| LA VIA PIU’ BREVE Di Alexandra Fischer
Quando si risvegliò dal sonno, la testa le pulsava. Gettando di lato il piumone blu a disegni di stelle e soli, indossò le ciabatte di plastica grigia traforata e andò nel bagno. Guardandosi allo specchio, notò che la crema per la notte aveva fatto il consueto miracolo sulla sua faccia, togliendole tutti i segni del tempo. Ma a me non importa se un giorno avrò un muso da cane Shar Pei. Purché se ne vada la stradannata Maledizione Bionda. Dopo essersi lavata i denti, irregolari, ma ancora bianchi, si pettinò in tutta fretta i capelli castano chiari dai riflessi rossastri all’henné, offertole dal marito per coprire i fili bianchi della capigliatura. E poi passò alla ginnastica mattutina, imparata ai tempi dei corsi di nuoto. Ricordi di lontane estati in piscina a sbracciarsi ridendo con un corteggiatore morto suicida le si rincorsero nella mente, obbligandola a sbrigarsi e a fare del proprio meglio, per rispetto verso di lui. Avevi ragione nel dire che sono una sciamannata. Sono felice che ti siano piaciuti i miei occhi azzurri. Saranno stati il tuo ultimo pensiero? Si vestì con la tenuta da lavoro: lupetto, maglione e pantaloni di velluto, con tanto di stivali e passò a fare colazione. Lo spettacolo della cucina la atterrì. Il marito aveva lasciato scatole vuote e briciole della cena notturna che si concedeva al rientro dal lavoro. Rimise in ordine facendo piano, per riguardo verso di lui. Poi si preparò la colazione. Caffè nero e biscotti all’avena con qualche quadretto di cioccolato al latte. E la sua mente andava alle colazioni che si preparava per le feste annuali, forse per via dei piatti appesi al muro di fronte a lei e raffiguranti le Quattro Stagioni, con i relativi lavori in campagna. Dolci speziati a Natale e ovetti ripieni a Pasqua. D’estate, pasticcini al latte o al miele. Ma guarda, ho desiderato tanto il cibo tedesco da piccola, e guarda qui. Ora posso andarlo a prendere in tutta comodità. Quel pensiero sereno si interruppe pensando alla malattia della madre e al ricovero permanente di lei in una struttura. Ho fatto quel che ho potuto per te. Ma tu volevi che finissi segregata. Beh, è toccato a te. E poi, altri pensieri. Ti porterò da leggere le riviste in tedesco e tutto quello che ti serve. Parleremo, ti farò passeggiare in giardino. Le ultime visite erano state molto formali. Aveva chiacchierato con lei sotto gli occhi degli zii, un po’ annoiati di accompagnarla lì. D’accordo, non guido, però so ricambiare i favori con regali mangerecci: di cibo e vini qualcosa ne capisco. La mamma me lo insegnato, da brava degustatrice professionale. Si guardò la fede d’acciaio al dito, ripensando alle circostanze del matrimonio, avvenuto in tutta fretta, dopo quella che era stata la fine di un mondo. Ora capisco come si è sentita la gente costretta a scappare in tempo di guerra. Ti viene istintivo stipare nelle sacche vecchie lettere, quaderni con spunti letterari potabili, piuttosto che qualche abito in più. E anche se sei al sicuro, vivi nella paura, che ti fa fumare e bere per affrontare meglio la notte. Sì, e per me sarebbe peggio se non leggessi e non buttassi giù qualche riga. Preparò la borsa con il pranzo e prese anche un paio di spuntini e il libro da leggere sul bus che l’avrebbe portata al lavoro. Fu allora che le sue dita toccarono il portasigarette di latta verde e nera a disegni oro. Non ne metteva mai, perché la sola idea di sollevare il coperchio la intimoriva. Dentro c’è un indirizzo mail che voglio dimenticare. Quella festa è ormai lontana. E poi, mi ha già dato tutto quello che mi serviva: la fiducia e il coraggio. Ma voleva conservare il ricordo di quell’ultimo scampolo di spensieratezza. Strano, che nelle manciate di ore libere che ho avuto prima di sposarmi ci sia stata una serata così effervescente. E non si è trattato solo di un brindisi al pub e di una passeggiata in centro. Ho capito che è stata una scuola. Sono cresciuta di colpo allora, vedendo che anch’io potevo far parte di un fermento. E tutte le volte che stringo il portasigarette, lo rivivo di colpo con tanta intensità da credere di poter tornare laggiù quando voglio. Ripensò alla stretta di mano con l’organizzatore dei festeggiamenti. Le aveva allungato il portasigarette con fare complice per poi allontanarsi dopo averla accompagnata a casa. Ecco il patto fra noi. Devo tenere il portasigarette ma senza cercare di lui, altrimenti mi dissolverei come un mazzolino di fiori in una tomba egizia. Quel pensiero le veniva dal ricordo dell’anello al dito di lui, con il simbolo di Plutone. Forse è davvero un suo avatar e ha voluto salvarmi dandomi un regalo facile da tenere e per nulla vistoso. Mi basta toccarlo per rivivere il giro nel centro della sua città e le conversazioni con i suoi amici artisti. C’era anche la presentazione del libro L’orrore alato del grande Ago. Ho letto l’articolo di Matteo Strukul su TuttoLibri, quanti elogi; e ho visto dappertutto il manifesto del film che ne hanno ricavato: è un vero genio. Vederlo seduto in libreria accanto alla giornalista di Panorama è stato un prodigio. Non ho osato neppure avvicinarmi per timore che quella visione potesse svanire. Però l’ho sentito vicino dopo aver letto il suo libro. Quando fu in strada, accelerò il passo lungo la via più breve per la stazione guardandosi intorno, terrorizzata all’idea di trovarsi di fronte a uno sciame di api bianche assassine create in laboratorio da uno scienziato ecologista deciso a sterminare la parte sprecona dell’umanità.
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