho immaginato fin troppi scenari per il momento in cui mi sarei dichiarato. Certo non immaginavo che la mia idea di essere soli si rivelasse tanto drastica; con noi che potremmo
anche essere gli ultimi sopravvissuti dell’intero genere umano e tutto il resto, intendo”
“Non montarti la testa, adesso” lo provocò Eva. “E togliti dalla mente qualsiasi pensiero di un nostro ipotetico compito di ripopolare la terra o qualcosa del genere. Non se ne parla neanche.”
Alex rise, distolse lo sguardo e le sue guance avvamparono; Eva pensò che il sangue è davvero sotto la superficie di qualsiasi cosa. Si tolse con delicatezza la garza dalla fronte; il suo si era fermato.
“Sei bellissima” disse Alex tormentando tra le mani la lattina di birra vuota.
Eva scoppiò a ridere. “Non credo siano rimaste molte altre donne per fare un paragone.”
“L’ho sempre pensato.”Alex scosse la testa. “L’apocalisse non c’entra.”
“Mi sembrava avessi detto che ero quella bella e stupida.”
Alex abbassò la testa inghiottì un altro sorso di birra.
Eva si arrotolò una ciocca di capelli intorno all’indice. “Senti, concentrati su qualcosa di più importante, ok? Ad esempio: fra quindici mesi cosa faremo?”
“Dovrebbe bastare perché le radiazioni si disperdano tanto da permetterci di uscire.”
Indicò con il mento un rilevatore con un ago fermo su una barra rossa. “Quello è uno strumento per rilevare la quantità di radiazioni nell’atmosfera esterna. Quando arriverà sul verde potremmo uscire.”
“Certo che tuo padre ha pensato proprio a tutto.”
“Già. Tranne a essere un padre. Tipico dei pazzi catastrofisti, credo.”
“E se non dovesse farlo? Diventare verde, intendo.”
Alex abbassò la testa. “Non possiamo fare altro che sperare.”

***
Dopo una settimana nel bunker, Eva aveva imparato a giocare a scacchi.
Dopo un mese, era riuscita a battere Alex, anche se aveva il sospetto che lui avesse perso di proposito.
Dopo tre mesi, si accorse che le piaceva il suono della voce di Alex; lui leggeva per lei. Eva rimaneva a pancia in giù, con i gomiti appoggiati sul materasso, il mento nelle mani, ad ascoltare. Aveva amato i racconti di Philip Dick e i romanzi di Verne, l’umorismo di Douglas Adams e l’acutezza di Orwell. Si erano passati i libri per interpretare i dialoghi, modificando la voce a seconda dei personaggi. Doveva ammettere che la risata di Alex non era poi così irritante come le era sembrata all’inizio.
Stavano dando fondo a una bottiglia di rum mentre leggevano dell’amore proibito tra Winston e Julia in 1984.
“Questo rum mi sta dando alla testa” gemette Alex.
“Non è possibile. Ne hai preso solo un paio di shottini.”
“Non sono abituato a bere. Come fai ad accorgerti di essere ubriaco? Credo di essere ubriaco.”
“È solo una tua impressione. Taci e continua a leggere.”
“Credo di essermi morso la lingua. Ma non riesco a rendermene conto. Non me la sento più!”
“Continua a leggere!” ripeté Eva. “Voglio sapere come va a finire.”
Alex increspò le labbra. “Come vuoi che vada a finire? Stanno facendo scelte completamente prive di logica. Si stanno rovinando da soli.”
Eva gli diede una gomitata nel fianco. “La logica non è tutto, mio caro” lo provocò.
“La logica, mia cara, è stata l’unica cosa che ha permesso agli uomini di sopravvivere per un tempo ridicolmente lungo; considera la nostra conformazione fisica: privi di zanne o altri meccanismi di difesa non abbiamo potuto contare su nient’altro che sulla nostra mente. La logica è tutto.”
“Vuoi dirmi che Winston avrebbe fatto meglio a continuare quell’esistenza vuota, solo perché sarebbe stato logico? Per sopravvivere potrebbe anche bastare la logica. Ma non per vivere!”
“Ha fatto scelte illogiche. E saranno queste a portarlo alla rovina. Vedrai.”
“Ehi. Niente spoiler!” gridò Eva dandogli un’altra gomitata.
“Se il mondo si fosse affidato di più alla logica non si sarebbe autodistrutto, credimi.”
“E se invece fosse stata proprio la maledetta freddezza della logica a condannarci?”
“A rovinarci sono state le scelte istintive, la rabbia e l’impulsività. E non c’è nulla di più distante dalla perfetta precisione della logica.”
Eva sorrise. “Scommetti che riuscirò a farti rinunciare alla logica e convincerti ad affidarti all’istinto?”
Alex rise. “Puoi provarci quanto vuoi ma non riuscirai mai a…”
Prima che potesse finire di parlare, le labbra di Eva erano sulle sue.
Lei avvertì le braccia di Alex cingerle le spalle; seppe di avere vinto con la stessa certezza con cui sentiva il corpo di lui, il suo respiro.
“421952” le disse Alex quando lasciò le sue labbra.
“Che cosa?”
“La combinazione” rispose. “421952”
“Non importa. Io non vado da nessuna parte.”

***
Eva si svegliò con il familiare ronzio del motore del frigorifero nelle orecchie.
Nel silenzio di quella che avevano eletto a notte era l’unico suono che invadeva la stanza oltre al respiro di Alex che dormiva al suo fianco. In quei momenti percepiva il peso della loro solitudine.
Si sedette sul letto, nella semioscurità che avvolgeva la stanza.
Fece scorrere lo sguardo sull’indicatore delle radiazioni e maledisse quell’ago fermo sul rosso. Cosa ne sarebbe stato di loro se entro i successivi dodici mesi non si fosse mosso?
Scosse la testa e scivolò dal letto; aveva bisogno di qualcosa che la aiutasse a non pensare. Si arrampicò su una sedia per raggiungere la credenza degli alcolici. Non doveva essere così pazzo il padre di Alex per aver pensato anche alla necessità di una sbronza come si deve per superare la fine del mondo.
“Maledizione” mormorò. Era rimasta solo una bottiglia in fondo allo scomparto. Si alzò sulla punta dei piedi per raggiungerla, strinse il collo della bottiglia, ma le scivolò finendo per cozzare contro il fondo della credenza. Il colpo fece cadere un riquadro di cartone e scoprì una nicchia nascosta. Eva allungò un braccio, estrasse una scatola da scarpe piena di polvere, gettò uno sguardo verso Alex prima di aprirla. Dormiva, il respiro regolare.
Era stracolma di foto. Ritraevano lei; scatti rubati di cui non sapeva l’esistenza: seduta al parco, a scuola, a una festa, mentre camminava per strada.
“Ma che diavolo…?” gemette rovistando tra le foto.
Sul fondo della scatola trovò la custodia di un dvd con una scritta vergata con un pennarello nero: Concorso Fine del mondo 2012.
Il respiro le si strozzò in gola. Inserì il disco nel lettore dvd cercando di controllare il tremore alle mani.
Il video partì, sullo schermo cominciarono a scorrere immagini familiari: le aveva viste tre mesi prima, il giorno in cui aveva deciso di credere ad Alex.
Alla fine del video partirono degli applausi registrati, apparve una donna sorridente con un microfono. “Siamo qui in compagnia di Alex Ross, il vincitore del concorso La fine del mondo. Abbiamo appena visto il suo filmato, dove ipotizza la diretta di un telegiornale il giorno dell’apocalisse. Alex, come ti è venuta l’idea per il concorso?”
Un Alex di sette anni più giovane apparve nello schermo; sorrideva.
“Maledetto!” urlò Eva. “Maledetto bastardo!”
Le foto si sparpagliarono ovunque: sul pavimento, sul letto, sui ripiani.
Le aveva mentito! E lei gli aveva creduto come un’idiota!
“Maledetto bastardo psicopatico!”
Alex sussultò, svegliandosi di soprassalto.
“Eva!” gridò, la voce ancora impastata dal sonno.“Che sta succedendo?”
“Mi hai mentito! Per tutto il tempo!”
“Ma che cosa stai dicendo? Non ti ho mai...” Il suo sguardo cadde sullo schermo; impallidì. “Merda.”
“Io ti ammazzo!”
“E va bene. Forse un po’ ti ho mentito. Ma era per il tuo bene.”
“Per il mio bene? Tu sei pazzo!”
“Quel filmato è falso, lo ammetto. Ma era l’unico modo per spingerti a credermi. È stata una scelta logica. Dovevo convincerti e non avevo alternative. Prova a metterti nei miei panni, ti prego Eva.”
“E tutte quelle foto come le spieghi?”
Alex abbassò lo sguardo.
Eva lo fissò con un conato di disprezzo, gli gettò la scatola in faccia e si lanciò su per le scale.
“Fermati Eva!”
Cominciò a inserire il codice, le dita battevano frenetiche sulla tastiera. 421. I passi di Alex risuonavano sulle scale, la sua voce angosciata la implorava di ascoltare. “Eva! Ti prego!”
95.
Non l’avrebbe più ingannata. Ah, no! Ora sapeva!
2. E premette il verde.
Un brivido di esaltazione la percorse quando la serratura scattò con un rumore di risucchio.
Afferrò la maniglia e tirò verso di sé. Dovette spostarsi di lato sul pianerottolo per permettere alla porta di aprirsi. Una lastra di vetro smerigliato le sbarrava il passaggio a un passo di distanza dalla porta blindata.
Gemette, angosciata, in cerca di un meccanismo di apertura.
Un pulsante spuntava sul lato del muro; esalò un singulto di vittoria.
“Eva ti prego! Fermati!” urlò Alex alle sue spalle; era arrivato in cima al pianerottolo e la stava per raggiungere. “Io… io ti amo”.
Eva premette il pulsante.
Fu investita da una luce intensissima che la costrinse a chiudere gli occhi.
Il sole! Si era disabituata alla sua luce dopo tutto quel tempo sottoterra in quel buco pidocchioso. Le pupille si erano assuefatte all’opacità asettica del neon; aveva dimenticato quella sensazione di calore sul petto.
Inspirò l’aria aperta, trionfante, libera.
E fu l’ultima cosa che fece prima che le radiazioni le bruciassero i polmoni.
 
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view post Posted on 8/3/2019, 18:10

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PEGNO D’AMORE
Di Alexandra Fischer
La ragazza si tirò su il lenzuolo all’aprirsi della porta, sorridendo con i suoi dentini da bambola.
Il giovane la scosse per la spalla: − Sono tornato il prima che ho potuto.
Lei si scostò una ciocca nera e si voltò sinuosa verso di lui: − Menti. Almeno, hai portato quello che mi hai promesso?
Lui le lanciò la catenella con appeso un bulbo dorato disseminato di trafori a forma di goccia.
Glielo vide appeso al collo e aspirò l’essenza dolciastra e inebriante.
La ragazza lo abbracciò, schioccandogli baci umidi sulle labbra e lui sentì un sapore di fiori invernali dall’aroma di vino antico.
− Sei il mio tesoro, Dunklya.
− Anche tu, Hopfy – sussurrò lei con voce roca, scompigliandogli i riccioli color amaranto.
Lui si perse negli occhi color opalina di lei, comprendendo di essere tornato a suggere un veleno che lo corrodeva nell’animo.
Tu non mi apparterrai mai davvero.
Gli occhi di lui corsero al bracciale della fanciulla: le spire dorate partivano dal polso e arrivavano all’avambraccio: era un pegno d’amore datole da un uomo che sarebbe tornato presto.
Questo monile fa impallidire il mio dono, eppure l’ho rubato dalla stanza di una principessa: doveva essere un’esperta di essenze stregate. Mi sono sentito osservato tutto il tempo.
Hopfy si guardò intorno: il baldacchino del letto dai veli ricamati con il motivo delle onde del lago Langtraum e i mobili adorni di decorazioni con le sagome sinuose dei pesci e delle alghe lo ammaliavano con forza ipnotica.
Ma laggiù è tutto veleno come la città di Hymbra. Mi seduce e mi fa sentire vivo con le sue torri a pinnacoli colme di meraviglie, ma io dovrò distruggerla. E anche te, mio unico amore.
− Schützer dov’è? – le domandò con tono indifferente.
− A Nervela. Dai suoi sottoposti, ma non ti preoccupare, non tornerà prima di un paio di giorni. Abbracciami.
E lui le obbedì, tornando nel gorgo di passione al quale lei lo aveva abituato al punto di addentrarsi fra le mura abbandonate di Hymbra a prenderle il monile che ormai brillava al collo di lei.
Dunklya si staccò da lui a fatica per portargli un vassoio di cibo e vino.
Fu dopo aver sorseggiato la bevanda di uva selvatica e gustato polpe di pesce affumicate dal vassoio che Hopfy si rese conto del ritardo.
− Devo correre dal fabbro. La mia lama sarà pronta di sicuro.
− Fai presto, prima che torni mio marito.
− Lo farò quando Fuoco Blu sarà riparata. L’ho scheggiata lottando contro uno dei demoni di Hymbra.
Ripensando al combattimento, Hopfy si stupì di se stesso: aveva rovinato la sua spada per un ciondolo spargi profumo.
Dunklya si stiracchiò pigramente, mettendo in risalto i ricami multicolore a forma di occhio della coperta dorata.
Quei motivi e i bagliori perlacei negli occhi della fanciulla lo ammaliarono, facendogli desiderare di restare ancora, ma un rumore fuori dalla porta lo indusse a desistere: − Chi c’è? Una delle spie di tuo marito?
− Schützer è troppo ingenuo per questo. No, deve essere qualcuno per te. Esci e torna presto a trovarmi.
Hopfy si accomiatò da lei con un bacio e uscì, chiudendosi la porta alle spalle e vide una spada a forma di pungiglione.
La raccolse con cautela guardandosi intorno.
Uno dei demoni di Hymbra aveva voluto fargli di certo un dono ironico.
Scosse la lama dalla quale stillarono alcune gocce di veleno che provocarono alcuni sbuffi di fumo dal terreno e si avviò lungo la strada delle fucine.
***
Il suo vecchio amico Onkelschwert lo aspettava all’entrata della fucina, occupandola quasi per intero con la sua stazza massiccia.
− Ti aspettavo prima. Ancora con quella donna? So che è splendida, ma anche i pesci velenosi del lago lo sono. Quelle sue vesti picchiettate di colori del cielo me li ricordano ogni volta che la vedo.
− Non è da te essere così poetico. Piuttosto, dammi Fuoco Blu – replicò Hopfy alzando suo malgrado lo sguardo all’immensità dorata attraversata da punti luminosi tutti i colori.
Onkelschwert si fece da parte: − Entra.
Gli occhi del fabbro si appuntarono sulla lama che Hopfy aveva con sé.
Gliela tolse di mano: − Questa da dove viene? È così che intendi pagarmi?
− Ma no – disse Hopfy portandosi la mano alla tasca – ho il soldo di Schützer. Piuttosto tu, che modi.
− Tu non me la conti giusta – replicò il fabbro rigirandosi fra le mani la lama di metallo nero sottile e appuntita.
Ai suoi movimenti, l’arma del demone frustò l’aria, spandendo un odore acre di veleno.
− Bella lama – constatò Onkelschwert in tono triste – mi dispiace quasi rifonderla e buttarla negli scarti di lavorazione.
− E tu tienila – gli propose Hopfy in tono sognante.
− Ti rendi conto di quanto è compromettente? Il demone a cui appartiene ha voluto dirti che ha saputo della tua incursione a Hymbria. Sei fortunato che non tengo apprendisti, altrimenti Schützer lo avrebbe già saputo.
− È ingenuo− ridacchiò Hopfy ripetendo le parole di Dunkerya.
− Ma non cieco. E sa bene che Hymbria è sul confine sorvegliato dai Demoni Vespa. Non dobbiamo attraversarlo per nessun motivo.
− Eppure, vorrei farlo.
− C’entrano le malie di quella strega, vero? Ti ha mandato a Hymbra per un suo capriccio, ma di certo ti sarà venuta voglia di vedere cosa c’è oltre la nostra terra. Beh, te lo dico io. Niente.
Onkelschwert distrusse la spada pungiglione e prese una custodia.
Hopfy l’aprì, gioendo dello splendore del metallo blu notte: − È veramente splendida. Degna del migliore armaiolo del Padrone della Torre.
Depose la custodia in un angolo accanto alla porta e sotto lo sguardo irritato del fabbro, portò la mano alla tasca contando alcune monete, ma questi scosse il capo: − Non voglio niente. In cambio voglio che non usi mai più quel titolo quando ti rivolgi a me.
Hopfy alzò le mani in segno di resa e raccolse la custodia.
Onkelschwert gli ordinò: − Ora va’. Per stavolta starò zitto con Schützer, ma dimentica sua moglie. E anche quello che hai visto a Hymbra. Il nostro mondo è questo. Non c’è nient’altro, hai capito?
Hopfy chiuse la porta dietro di sé senza rispondergli.
***
Quando fu nel proprio alloggio, Hopfy mise la custodia nel baule sotto alcuni indumenti.
Poi si sedette sull’unica poltrona della piccola sala e prese una mappa dallo stipo dove teneva il panno e la sabbia per pulire Fuoco Blu.
Dunklya ha avuto ragione a mandarmi a Hymbra, penso che quel regalo del demone abbia senso: di certo la sua schiatta sa dove procurarsi del metallo simile. C’è un mondo oltre al nostro. Onkelschwert e quelli della sua età possono temerlo, ma io no. E credo che potrei portarci Dunklya. Dopotutto, il suo matrimonio è finito. Altrimenti non sarebbe così smaniosa di volermi con sé.

***
Dunklya aveva seguito Hopfy con lo sguardo finché era scomparso dietro l’angolo di una bottega di dolciumi.
Soltanto allora si era decisa a spalancare la porta collocandovi il suo acquisto, un barattolo di pasticcini al miele sulla soglia.
Il demone Vespa era ricomparso all’istante, afferrandone una manciata.
Subito dopo essersi rifocillato, le aveva detto: −Ti sei comportata bene. Continua a sedurlo.
− E in cambio? gli domandò lei vezzosa, giocherellando con lo spargi profumi.
−Ti mostrerò dove si trova tuo marito.
Il demone tirò fuori dalla scarsella i frammenti della lama di Hopfy e li lanciò a mezz’aria: quel gesto li riunì in forma di specchio.
La ragazza vide Schützer di fronte al capo dei Demoni Vespa e lo udì negare con forza ogni tentativo di addentrarsi nella Torre Alveare.
Quelle parole la fecero soffrire, riportandole nella mente la visita a casa di Hopfy.
Il demone sogghignò: −Tutti noi ti conosciamo troppo bene. Hai visto anche tu le mappe a casa del tuo amante. Quel pazzo crede davvero che ci sia qualcosa oltre a Nervela.
− Anch’io. Hymbra è un avamposto della civiltà venuta al di là della vostra torre.
− Ma non sei curiosa di andare a curiosare laggiù. Volevi solo il ninnolo che porti al collo, vero?
− Sì, è il bene di un’antica principessa versata in arti magiche. Ho voluto averlo per migliorare le mie capacità al vostro servizio.
Il demone annuì: − La tua maestra ha fallito spaventata dall’intensità della passione che porta quel profumo. Ora vive da reclusa.
− Onkelschwert il fabbro ha provato a convincerla a tornare a Nervela senza esito. Era troppo legata al passato. Io mi trovo bene qui.
La risata del demone arrivò crudele: − Allora usa questi tuoi poteri per convincere Hopfy a pensarla come te. Io ti ho aiutata portando qui la mia lama. Non importa se il fabbro lo ha aiutato. Tuo marito tornerà presto e sarà molto persuasivo con lui al riguardo.
− Perché Hopfy dovrebbe voler uscire da Nervala e dintorni? Oltre alla Torre Alveare non è rimasto niente.
− Chiediglielo − le suggerì il demone, riprendendosi i frammenti di Fuoco Blu.

***

Nel suo alloggio, Hopfy ammirò il lavoro del fabbro.
Come pensavo. Il demone ha scalfito solo il primo strato della lama e io mi sento come il primo giorno in cui l’ho maneggiata. E dire che ho imparato a controllarne la magia.
***
Eppure, nonostante l’addestramento di Onkelschwert, Hopfy si ritrovò sul confine, poco dopo la Torre Alveare.
Fra le dita della mano sinistra stringeva Fuoco Blu.
In distanza, vide un immenso palazzo dalle terrazze ornate di cariatidi dall’aspetto di armature complete ornate di strisce orizzontali.
Attorno a esso, costruzioni più piccole dalle piante ortogonali gli davano l’idea di essere abitate per via delle finestre illuminate.
A forma di goccia e multicolori com’erano, lo facevano pensare allo spargi profumo preso a Hymbra.
Ma quella stanza era polverosa. I cortinaggi del letto sbrindellati, e il tavolino da toeletta tutto tarlato. E ho dovuto forzare la serratura del portagioie che lo conteneva con il coltello da pasto.
Hopfy si portò la mano alla bisaccia mentre teneva d’occhio la città in lontananza.
Le finestre quadrettate del palazzo si erano illuminate di colpo, spandendo un chiarore color ghiaccio così forte da fargli intravedere all’orizzonte una strada immensa che si inerpicava fino al cielo.
Certo era stretta fra montagne dalle cime scolpite con volti umani e animali dalle espressioni cupe, ma lui non si lasciò intimidire, neppure dall’improvviso cambio di colore del cielo in quel punto: nero vischioso.
Il fabbro aveva ragione. C’è un di sopra. Ora devo solo risalire.
Arrivato a metà strada, un vento gelido lo trascinò al punto di partenza e questo avvenne un paio di volte, finché Hopfy perse i sensi e si ritrovò tremante nella sala del comando dei Demoni Vespa.
***
Quando si risvegliò nel tepore della sala, Hopfy credette di aver oltrepassato le montagne.
L’illusione era rafforzata dalla presenza di Dunklya, in piedi davanti a lui.
− Dunque, siamo riusciti a scappare da Nervala.
− No. E il fatto di averlo detto ti ha già messo in grossi guai – gli rispose lei gelida, facendo oscillare il ciondolo spargi profumo.
Hopfy si rialzò e vide entrare il capo dei Demoni Vespa insieme a un accolito.
Quest’ultimo si tolse l’elmo tondo ornato di antenne e lo guardò.
− Schützer.
− Sì, io. So tutto quello che hai combinato finora e ti assicuro che di là non c’è niente. Sei stato un pazzo a pensare di scapparci con mia moglie.
− Io non me ne pento.
Hopfy guardò in direzione di Dunklya, la cui espressione si era fatta sardonica.
− Vuoi uccidermi? – domandò a Schützer.
− Ti sei già torturato abbastanza così. Mia moglie… ecco, avrei fatto meglio a sposarne la sorella maggiore.
Schützer si accarezzò la barba con un gesto distratto e i ciuffi neri caddero a ciocche, scoprendo la pelle.
− Ti ho preceduto. Sono arrivato in fondo alle montagne e ho visto… il vuoto. Ora devo raggiungerlo.
Le sue dita giunsero a mettere a nudo la carne del volto e infine le ossa, dopodiché l’uomo si ridusse in polvere.
Di lui non restò che l’armatura vuota da Demone Vespa.
Fu allora che il capo intervenne: − Lo ha voluto io. Sapere dell’adulterio lo ha fatto impazzire. Ed è colpa tua. Avresti dovuto trattare meglio la tua lama ed evitare il giro a Hymbra.
Dunklya si buttò sull’armatura e scoppiò in singhiozzi: − No, non volevo arrivare a tanto. Marito mio.
Si alzò di colpo togliendosi la catena dal collo e si avventò su Hopfy tentando di mettergliela al collo per strangolarlo, ma il capo dei Demoni Vespa fermò il suo gesto: − Ora basta. Evidentemente voi esseri umani non siete fatti per stare tranquilli. Ebbene, mia cara, tu ti terrai quella chincaglieria di Hymbra e mediterai a casa tua su quanto hai guastato. Al tuo posto, non userei più la magia seduttiva. Imparerei a materializzare pasticcini al miele.
Fece segno a un paio di seguaci che presero in consegna donna e portaprofumi.
− Ti ammazzerò, Hopfy. – gridò lei lungo il corridoio.
Quando cessò l’ultima eco, il capo dei Demoni Vespa mise una mano sulla spalla di Hopfy: − Sì, la passione fa brutti scherzi, per questo devi starci lontano. E io ti riporterò al punto di partenza.
Hopfy lo guardò sconcertato.
***
Una scossa gli attraversò il corpo e lui si ritrovò davanti alla fucina di Onkelschwert.
Sentendosi leggero, si guardò i fianchi.
Fuoco Blu non c’era, ma dall’interno provenivano rumori di martello e suoni metallici.
Onkelschwert uscì dalla fucina con la lama: − So tutto – bisbigliò a Hopfy – fai buon uso della tua arma, perché Dunklya ti vuole morto.
Gli indicò la strada dietro di sé: − Laggiù c’è la casa dei Roschaum. Vacci. La maestra di Dunklya ti aspetta laggiù.
− Ed è fidata?
Il fabbro alzò un sopracciglio: − Si dà il caso che sia mia sorella Wunderi. Fila, ora. Detesta aspettare e anche che si parli troppo di lei in sua assenza.
Hopfy obbedì con il cuore sanguinante.
E dire che sei così bella, Dunklya.

 
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view post Posted on 10/3/2019, 14:19
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"Ecate, figlia mia..."

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Edited by Gargaros - 28/7/2019, 19:36
 
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