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Skannatoio di Halloween 2019

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Gargaros
view post Posted on 29/10/2019, 20:05 by: Gargaros
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"Ecate, figlia mia..."

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CITAZIONE (reiuky @ 24/10/2019, 12:27) 
Toglietelo dalla testa! :p097:

Occhei, uffa!


Spunti seguiti:
Leggenda metropolitana
Racconto intorno al fuoco




IL BUON FALCIATORE




Nel buio più totale, rannicchiato tra buste marce, altra roba molliccia e oggetti solidi non identificati che gli ammaccavano il corpo qua e là dove la pressione era maggiore, Sam non sapeva dire se il liquido affiorato dal fondo del cassonetto fosse acqua piovana infiltratasi nella spazzatura o percolato. Di certo il puzzo asfissiante del nascondiglio non l'aiutava a farsi un'idea. Il liquido lo aveva inzuppato per metà.
Ma non poteva ancora uscire: nel vicolo le voci dei tirapiedi di Yosemite echeggiavano ancora tra le pareti di mattoni lerci e sbrecciati e nei tubi di grondaie arrugginite. Li sentiva però a stento, perché ormai lo avevano superato e si stavano allontanando. Fortunatamente non si erano accorti che li aveva fregati.
Ma Sam non poteva rimanere lì dentro. Presto si sarebbero accorti di non avere più una preda d'avanti al naso e, fatto due più due, sarebbero ritornati sui propri passi per controllare il breve segmento del percorso in cui l'avevano perso di vista.
Sollevò adagio il coperchio, creando appena una fessura. Da quella poteva avere una visuale completa del vicolo. Non che vedesse molto, a dire il vero: l'unica luminosità era il vago riverbero dei lampioni che penetrava dalle strade laterali.
Il vicolo sembrava deserto. Da molto lontano, gli giunse un grido d'ordine. La distanza lo incoraggiò.
Con movimenti quasi disarticolati, patetici, uscì dal cassonetto. Le gambe gli dolevano per la corsa che era durata varie decine di minuti. Il fiatone, che prima aveva cercato di rallentare, adesso, liberato, venne fuori asmatico e disperato. Si concesse solo un minuto per riprendersi, poi si avviò verso l'imboccatura del vicolo da cui era arrivato.
Prima di immettersi nella strada, controllò sbirciando se la via fosse libera.
Poco dopo camminava rasente i muri, ancora guardingo. Le orecchie diventate sensibili quasi come quelle dei cani. La strada però risultava deserta e silenziosa. Era una strada stretta, illuminata vagamente da pochi lampioni funzionanti; qualcuno si animava e moriva a intermittenza, e pareva lanciare SOS alla compagnia elettrica. Non c'erano auto parcheggiate, e i casermoni scoloriti avevano solo finestre spente.
Sam si chiese dove diavolo fosse finito. Durante la fuga a un certo punto aveva perso la cognizione dell'ambiente, e la mentre era stata presa del tutto dalla sola idea di tenere lontani i farabutti. Non si era quindi avveduto di dove svoltasse. In una trentina di minuti, con quella velocità, doveva aver superato interi quartieri della vasta metropoli. E ora si trovava in uno che non conosceva.
Il peggio però non era quello... Col rubinetto dell'adrenalina chiuso, zuppo di sudore e di un qualche liquido che continuava a puzzare, cominciava a sentire il freddo di novembre inoltrato penetrargli nelle ossa. Quasi a suggellare la grandiosità della sua sfortuna, un fiocco di neve scese candido dal cielo e andò a squagliarglisi sotto un occhio.
Imprecò. Per riscaldarsi accelerò il passo.
Era dovuto uscire dal club di Yosemite alla svelta, senza poter recuperare il pastrano. Ora si pentiva ancora di più di ciò che aveva cercato di combinare ai danni di quella pallida e ridicola figura di boss da bassifondi.
Sam non aveva pensato alle conseguenze in caso di fallimento. Per lui si era trattato di un'occasione, forse l'unica in tutta la sua vita, per andare via da quello schifo di mondo e salvarsi, e salvare la sorella scema. Yosemite aveva mangiato la foglia, e l'aveva invitato lì al club, mostrando all'inizio la faccia di chi ignora che sta per essere inculato. Ancora Sam non si capacitava di come fosse riuscito a scappare da quella trappola.
Ormai era nella merda. Si era giocato l'esistenza in quella città, perché Yosemite gli avrebbe dato la caccia in ogni angolo. Non riusciva a pensare a quale pena gli avrebbe commisurato, ma certo sarebbe stata una gran brutta cosa. La morte? Sì, Yo era capace di farlo sparire per sempre. Con la sorella sulle spalle, era la prospettiva peggiore a cui pensava Sam. Doveva stare lontano da quella possibilità, per il bene di lei, che incapace di provvedere a se stessa.
Era quindi deciso: appena tornato a casa, avrebbe riempito gli zaini con le poche cose che poteva portare via, e sarebbe partito, trascinandosi Sammy appresso.
Per andare dove? E con quali soldi? Erano domande difficili, ma il tentare di soddisfarle era meglio che finire come cibo per vermi.
Distratto dai mesti pensieri, attraversò varie stradacce della periferia ignota. Le palazzine erano troppo alte perché potesse scorgere un grattacielo o uno scorcio che rivelasse la sua posizione. Poi per fortuna, girando un angolo, si trovò in uno slargo, una specie di incrocio-piazza. Là in fondo notò nella semioscurità i tralicci in metallo di una sopraelevata. Doveva essere la metro. Era già qualcosa. Seguendo la sopraelevata poteva giungere a una stazione e capire così come ritornare a casa.
Si avviò in quella direzione.
Un vago baluginio sotto il ponteggio rivelò tre o quattro figure che proprio al chiarore sembravano raccogliersi. Erano tre barboni, capì Sam quando si fu avvicinato. Tre baciati dalla malasorte che si riscaldavano al fuoco acceso in un bidone.
Un fuoco salvifico, in una notte come quella. Sam non chiese permessi, si accostò e protese le mani, piegando il busto per essere investito in volto dall'aria calda, anche se puzzolente di fumi non ecologici.
I barboni non lamentarono nessun fastidio. Uno sorrideva un minimo; vide i compagni e fece un gesto di comprensione con la testa.
Uno dei tre, sfregandosi le mani, quasi per noia del silenzio, disse: «Pare che nevica».
Infatti ora i fiocchi, fuori dalla protezione della sopraelevata, cadevano copiosi, quasi dritti perché non c'era un alito di vento.
«Amico, quanto puzzi» disse un altro barbone verso Sam.
Lo stesso barbone diede di gomito a un compagno. «Non è conciato proprio bene, eh?»
«Puoi dirlo» fu il commento dell'altro.
Il terzo: «Non sembri della zona. Sei forestiero?»
«Sì» rispose Sam. «Vengo da un posto che si chiama Vattelapesca.»
«Vattelapesca?» chiese uno dei tre sventurati, massaggiandosi meditabondo il mento cespuglioso. «Mi sembra quel paese che disse James Senzaduedenti...»
«Chi se lo ricorda» fece un compagno «è stato un paio di mezze dozzine più due lustri d'anni fa.»
«Non sei messo bene» ripeté di nuovo uno dei tre. Sam non scollava gli occhi dal fuoco e non prestava grande attenzione a quelle voci. Era troppo grato per la fiamma, la mente distratta dall'ambasceria del momento. Doveva riprendersi alla svelta e correre a casa.
Se solo avesse avuto un centesimo di ricarica nel telefonino, avrebbe già chiamato Sammy: con indicazioni chiare e semplici, lei poteva cominciare il lavoro per un trasloco... tirare fuori gli zaini, aprire cassetti e prendere roba a caso...
«... un bel tipo, quello» disse uno dei tre barboni.
«Sarai bello tu» fu la risposta di un compagno.
Senza che Sam se ne ravvedesse, distratto com'era, vicino si era accesa una discussione. Coglieva frasi spezzate, un battibecco frammentario, perché la sua attenzione solo parzialmente e molto vagamente ne veniva attratta. «... mano di pasta frolla...» «... la sedicente...» «... non poteva proprio farcela...» «... Senzaduedenti...» «... il Buon Falciatore...» «... non credevo, accidenti...» «... con questo tempaccio...» «... buttaci quel tuo cartone...» Poi si sentì urtato da un gomito, che richiamava la sua partecipazione. «Oh, m'hai sentito, forestiero?»
«Che?» chiese lui trasalendo, infastidito dal tocco.
«Dicevo che devi pensarci. Non sei messo proprio bene, sai? C'hai quella disperazione di Senzaduedenti in faccia...»
«Ma di che cazzo parli?»
Un secondo barbone: «Del nostro compare, quello che si fece portare via dal Buon Falciatore.»
Il terzo: «È stato due mezze dozzine d'anni fa, più due lustri.»
Il primo: «Pidocchiera su due gambe, non sai dire ventidue?»
Il terzo: «Mi piace la precisione, fanculo.»
Il primo: «Eh... Senzaduedenti...»
«Di che cazzo parlate?» chiese Sam.
«Del nostro compare Senzaduedenti» ripeté uno dei tre.
«È stato qualcosa come due mezze dozz...»
«Oh, e piantala!»
Sam intanto si era riscaldato abbastanza da sentire nelle vene una parvenza di vita. Fra un po' sarebbe dovuto uscire di nuovo nel freddo. Quella prospettiva non gli piaceva granché, anche se la disperazione di partire, di correre presto a casa, fosse dominante. Il fuoco lo ipnotizzava.
Aveva lanciato ai tre compagni solo fugaci occhiate. Nel riverbero fiabesco del fuoco rosso gli erano parsi uguali, salvo qualche piccola differenza nel grado d'arruffamento di barbe e capelli, o nella disposizione di buchi e strappi sui cappotti lerci. Però la sensazione che aveva avuto era di filosofica accettazione delle sventure terrene.
Minuti dopo, decise consapevolmente di aspettare ancora un po', e di farsi divertire dalla combriccola. «E chi sarebbe questo falciatore?» chiese a mezza voce.
«Eh, ma allora sei proprio nuovo» rispose uno.
Un secondo: «Nuovo di miseria, eh eh eh!»
Il primo: «Sfido che non lo sai.»
Il terzo: «Ce lo dobbiamo dire, allora.»
«Noi tutti si sa» fece ancora il primo.
«Noi chi?» chiese Sam.
«Noi della miseria.»
«Il Buon Falciatore...»
«Il nostro amicone, si fa per dire, eh eh eh!»
«Perché ridacchi, tu?»
«Eh eh eh!»
«Noi che non teniamo niente, tutti si sa, esatto.»
«Anche Senzaduedenti lo sapeva.»
«Aveva la stessa disperazione, sai?»
«Allora ce lo dobbiamo dire, eh eh eh!»
«Il Buon Falciatore...»
«Il nostro compagnone che viene quando non ne possiamo più.»
«Se sei proprio disperato e vuoi farla finita.»
«Allora lui viene e ti porta via, senza farti soffrire. Zac
«Senzaduedenti però aveva una gran brutta faccia, dicono...»
«Dicono.»
«Tu l'hai vista?»
«No, io no! Dicono, dicevo.»
«Noi miserabili senza niente tutti si sa.»
«Di', hai mai visto uno di noi disperato?»
«Che piangiamo o ci lamentiamo?»
«Vero, anche senza un soldo, ce ne stiamo belli tranquilli e silenziosi.»
«Ci godiamo la vita, eh eh eh!»
«Però quando non va più...»
«Quando ci viene quella disperazione che hai tu sulla faccia...»
«... o siamo davvero stanchi...»
«... Allora invochiamo il Buon Falciatore, che viene a prenderci e ci porta via, senza un dolore.»
«Però Senzaduedenti...»
«Oh, piantala!»
«Vero, non lo sai. Dicono.»
«Ma molto meglio chiamare lui che farlo da noi...»
«Che magari sbagliamo e restiamo li coi dolori...»
«... che già ne patiamo troppi da vivi.»
Sam spezzò quel serrato discorso a più voci: «E come lo chiamo questo falciatore?» Lo chiese più per far smettere quel vocio che non per reale interesse.
«Devi dire la formula» gli rispose uno dei tre, forse quello che stava all'opposto del bidone.
«La formula magica» ripeté un altro.
«Noi te la diciamo, ma devi essere sicuro.»
«Quando dici la parola magica, il Falciatore viene e ti porta via.»
«Garantito, sicuro come la morte.»
«Come la morte, eh eh eh!»
«Però dilla quando sei solo...
«... che non sia mai il Falciatore fa confusione tra te e altri...»
«Avanti» disse Sam. «Sparate la parolina magica.»
«Te la dobbiamo dire una sola volta, ascoltala bene.»
«Perché lui viene se la ripeti tre volte.»
«Solo una volta, esatto.»
«Massimo due.»
«La seconda però dobbiamo farlo sottovoce...»
«... non sia mai che lui è nei paraggi, capisci.»
E uno dei tre gli disse la parola. Sam la registrò nella memoria con una strana facilità, considerato il momento. Non fu per interesse, non fu per curiosità: il motivo era sfuggente. Era una parola bislacca, insensata, almeno per lui, qualcosa che poteva essere paragonata ad “abracadabra”.
I tre barboni tacquero come se avessero assolto un compito. Sam avrebbe voluto canzonarli, se avesse avuto uno stato d'animo consono.
Proprio allora gli trillò il telefonino.
«Ehi, cosa diavolo è?» chiese un barbone.
«Che mi venga un accidente se non sembra un cellulare!» disse un secondo.
«Amico» concluse il terzo, quando Sam tirò fuori l'apparecchio dalla tasca dei jeans lerci «tu imbrogli!»
Ma per Sam i tre erano spariti dall'universo; sul display era apparso il nome della sorella. Si portò il telefono all'orecchio. «Sammy, ora arrivo, non preoccuparti.»
«Bravo, arriva presto.» Sam ebbe l'impressione di precipitare. «Non vuoi certo che alla sorellina gli capitasse qualcosa di brutto, vero?»
«Yosemite...» Non seppe cosa aggiungere.
«Esatto, io. E ora ti faccio il culo. Ma puoi salvarti, se fuggi. Però a tua sorella non andrà meglio.»
In sottofondo Sam sentì un mugolio, una voce troppo familiare. «Yosemite, se torci un capello a...»
«Piantala. I capelli non glieli torco, tranquillo. Sono così biondi, sarebbe un peccato rovinarli. Però solo quelli.»
«Ascolta, ho sbagliato, ok! Farò tutto quel che vuoi per rimediare, per farmi perdonare. Ma lascia Sammy!»
«Ok, per me va bene. Vieni subito a casa, e ne parleremo a quattrocchi.»
La voce di Yosemite era parsa ragionevole e disponibile, senza venature di minaccia e risentimento. Ma Sam ebbe il fastidioso ricordo di quando ore prima lo aveva invitato nel club: anche allora il tono era stato lo stesso. Tuttavia ormai non aveva scelta. Sammy non doveva pagare per la sua colpa.

Fu una corsa precipitosa nella neve. Tre quarti d'ora aveva impiegato per fuggire dagli scagnozzi, un'ora intera impiegò per capire dove fosse e per dove dirigersi verso casa. Nella periferia degradata a quell'ora della notte i taxi non bazzicavano. Non transitava quasi nessuno, anzi. Sam solo una volta vide un auto, sfrecciava con fretta e sembrava dirigersi a un rifugio; tentantò di fare un segno chiedendo un passaggio, sperando di guadagnare qualche minuto e un po' di respiro, ma il conducente non gli badò neanche. Un paio di volte dovette nascondersi dalle solitarie pattuglie della polizia; non che dovesse sfuggire alla legge, essendo riuscito a conservare una fedina pulita, pur con tutti i lavori sporchi che aveva dovuto svolgere per Yosemite; ma ci mancava solo che uno sbirro arrabbiato col mondo decidesse di sfogarsi su lui, arrestandolo per vagabondaggio.
Poi fu sotto casa, ai piedi del palazzo scalcinato e stinto. Era senza fiato, il sudore copioso gelato dall'aria, la puzza emanata dalla sua persona viepiù accresciuta. Si sentiva sfinito, abissalmente prostrato, quasi sulla soglia di quella condizione mentale per cui tutto perde di significato, nella futilità estrema, e la vita e la morte acquistano la medesima importanza. Forse la febbre lo stava cogliendo.
Sollevò a malapena gli occhi verso la proprio finestra, oltre la quale la luce era accesa. Era una luce fioca, quella della lampada vicino al divano sfondato dove dormiva lui. L'unico letto, nell'unica stanza da letto, lo aveva sempre voluto per Sammy, fin dal primo giorno in cui aveva dovuto provvedere a lei, essendo la madre morta per overdose. Erano passati ormai cinque anni.
Senza perdere ulteriore tempo, si precipitò nell'ingresso, e poi su per le scale. Bussò alla porta, perché le chiavi le aveva lasciate nel pastrano. Era stato un errore, perché indubbiamente Yosemite aveva usato quelle per entrare: Sammy aveva l'inviolabile istruzione di non aprire mai a nessuno, se non al fratello. Era una delle poche cose che era riuscito a inculcarle nella mente ritardata, insistendoci per anni.
La porta fu aperta da uno degli uomini di Yo. «Entra» disse nettamente.
Nella stanza che faceva da salottino e cucina, Yosemite sedeva su una sedia, vicino al divano. Sul divano era semisdraiata Sammy, spoglia dei pantaloni del pigiama e delle mutandine. Il contrasto del rosso sul biondo fu eloquente. Lo sguardo idiota terrorizzato, ma anche sperso, come confuso da cose nuove che non poteva capire.
La vista di lei in quello stato mandò in bestia Sam, che si lanciò verso Yosemite. Fu un'azione improvvisa e imprevista, perché nessuno riuscì a fermarlo, non lo scagnozzo che aveva aperto, non gli altri due che piantonavano dappresso. In un battito di ciglia era avvinghiato al nemico, caduto dalla sedia, e lo stringeva tra le braccia, come a volerlo stritolare. Si rotolarono tre o quattro volte sul pavimento, mentre Yosemite strillava ai compagni di spiccicarli, e tirava pallidi pugni per rispondere in qualche modo.
Sam si sentì sollevato dal pavimento, ma non lasciò la presa. Non sapeva neanche lui come volesse agire: la rabbia era tale da avergli obnubilato la ragione; ma certamente l'idea era di procurare a Yosemite tutto il dolore fisico che riuscisse a creare. Poi un dolore terribile ai reni. Poi un mancamento, quando qualcosa gli cozzò sulla testa. Le braccia cedettero. Anche le gambe cedettero, ma non cadde, perché un paio di presente lo tennero su.
«Figlio di puttana!» Era la voce di Yosemite, distorta nella sua percezione da trauma. «E cos'è questa puzza? Cristo santo!» Anche la vista era appannata, perché il bastardo appariva offuscato, una figura appena umanoide che nella luce fioca della lampada sollevava le braccia e si annusava da per tutto, e sbraitava maledizioni. Il breve stordimento passò in fretta.
«Lavoratelo un po'» ordinò Yosemite al terzo.
Sam fu pestato per bene, sul volto, allo stomaco. Le prese per cinque minuti buoni: un'eternità. Vomitò sangue. Solo allora i due che lo tenevano lo mollarono, e fracassò sul pavimento, distrutto, ma ancora cosciente.
«Bas... tardo...» tentò di dire. «Lascia... la... anda... re...»
«Dovevi pensarci prima, stronzo» fu la risposta di Yosemite, che adesso era di nuovo seduto vicino al divano. «Di', non è carina?» disse, facendo un sorriso malizioso. «Vedi? I capelli non li ho toccati.» Rise, seguito a pappagallo dagli altri tre. «Comunque non sono stato io. Uno dei miei ragazzi non ha saputo resistere, eh già. Ma è stato delicato, te l'assicuro.» Altre risate. «Però, sai?» proseguì Yosemite «quasi quasi me la porto con me. La faccio sistemare, me la tengo e mi ci diverto. Non è carina? Davvero una bambolina!»
«E per te» aggiunse poco dopo, tornando serio. «Dovevi pensarci prima. Ora sei fregato.»
Un silenzio da condanna scese nella stanza. Poi Yosemite fece un gesto finale con la testa ai suoi uomini.
«As... petta!»
«Fermi. Cosa vuoi?»
«Un... ultimo... desiderio...»
«Oh!» Yosemite allargò le braccia e fece un teatrale inchino. Chissà da quale gangster movie di serie B aveva preso quell'idea. «Un ultimo desiderio per il condannato! Ma certo, certo! Non vogliamo negarglielo mica, eh?» Una risata dai compagni. «Sentiamo, che vuoi?»
«Una... piccola cosa... Devi dire una... parola... tre volte...» Nella disperazione ci si appiglia a tutto. Rintronato e devastato, quella fu l'unica idea che era affiorata nella mente di Sam. Era consapevole che fosse un'idiozia, ma ormai non gli restava davvero più nulla.
Yosemite fece una faccia buffa, canzonatoria, divertita, disgustata. Dovette decidere che la condanna sarebbe stata più divertente con quel gioco. «Sentiamo» disse.
E Sam pronunciò la parola. Senza incertezza. Senza difetto. Una sola volta.
E Yosemite disse la parola, per tre volte.
E non accadde nulla.
Subito.
Nella stanza, però, qualcosa cambiò. La temperatura scese, sebbene non fosse proprio gradevole già prima, ma in una frazione di secondo crollò di vari gradi. Dalle bocche i vapori si plasmarono in forme inquiete e instabili. Quell'evento non sfuggì dall'attenzione di nessuno, perché un disagio irrequieto colse tutti, vittime e prede. Due degli scagnozzi cominciarono a guardarsi attorno, come presagendo una presenza invisibile. Il terzo si lasciò sfuggire un «Ma che...» senza poter proseguire, perché fu ammutolito da Yosemite. «Silenzio! Prendete questo stronzo e andiamo.» C'era fretta nella sua voce.
Sam si sentì afferrato per le braccia, ma la presa lo mollò subito, lasciandolo a terra. Uno degli scagnozzi aveva lanciato un urlo di sorpresa facendo spostare l'attenzione di tutti da Sam a qualcos'altro. Gli altri seguirono lo sguardo allarmato e tutti furono colti dall'imprevisto, dalla sorpresa. Poco dopo anche dal terrore. Là, in un angolo, dove la fioca luce della lampada arrivava appena, era apparsa dal nulla una figura nera, sembrava una macchia di nero nell'ombra, perché era evanescente, senza un contorno netto. Era così alta da toccare quasi il soffitto con la testa, al cui confronto la falce, stretta in una mano, sembrava una miniatura.
Uno degli uomini di Yosemite tirò fuori la pistola, istintivamente. Fece fuoco, ma le pallottole furono sprecate.
La figura avanzò con una calma surreale nella stanza. Non camminava, perché nella vaghezza della forma non si scorgevano movimenti di gambe. Levitava, forse.
Quello che aveva sparato fuggì. Gli altri due lo seguirono quasi subito. Yosemite non si accorse del tradimento, tanto era attratto e paralizzato dalla presenza.
Sammy cominciò a piagnucolare. Si nascose la faccia tra le mani.
Sam, facendo uno sforzo immenso, si sollevò e andò al divano. Abbracciò la sorella e le alitò parole d'incoraggiamento e consolazione. Ma i suoi occhi non si scollarono dalla presenza.
Questa arrivò loro vicinissimo. Incredibile a dirsi, pareva confusa, anche se non aveva un volto e tutto di lei era sfumato e inintelligibile. Sembrò spostare la sua attenzione da Sam a Yosemite a Sammy, anche se non aveva una testa propriamente detta che poteva ruotare su un collo propriamente detto. Eppure la sensazione di confusione che emanava era così intensa che Sam pensò sarebbe stato futile cercare una conferma oggettiva.
Poi capì. Una frase sentita dai tre barboni si riaccese nella sua memoria come un'insegna stradale: «Chiamalo quando sei solo, perché solo così non può sbagliare.» Si caricò di coraggio, e cercò di afferrare una visione positiva, un progetto da fare, per esempio andar via con Sammy ed essere felici insieme da qualche parte; magari racimolare qualche soldo in più per pagare un medico, uno psicologo che trovasse una cura per lei... ma forse non ce ne sarebbe stato bisogno, e forse bastava spostarsi in un ambiente più sano e positivo per avere un risultato... Una stilla di ottimismo, ne sentì solo una stilla, ma poteva bastare. Con un sorriso, con una voce calmata il più possibile, disse: «E lui che ti ha chiamato» indicando Yosemite all'ombra. «È lui il disperato. Guardagli la faccia... sentine la puzza... è uno dei tuoi... clienti. Io e mia sorella siamo a casa... Questa è casa nostra! Abbiamo una casa!»
«Ma cosa cazz...» cominciò Yosemite. Non finì la frase, perché al Falciatore bastò poco per avere una conferma. La stessa voce del richiamo.

Sam non avrebbe mai saputo dire perché lo chiamassero così, e perché tenesse effettivamente una falce. Non aveva usato la falce per “portare via” Yosemite. Sul corpo del bastardo non notò nessuna ferita, quando riaprì gli occhi interi minuti dopo, essendosi accorto che la temperatura nella stanza era di nuovo la solita, cioè il freddo reso tollerabile dalle pareti, essendo l'impianto di riscaldamento fuori uso da un tempo indefinito. Solo allora aveva quindi riaperto gli occhi. Perché quando il Falciatore si era scagliato su Yosemite, inglobandolo nel suo nero fumoso, e un urlo indicibilmente soffocato della vittima gli aveva fatto raggricciare le carni, aveva abbracciato ancora più strettamente Sammy e chiuso gli occhi.
Le orecchie purtroppo erano rimaste aperte, e aveva seguito atrocemente l'evoluzione della morte di Yosemite. Cosa era accaduto in quella cecità, non riusciva a immaginarlo. Solo nei sogni, sfuggenti visioni suggerivano qualcosa, e bastavano quei suggerimenti a farlo destare con un urlo.
I barboni si sbagliavano: non era con benevolenza e tatto che il Falciatore veniva a togliere l'ultimo fiato. E dicono bene che la faccia di Senzaduedenti era sfigurata da un terrore e da una sofferenza incommensurabili. Forse non era un benefattore, ma un giustiziere, e tanta doveva essere la tortura finale quanto in rapporto era il fallimento di una vita.
Ma queste erano considerazioni che Sam formulava senza volerlo, quando il ferreo controllo che applicava ai suoi pensieri gli sfuggiva di mano. Per il resto, tentava di essere positivo e di aiutare Sammy come poteva. Erano fuggiti da quella casa, da quella città. Dopo un breve peregrinare approdarono in una di quelle tipiche cittadine americane dove tutti si conoscono e si vogliono bene, o quantomeno si sopportano con civile rispetto. E in breve tempo tutti si affezionarono a Sammy per la sua angelica sventura, e a Sam perché si dimostrò volenteroso e umile.
Eh, sì, i barboni sbagliavano. Quando riaprì gli occhi, quella note in cui aveva sfiorato per tre volte la fatalità, e vide la faccia di Yosemite, tutto poteva pensare tranne che la dipartita fosse avvenuta con leggerezza e sensibilità. Perché Yosemite aveva anche lui, Sam ci avrebbe potuto scommettere, l'espressione di quel tale, Senzaduedenti: quella di chi ha subito una tortura inenarrabile. Il giusto coronamento di una vita buttata nel cesso.



Edited by Gargaros - 30/10/2019, 11:07
 
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