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Skannatoio Marzo 2019, Relazioni Pericolose

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Beatrice S.
view post Posted on 6/3/2019, 14:40 by: Beatrice S.




LA LOGICA DELL’APOCALISSE

“Sei libera di non credermi, ma ti giuro che nulla di tutto quello che è successo è colpa mia; almeno non la parte che riguarda l’apocalisse.”
Eva digrignò i denti e appiattì la schiena contro la porta di metallo. “Mi stai dicendo che questa è la scusa migliore che riesci a inventarti per giustificare di avermi rapita?”
“Quante volte ancora ti devo dire che non ti ho rapita?” protestò Alex, accennando un passo sul primo gradino della scala in cima alla quale Eva si era abbarbicata nell’inutile tentativo di forzare la porta blindata.
“E mi vuoi far credere di avermi trascinata in questo buco per salvarmi?”
Alex fece un altro passo, cauto. “Se mi lasciassi spiegare…”
“Non ti avvicinare a me!” urlò, isterica.
Alex si bloccò, sforzandosi di respirare a rilento per dissipare la tensione che gli attorcigliava la gola. “Puoi fidarti di me, Eva. Te lo assicuro.”
“Dimmi la combinazione di questa maledetta porta e ti crederò” lo provocò lei, indicando con il mento il pannello elettronico incassato nel muro.
“Non posso.”
“E perché no?”
“Anche questo te l’ho già spiegato: non posso darti la combinazione perché tu apriresti la porta senza darmi nemmeno il tempo per provare a fermarti. E non posso permettertelo.”
“Io ho diritto di andarmene da qui quando voglio. E voglio andarmene ora!” protestò, incrociando le braccia al petto e fissandolo con aria di sfida. “Perché dovresti fermarmi?”
Alex strinse un pugno intorno al corrimano, sorrise. “Principalmente perché quando le
particelle radioattive avranno bruciato i nostri polmoni non avrò nemmeno il tempo per dirti: te l’avevo detto. La cosa mi ferirebbe.”
“Smettila con questa stronzata dell’apocalisse” gridò Eva dando un calcio sul fondo della porta. “È assurdo che tu pretenda che io ti creda”. Picchiò i pugni contro il metallo che risuonò cupo, di un suono senza eco. “Adesso fammi uscire!” supplicò, appoggiando la fronte contro la porta. “Oddio, giuro che mi sento soffocare!”
“Non ti ricordi davvero niente di quello che è successo ieri sera?”
Eva si voltò e lo fissò con un fremito d’odio. “Quello che ricordo è che ieri sera ero a una festa; troppo cool perché tu fossi invitato. C’era buona musica, alcol e persino i fuochi d’artificio. Un sacco di ragazzi mi hanno chiesto il numero di telefono, lo sai?”
“Non pensavo che qualcuno potesse inserire il termine cool in una conversazione reale.”
“Falla finita!”
Alex soffocò una smorfia. “Nient’altro?” la incalzò. “Davvero non ti ricordi nient’altro?”
Eva appoggiò il mento sul palmo della mano. “Benny aveva il mio stesso vestito, la volevo uccidere. Ho pensato di rovesciarle il drink addosso per costringerla a cambiarsi.”
Alex trattenne tra i denti un’imprecazione, si colpì la fronte con un pugno. “Avrei dovuto saperlo! Pensavo che quella tua aria da bambolina viziata fosse solo una maschera, invece non è così: bella vuol dire sempre stupida. Sempre. E ora probabilmente sei una dei pochi esseri umani sopravvissuti all’apocalisse! Lo sapevo che non avrei dovuto rischiare di finire ammazzato per salvarti” Rise, di una risata nervosa. “Ottimo lavoro, Alex. Ottimo lavoro davvero.”
“Ehi, come ti permetti?” soffiò Eva, protendendosi verso di lui.
Alex si allontanò dal fondo delle scale, si sedette sul bordo del divano incassato sul lato corto della stanza. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia, nascose la testa tra le mani.
“Senti, non so proprio come dirtelo in modo gentile o perlomeno nel modo meno traumatico possibile” esordì, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Eva si era seduta su uno scalino e lo fissava con un’espressione interrogativa; Alex si schiarì la voce. “È finito il mondo, Eva.”
Lei roteò gli occhi, esalò una risata sarcastica. “Certo; con gli alieni e tutto il resto. Ma fammi il piacere!”
“A dire la verità si è trattato di esplosioni atomiche a catena; un classico.”
Eva sussultò e sbatté le palpebre; era la prima reazione umana su quel viso di porcellana.
“Le prime esplosioni erano lontane. Per questo le hai scambiate per fuochi d’artificio, ti ricordi, no? Me ne hai anche parlato, dei fuochi, intendo. La notte è diventata chiara come a mezzogiorno” continuò Alex. “Erano tutti imbambolati a fissare l’orizzonte in fumo senza capire che non ci sarebbe voluto molto perché le radiazioni arrivassero fino a qui.” Fece una pausa, scrutando Eva, ma lei rimaneva muta a fissare il pavimento.
“Eva, riesci a capire quello che ti sto dicendo?”
Lei si lasciò sfuggire una risata tremolante. “Quelli erano fuochi d’artificio. Ne sono sicura. Erano così grandi e…”. Si bloccò, mordendosi un labbro, incerta. “Caldi”
“Eri troppo ubriaca per accorgertene, evidentemente. Perchè la cosa non mi stupisce?”
Eva alzò la testa di scatto, fissandolo con odio bruciante. “Non ti permetto di insinuare che io…”
“Eri priva di sensi quando ti ho portata qui. Ah, e il tuo vestito era sporco di vomito.”
Eva increspò la fronte e abbassò lo sguardo; le pupille le rimbalzavano negli occhi come se stesse cercando disperatamente di afferrare un ricordo.
“Io…” mormorò.
“Stai cominciando a ricordare?” la incoraggiò Alex.
Eva sostituì quello sguardo smarrito con un’espressione a lui familiare: il disprezzo.
“L’unica cosa che ricordo chiaramente è di essermi svegliata in un bunker sotterraneo in compagnia di uno sfigato psicopatico che racconta balle su un olocausto nucleare e che ha deciso di rapirmi perché non è in grado di avere normali interazioni sociali. Non intendo passare un minuto di più con te. Fammi uscire, ora!”
Alex scrollò le spalle.“Dovrai abituarti alla mia presenza, che tu lo voglia o no.”
“Che cosa intendi?”
“Abbiamo un generatore indipendente di corrente, scorte di cibo e ossigeno pulito per almeno quindici mesi.”
“Quindici mesi qui dentro? Con te? Nemmeno morta!”
“Non vedo alternative.”
“Potrei andarmene. Devo solo indovinare il codice. Insomma, che ci vuole?”
Alex scoppiò a ridere. “Non pensavo avessi familiarità con il calcolo combinatorio.”
Eva lo fissò, smarrita.
“Basta! Mi arrendo! Se hai intenzione di passare i prossimi mesi a inserire numeri a caso nel pietoso tentativo di indovinare il codice, accomodati”. Alex scivolò lungo il divano e si protese verso gli scaffali della libreria incassati nel muro; estrasse un libro agganciando la copertina rigida con l’indice, lo aprì a una pagina a caso e lo alzò a livello del viso. Fu necessaria solo la prima metà di una frase per riconoscere il romanzo: La penultima verità di Philip Dick. Era una coincidenza o un maledetto scherzo del destino?
“Buon vecchio Philip, se solo fossi ancora vivo! Tu sapresti come raccogliere poesia anche da tutto questo schifo.”
“Non ti permetto di ignorarmi!” sbottò Eva.
Alex rimase in silenzio, girando teatralmente una pagina.
Lei emise un prolungato lamento, il rumore rabbioso dei suoi passi che scendevano le scale risuonò per la stanza. Raggiunse Alex, le sue dita artigliarono il libro e glielo strapparono dalle mani.
Eva lo guardò negli occhi e lui si sentì mancare il fiato da quella vicinanza; aveva un profumo buonissimo. Come diavolo faceva ad avere quel profumo dopo essersi devastata per tutta la notte prima? Si maledisse per averlo anche solo pensato.
“Lo sai che quello che stai facendo si chiama sequestro di persona? Mi sono stufata di questi giochetti. Guarda che io ti denuncio, eh.”
Alex sospirò. “Non volevo arrivare a questo” disse, alzandosi di scatto.
Eva trasalì e balzò all’indietro. “Se solo osi toccarmi io…”
Alex la sorpassò senza degnarla di uno sguardo. Si diresse verso il piccolo televisore incastonato nella parete di fronte, circondato da mensole piene di dvd e videogiochi, organizzati con cura maniacale. Fece una smorfia nello scorrere con lo sguardo su quegli scaffali: avrebbe passato i successivi quindici mesi chiuso in una stanza a giocare e a guardare film? L’apocalisse non sembrava diversa dal resto della sua vita.
Accese il televisore e premette un tasto sul telecomando, fece scorrere sullo schermo vari canali. Solo uno di essi aveva segnale; trasmetteva immagini a scatti e un suono crepitante, acuto.
“L’ho scoperto mentre stavi ancora dormendo e ho pensato di registrarlo. Non so, sai, per quando ci sarà bisogno di ricostruire la storia dell’umanità o cose del genere” disse; sullo schermo qualcosa esplodeva e qualcuno urlava. “Non avrei voluto che lo vedessi, ma a questo punto...”
Eva sbatté le palpebre. Incrociò le braccia al petto e si avvicinò al televisore, gli occhi incollati allo schermo; sulle iridi palpitava l’arancione e il rosso delle detonazioni.
Alex distolse lo sguardo. “È l’ultimo telegiornale trasmesso poche ore dopo le prime esplosioni. Poi non hanno trasmesso più nulla.”
Alex rimase ad ascoltare il respiro di Eva che accelerava e si faceva gemito.
Prima che il filmato finisse premette un tasto sul telecomando e spense lo schermo.
“Credo sia sufficiente. Mi spiace che tu l’abbia capito in questo modo. Ma era l’ultima possibilità che avevo per convincerti a credermi.”
Rivolse lo sguardo verso Eva, ma lei non lo stava ascoltando, i suoi occhi erano concentrati sull’agonia di una lampada al neon sul soffitto spoglio sopra di loro. Alex fissava gli spasmi sul suo volto, il dilatarsi delle sue pupille.
Eva scosse la testa. “Porca troia” gemette.
Con uno scatto si lanciò su per le scale e afferrò con entrambe le mani la maniglia della porta, tirandola con tutte le sue forze. L’ultimo strattone la fece sbilanciare all’indietro, il tallone oltrepassò l’angolo del primo scalino; fece ondeggiare le braccia per tentare di tenersi in equilibrio mentre il resto del corpo cadeva.
***

Una luce lattea le ferì le pupille costringendola a serrarle con un gemito. Il cranio le si schiudeva come un fiore scarlatto, riempiendo le pupille di macchie rossastre.
Acquistò consapevolezza del proprio corpo e si rese conto di essere sdraiata su una superficie morbida. Si arrischiò ad aprire gli occhi; Alex era chino su di lei, le premeva sulla fronte un panno freddo.
Cercò di alzarsi di slancio ma lui la trattenne premendole con fermezza una mano sulla spalla.
“Ehi, piano. Hai preso una bella botta.”
“È peggio di un dopo sbronza” gemette.
Allontanò la mano di Alex con uno scatto nervoso, si mise seduta, il divano era diventato un letto. La sua mente procedeva a rilento, inquadrando gli oggetti intorno a sé come se li vedesse per la prima volta: le scale, la porta blindata, la libreria; sulla destra le mensole con i cibi in scatola, una cisterna d’acqua, una piccola cucina e un frigorifero, davanti a lei la parete con il televisore. Era spento ma negli occhi le palpitavano ancora quelle immagini, come in un film dai pessimi effetti speciali.
Serrò con forza le palpebre.
“Alex” disse. “È successo davvero?”
Lui si limitò ad abbassare lo sguardo.
“Oddio” mormorò Eva. “E tutti gli altri sono…”
Alex annuì.
“Cosa ti fa essere sicuro che le radiazioni non arriveranno anche qui dentro?”
“Non lo faranno. Mio padre l’ha fatto costruire apposta. È sicuro.”
“Allora essere nevrotici catastrofisti è un cavolo di gene di famiglia?”
Alex scrollò le spalle. “Dopo la morte di mia madre si era ossessionato all’idea della fine del mondo. Era devastato, pieno di soldi e non amava le barche; questo è il risultato. Niente yatch personale, ma un bunker antiatomico in giardino.” disse, allargando le braccia.“Beh, a quanto pare aveva ragione. Peccato sia morto prima di vedere confermate le sue teorie. Ne avrebbe riso di gusto.”
Eva si abbracciò le ginocchia. “Perché hai deciso di salvare solo me?”
“Oltre ad essere, diciamo pure, alquanto pazzo, mio padre era un egoista. In questo rifugio c’è posto solo per due. Me e lui, questo era il programma. Mi sarei gettato su un fungo atomico se avessi dovuto passare la fine del mondo con lui, credimi.”
“Ma perché proprio me?”
Alex assunse un’espressione che Eva non riuscì a interpretare.
“Va meglio la testa?” le chiese.
Si era quasi dimenticata di quel dolore pulsante; si portò una mano alla fronte, le dita percorsero il morbido spessore di una garza.
“E questo dove l’hai imparato?”
“Nevrotico ossessionato dalla fine del mondo, ricordi? In caso di emergenza conoscere le basi del primo soccorso è essenziale. Sapere maneggiare una katana lo sarebbe altrettanto. Ma solo in caso di apocalisse zombie. Peccato che questo non sia il caso..”
“Avresti preferito un’apocalisse zombie?”
“Ammettilo, almeno sarebbe stata un tantino meno noiosa.”
Eva premette il palmo sulla benda; era calda, morbida. Il calore del sangue le solleticava i polpastrelli, ma il dolore si stava già affievolendo. “Grazie” mormorò. Si sentiva in colpa: non aveva fatto altro che urlargli addosso e lui l’aveva salvata. Aveva sempre considerato Alex uno di quelli che si escludono dalla realtà per rinchiudersi nel loro mondo di sogni. Ma era la realtà a essere diventata un incubo: l’apocalisse era avvenuta davvero. E lei non se ne era accorta perché era troppo ubriaca. Grandioso. Perdersi la fine del mondo per colpa di una sbronza.
Guardò Alex e nel petto le risalì un palpito di gratitudine.
“Com’è successo?” domandò in un sussurro. “La fine del mondo, insomma. Chi è stato?”
“Uno sbaglio? Un equivoco? La smania di potenza di qualche piccolo leader con libero accesso all’arsenale atomico del proprio stato? Chi può dirlo ormai? In fondo ha qualche importanza?”
Eva emise un lento sospiro. Gettò uno sguardo al frigorifero nell’angolo. “Hai per caso delle birre lì dentro? Non so tu, ma io non ho nessuna intenzione di trascorrere l’apocalisse da sobria.”
***

Eva ingollò un sorso di birra gelida e schioccò le labbra.
La testa non le doleva più, era diventata incredibilmente leggera.
Era seduta sul letto, la schiena appoggiata alla spalliera, un sacchetto di patatine in mezzo alle gambe; le briciole si erano sparpagliate su tutte le lenzuola.
Alex era seduto sul ripiano della cucina, si era slacciato i primi bottoni della camicia; dopo tre birre il suo viso si era colorato, gli occhi inumiditi. Eva si accorse che la stava guardando.
“Che c’è?” gli domandò alzando un sopraciglio.
Alex rimase in silenzio prima di trovare il coraggio di parlare.
“Ho immaginato fin troppi scenari per il momento in cui mi sarei dichiarato. Certo non immaginavo che la mia idea di essere soli si rivelasse tanto drastica; con noi che potremmo
anche essere gli ultimi sopravvissuti dell’intero genere umano e tutto il resto, intendo”
“Non montarti la testa, adesso” lo provocò Eva. “E togliti dalla mente qualsiasi pensiero di un nostro ipotetico compito di ripopolare la terra o qualcosa del genere. Non se ne parla neanche.”
Alex rise, distolse lo sguardo e le sue guance avvamparono; Eva pensò che il sangue è davvero sotto la superficie di qualsiasi cosa. Si tolse con delicatezza la garza dalla fronte; il suo si era fermato.
“Sei bellissima” disse Alex tormentando tra le mani la lattina di birra vuota.
Eva scoppiò a ridere. “Non credo siano rimaste molte altre donne per fare un paragone.”
“L’ho sempre pensato.”Alex scosse la testa. “L’apocalisse non c’entra.”
“Mi sembrava avessi detto che ero quella bella e stupida.”
Alex abbassò la testa inghiottì un altro sorso di birra.
Eva si arrotolò una ciocca di capelli intorno all’indice. “Senti, concentrati su qualcosa di più importante, ok? Ad esempio: fra quindici mesi cosa faremo?”
“Dovrebbe bastare perché le radiazioni si disperdano tanto da permetterci di uscire.”
Indicò con il mento un rilevatore con un ago fermo su una barra rossa. “Quello è uno strumento per rilevare la quantità di radiazioni nell’atmosfera esterna. Quando arriverà sul verde potremmo uscire.”
“Certo che tuo padre ha pensato proprio a tutto.”
“Già. Tranne a essere un padre. Tipico dei pazzi catastrofisti, credo.”
“E se non dovesse farlo? Diventare verde, intendo.”
Alex abbassò la testa. “Non possiamo fare altro che sperare.”

***
Dopo una settimana nel bunker, Eva aveva imparato a giocare a scacchi.
Dopo un mese, era riuscita a battere Alex, anche se aveva il sospetto che lui avesse perso di proposito.
Dopo tre mesi, si accorse che le piaceva il suono della voce di Alex; lui leggeva per lei. Eva rimaneva a pancia in giù, con i gomiti appoggiati sul materasso, il mento nelle mani, ad ascoltare. Aveva amato i racconti di Philip Dick e i romanzi di Verne, l’umorismo di Douglas Adams e l’acutezza di Orwell. Si erano passati i libri per interpretare i dialoghi, modificando la voce a seconda dei personaggi. Doveva ammettere che la risata di Alex non era poi così irritante come le era sembrata all’inizio.
Stavano dando fondo a una bottiglia di rum mentre leggevano dell’amore proibito tra Winston e Julia in 1984.
“Questo rum mi sta dando alla testa” gemette Alex.
“Non è possibile. Ne hai preso solo un paio di shottini.”
“Non sono abituato a bere. Come fai ad accorgerti di essere ubriaco? Credo di essere ubriaco.”
“È solo una tua impressione. Taci e continua a leggere.”
“Credo di essermi morso la lingua. Ma non riesco a rendermene conto. Non me la sento più!”
“Continua a leggere!” ripeté Eva. “Voglio sapere come va a finire.”
Alex increspò le labbra. “Come vuoi che vada a finire? Stanno facendo scelte completamente prive di logica. Si stanno rovinando da soli.”
Eva gli diede una gomitata nel fianco. “La logica non è tutto, mio caro” lo provocò.
“La logica, mia cara, è stata l’unica cosa che ha permesso agli uomini di sopravvivere per un tempo ridicolmente lungo; considera la nostra conformazione fisica: privi di zanne o altri meccanismi di difesa non abbiamo potuto contare su nient’altro che sulla nostra mente. La logica è tutto.”
“Vuoi dirmi che Winston avrebbe fatto meglio a continuare quell’esistenza vuota, solo perché sarebbe stato logico? Per sopravvivere potrebbe anche bastare la logica. Ma non per vivere!”
“Ha fatto scelte illogiche. E saranno queste a portarlo alla rovina. Vedrai.”
“Ehi. Niente spoiler!” gridò Eva dandogli un’altra gomitata.
“Se il mondo si fosse affidato di più alla logica non si sarebbe autodistrutto, credimi.”
“E se invece fosse stata proprio la maledetta freddezza della logica a condannarci?”
“A rovinarci sono state le scelte istintive, la rabbia e l’impulsività. E non c’è nulla di più distante dalla perfetta precisione della logica.”
Eva sorrise. “Scommetti che riuscirò a farti rinunciare alla logica e convincerti ad affidarti all’istinto?”
Alex rise. “Puoi provarci quanto vuoi ma non riuscirai mai a…”
Prima che potesse finire di parlare, le labbra di Eva erano sulle sue.
Lei avvertì le braccia di Alex cingerle le spalle; seppe di avere vinto con la stessa certezza con cui sentiva il corpo di lui, il suo respiro.
“421952” le disse Alex quando lasciò le sue labbra.
“Che cosa?”
“La combinazione” rispose. “421952”
“Non importa. Io non vado da nessuna parte.”

***
Eva si svegliò con il familiare ronzio del motore del frigorifero nelle orecchie.
Nel silenzio di quella che avevano eletto a notte era l’unico suono che invadeva la stanza oltre al respiro di Alex che dormiva al suo fianco. In quei momenti percepiva il peso della loro solitudine.
Si sedette sul letto, nella semioscurità che avvolgeva la stanza.
Fece scorrere lo sguardo sull’indicatore delle radiazioni e maledisse quell’ago fermo sul rosso. Cosa ne sarebbe stato di loro se entro i successivi dodici mesi non si fosse mosso?
Scosse la testa e scivolò dal letto; aveva bisogno di qualcosa che la aiutasse a non pensare. Si arrampicò su una sedia per raggiungere la credenza degli alcolici. Non doveva essere così pazzo il padre di Alex per aver pensato anche alla necessità di una sbronza come si deve per superare la fine del mondo.
“Maledizione” mormorò. Era rimasta solo una bottiglia in fondo allo scomparto. Si alzò sulla punta dei piedi per raggiungerla, strinse il collo della bottiglia, ma le scivolò finendo per cozzare contro il fondo della credenza. Il colpo fece cadere un riquadro di cartone e scoprì una nicchia nascosta. Eva allungò un braccio, estrasse una scatola da scarpe piena di polvere, gettò uno sguardo verso Alex prima di aprirla. Dormiva, il respiro regolare.
Era stracolma di foto. Ritraevano lei; scatti rubati di cui non sapeva l’esistenza: seduta al parco, a scuola, a una festa, mentre camminava per strada.
“Ma che diavolo…?” gemette rovistando tra le foto.
Sul fondo della scatola trovò la custodia di un dvd con una scritta vergata con un pennarello nero: Concorso Fine del mondo 2012.
Il respiro le si strozzò in gola. Inserì il disco nel lettore dvd cercando di controllare il tremore alle mani.
Il video partì, sullo schermo cominciarono a scorrere immagini familiari: le aveva viste tre mesi prima, il giorno in cui aveva deciso di credere ad Alex.
Alla fine del video partirono degli applausi registrati, apparve una donna sorridente con un microfono. “Siamo qui in compagnia di Alex Ross, il vincitore del concorso La fine del mondo. Abbiamo appena visto il suo filmato, dove ipotizza la diretta di un telegiornale il giorno dell’apocalisse. Alex, come ti è venuta l’idea per il concorso?”
Un Alex di sette anni più giovane apparve nello schermo; sorrideva.
“Maledetto!” urlò Eva. “Maledetto bastardo!”
Le foto si sparpagliarono ovunque: sul pavimento, sul letto, sui ripiani.
Le aveva mentito! E lei gli aveva creduto come un’idiota!
“Maledetto bastardo psicopatico!”
Alex sussultò, svegliandosi di soprassalto.
“Eva!” gridò, la voce ancora impastata dal sonno.“Che sta succedendo?”
“Mi hai mentito! Per tutto il tempo!”
“Ma che cosa stai dicendo? Non ti ho mai...” Il suo sguardo cadde sullo schermo; impallidì. “Merda.”
“Io ti ammazzo!”
“E va bene. Forse un po’ ti ho mentito. Ma era per il tuo bene.”
“Per il mio bene? Tu sei pazzo!”
“Quel filmato è falso, lo ammetto. Ma era l’unico modo per spingerti a credermi. È stata una scelta logica. Dovevo convincerti e non avevo alternative. Prova a metterti nei miei panni, ti prego Eva.”
“E tutte quelle foto come le spieghi?”
Alex abbassò lo sguardo.
Eva lo fissò con un conato di disprezzo, gli gettò la scatola in faccia e si lanciò su per le scale.
“Fermati Eva!”
Cominciò a inserire il codice, le dita battevano frenetiche sulla tastiera. 421. I passi di Alex risuonavano sulle scale, la sua voce angosciata la implorava di ascoltare. “Eva! Ti prego!”
95.
Non l’avrebbe più ingannata. Ah, no! Ora sapeva!
2. E premette il verde.
Un brivido di esaltazione la percorse quando la serratura scattò con un rumore di risucchio.
Afferrò la maniglia e tirò verso di sé. Dovette spostarsi di lato sul pianerottolo per permettere alla porta di aprirsi. Una lastra di vetro smerigliato le sbarrava il passaggio a un passo di distanza dalla porta blindata.
Gemette, angosciata, in cerca di un meccanismo di apertura.
Un pulsante spuntava sul lato del muro; esalò un singulto di vittoria.
“Eva ti prego! Fermati!” urlò Alex alle sue spalle; era arrivato in cima al pianerottolo e la stava per raggiungere. “Io… io ti amo”.
Eva premette il pulsante.
Fu investita da una luce intensissima che la costrinse a chiudere gli occhi.
Il sole! Si era disabituata alla sua luce dopo tutto quel tempo sottoterra in quel buco pidocchioso. Le pupille si erano assuefatte all’opacità asettica del neon; aveva dimenticato quella sensazione di calore sul petto.
Inspirò l’aria aperta, trionfante, libera.
E fu l’ultima cosa che fece prima che le radiazioni le bruciassero i polmoni.
 
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