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Skannatoio Aprile 2020, Tela Nera

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view post Posted on 30/3/2020, 21:01
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Custode di Ryelh
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Ciao a tutti. Questo mese sono in anticipo (o in ritardo, se lo contiamo come Skanna di Marzo). Mi scuso se abbiamo saltato un mese: con quello di febbraio abbiamo ritardato e ho cominciato a far confusione con le date. Ad ogni modo, cominciamo con questa edizione!

TEMPISTICHE:
1) la fase di scrittura comincia dall'esatto momento in cui pubblicherò questo post e terminerà alle ore 23:59 di domenica 12/04/2020
2) Da lunedì 13/04/2020 ci sarà una settimana per commentare e votare i racconti degli altri partecipanti.
3) A partire dall'ultimo commento, ci sarà una settimana per votare il miglior commento al proprio racconto (1 punto) o i migliori commenti complessivi (2 punti)

LUNGHEZZA
Il racconto dovrà essere lungo tra i 2.000 2 i 35.000 caratteri.

SPECIFICHE
1) LA TELA...: nel racconto dovrà comparire una tela. Può essere la tela di un ragno, una tela da pittura o una tela da indossare, l'importante che abbia un posto di rilievo nella storia.
2) ...NERA: nel racconto qualcosa dovrà avere l'appellativo di "Nera". Mi raccomando: non "Nero", ma "Nera", con il femminile. Fatemi vedere dove può portarvi la vostra fantasia.

BONUS:

You are poison!: nel racconto dovrà essere presente un animale particolarmente velenoso.
Il mio corpo che cambia:uno dei personaggi principali deve presentare una body modification di una certa rilevanza (scarnificazione, impianto, tattoo sul volto, ecc...).

Pronti? Cominciate!!
 
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view post Posted on 31/3/2020, 21:32
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Bene ho già superato la soglia dei 2k e ho impostato la storia.

Dai che a sto giro partecipo
 
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view post Posted on 1/4/2020, 03:59
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"Ecate, figlia mia..."

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view post Posted on 2/4/2020, 07:52

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Ciao White Pretorian, sono contenta di questa nuova edizione. Specifiche interessanti. Parteciperò volentieri.
 
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view post Posted on 5/4/2020, 09:57
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Il pittore cieco

Le prigioni della città di Ashakre puzzavano di piscio e muffa. Le mura spesse erano imperlate di umidità malsana e la luce che filtrava dalle strette feritoie che c’erano in fondo ad alcuni corridoi non arrivava ad illuminare tutte le celle.
La guardia spronò, pungolandoli con la spada tozza, il ragazzo biondo e l’uomo lupo dalla pelliccia rossa. Una coppia male assortita, il lupoide alto e muscoloso, il ragazzo basso e magro. La loro andatura era lenta a causa delle pesanti catene che pendevano dai loro polsi e dalle caviglie.
«A destra» disse svogliatamente quando giunsero a una intersezione.
Fecero altri pochi passi, poi «Fermatevi!» Aprì la porta in pesante lecno di una cella e li esortò ad entrare. «Vi ricordo che c’è una sirena antimagia, quindi evitate e basta» disse chiudendo la porta e dando quattro mandate in ogni serratura.

«Bene» commentò l’uomo lupo. «Siamo qui. E ora?»
«Ora usciamo» rispose Danson. Si guardò in giro. La cella era veramente angusta. Era difficile pensare che ci potessero vivere due persone. Vi era un unico giaciglio, sin troppo vicino al secchio maleodorante.
«E come?» chiese di rimando Chanlerr, annusando il giaciglio. «Io non ci passo da quel pertugio.»
«Vero.» Danson studiò la porticina adibita al passaggio del cibo. «Sei inutile come al solito»
«Che vorresti dire?» Chanlerr ringhò al ragazzo.
«Quello che ho detto, cagnaccio. Qualche problema?»
L’uomo lupo ringhiò ancora più ferocemente «Cos’è non ti è bastato? Vuoi la rivincita?»
«Rivincita? Mi sembra che prima ti avessi messo sotto.»
«Mi sembrava che fossi tu ad essere bloccato. Se non le guardie non si sbrigavano a fermarci ti avrei staccato un braccio.»
«Non te la rigirare. Eri sotto e lo sai bene. E non stavo neanche facendo sul serio.»
«Ma se stavi piangendo come una femminuccia.»
«Dovevo attirare le guardie, altrimenti non ci avrebber…»
L’uomo lupo si scagliò sul ragazzo schiacciandogli la testa contro la porta per attappargli la bocca con una mano. «Ssh! Idiota! Vuoi che ci scoprano!»
«Mmmhmhmmhmp!»
«Cosa?»
Danson allontanò il compagno di cella con uno spintone. «Ho detto lasciami che non respiro, cagnaccio!» Si passò una mano sul volto. «Andiamocene da qui prima che ci ammazziamo sul serio.»
«Sarebbe la volta buona.»
«Non ricominciamo. Per una volta, come ha detto Lana…»
«Collaborate.» Concluse Chanlerr.
Danson sbirciò fuori dallo spioncino. «Non si vede niente.»
«C’è la guardia che sta passando per la ronda.»
«E tu come… Oh» si affrettò a lasciar cadere lo spioncino. «Hai ragione.»
«L’ho sentita dall’odore.»
«Bene, armiamoci di pazienza e dimmi ogni volta che senti passare una guardia.»
«Solo se ammetti che non sono inutile.»
«Chanlerr, non ricominciare!»
«Ammettilo!»

La notte si distingueva dal giorno per tanti piccoli indizi che sembravano impossibili poche ore prima: la pesante penombra che permetteva di distunguere le loro forme si era trasformata in un buio tanto pesante da rendere inutili gli occhi, il silenzio era interrotto da piccoli lamenti, squittii e cigolii e il passo cadenzato delle guardie si era fatto più rado. Solo gli odori erano rimasti gli stessi.
I due compagni erano seduti sul giaciglio, Danson che dormicchiava con la testa appoggiata alla spalla pelosa dell’altro.
«Ehi» Chanlerr chiamò toccando la guancia del ragazzo con un suo artiglio. «Sveglia.»
«Mmmh? Sono sveglio» rispose questo, sbadigliando.
«Certo, come no. Le guardie hanno appena finito il loro giro.»
«Bene» Danson si alzò e si stiracchiò. Cercò a tentoni la porta.
«Fai attenzione a non far suonare la sirena.»
«I poteri innati non vengono influenzati dalle sirene antimagia.»
«No» rispose scocciato l’uomo lupo. «Ma le possono far scattare.»
«Se sono di buona qualità e ben tenute. Questa fa abbastanza schifo.»
Danson si concentrò e portò la mano in un punto preciso, sotto il petto e sopra la pancia dove i muscoli formavano una specie di rombo. Nonostante le sue parole sprezzanti, fece attenzione a premere lentamente quel punto, in modo che per una volta la trasformazione avvenisse lentamente. Tutto il suo corpo iniziò a rimpicciolirsi in modo disomogeneo. Il braccio si accorciò per primo e rischiò di non controllare più la trasformazione, poi anche i piedi e per un attimo barcollò. La gamba destra era in ritardo sulla sinistra. Quando era bambino lo faceva sempre: voleva riuscire a scegliere la taglia; ma il suo potere non accettava mezze misure: o grande come un uomo o come una bambola di pezza. E lo faceva in modo repentino, brusco, un batter d’occhio e indolore. Ora lo costringeva a lavorare lentamente, facendo tutti i passaggi, e dolorosamente. Quando anche la mano sinistra si proporzionò al resto del corpo era stremato. Si prese un istante per riprendersi, prima di scavalcare i ceppi che ora erano ridicolmente larghi e di liberarsi dai vestiti.

Nei corridoi la luce delle stelle che filtrava dalle feritoie era del tutto inutile. Danson dovette muoversi a tentoni, facendo affidamento sulla sua memoria per ricordare le svolte che avevano fatto per giungere alla cella. Il percorso di pochi passi fatto all’andata ora pareva lunghissimo. Quarta cella.
«Psst» mormorò dallo sportello del rancio. «Rasass! Sei qui?»
Dal buio della cella si sentì un grugnito. «Chi sei?»
«Sei tu Rasass?»
«Sì.»
Danson tirò un sospiro di sollievo. «Preparati: ti faccio evadere.»
«Come?»
«Tu preparati» disse e si allontanò. Ora veniva la parte più difficile: rubare le chiavi.
La guardiola era separata dal resto delle celle da una porta in legno spessa mezza spanna. Era sollevata da terra poco più di un dito, provò a farselo bastare. Si infilò sotto la porta e strusciò sul pavimento cercando di non rimanere incastrato. Quando riduceva le sue dimensioni il suo peso rimaneva invariato così il corpo diventava duro come un blocco di metallo e altrettanto poco malleabile. La porta cigolò ma le due guardie annoiate non parvero farci troppo caso. Rimase immobile per qualche secondo prima di sgusciare del tutto.
Prese bene la mira e saltò. Colpita dall’equivalente umanoide di un mattone di piombo alla base del collo, la prima guardià cadde con un gemito strozzato. La seconda ebbe il tempo di attivare la sirena antimagia prima che Danson saltasse di nuovo colpendola alla bocca dello stomaco e mandandola a sbattere contro la parete. Danson tornò delle sue dimensioni normali e prese il mazzo di chiavi. La chiave della porta era più grande di tutte le altre e la trovò in fretta. Corse dentro e si recò subito alla cella dove era rinchiuso Chanlerr.
«Idiota!» gli ringhiò l’uomo lupo attraverso lo spioncino. «Hai fatto scattare l’allarme!»
«Vuoi che ti libero?» rispose invece Danson provando le varie chiavi, operazione resa ancor più difficile dal buio totale.
«Sbrigati! Sento le guardie che stanno arrivando!»
«Faccio quello che posso. Stai zitto!»
«Altolà!» intimò una guardia. La luce della lampada gli ferì gli occhi.
Click!
La porta si aprì e dalla cella uscì un lupo rosso furioso che aggredì la prima guardia, spingendola a terra e poi saltando via, lungo il corridoio.
Da canto suo, Danson ritornò piccolo e scomparve dietro un sasso sporgente. Le guardie ci misero qualche secondo per riaversi, poi, resosi conto della porta aperta, una di loro urlò «I prigionieri sono scappati!» e si allonranarono.
Ora che aveva via libera, Danson tornò della dimensione umana, raccolse le chiavi e si diresse alla cella di Rasass.
«Ehi!» disse qualcuno dalla cella vicino. «Vogliamo essere liberati anche noi.»
«Va bene, non fate casino» rispose Danson. Trovò la chiave della cella e entrò per liberare dai ceppi l’uomo.
«Spero che il resto del tuo piano di fuga sia meno appariscente. Non voglio essere malmenato di nuovo» commentò questo.
«Oggi siete tutti criticoni. Ti porteremo fuori di qui, vivo e illeso. Altrimenti Lana ci spella vivi. Sei cieco, giusto?»
«Sì.»
«Bene. Dovremo muoverci nell’oscurità più totale. Se succede qualcosa, torna indietro e raggiungi il corridoio ad est. Lana è pronta con un piano B.»
«Uhao. Avete pure un piano B» rispose sarcastico. «E dov’è l’est di grazia?»
«Di la» Danson prese la mano dell’uomo e la volse nella direzione in cui sperava fosse l’est. Poi, come promesso, lanciò le chiavi nella cella vicina «Cavatevela da soli» disse e scappò, tirandosi dietro l’uomo.

«Aspetta!» esclamò Rasass quando giunsero davanti la porta delle prigioni. «Qui fuori è pieno di guardie!»
«Andresti d’accordo con Chanlerr» commentò Danson. «Quante ne sono?»
«Una decina… no, un po’ di meno. C’è anche un grosso animale.»
«Chanlerr! Mannaggia a te» imprecò il ragazzo. «Dovevi scappare!» Poi, rivolgendosi al pittore «ci sta creando il diversivo, ma sono troppo vicini.»
«Piano B?»
«Vai tu. Io devo aiutare quel cagnaccio rognoso. Se qualcosa va storto torna nella tua cella. Non ci hai mai visto.»
«Spiritoso.»
« Augurami buona fortuna.»
«In bocca al lupo.»
«Spiritoso.»

Attese una manciata di secondi che l’uomo cieco si allontanasse, poi fattosi di nuovo minuscolo socchiuse la porta e si lanciò contro le guardie.
Ne colpì una, creando scompiglio, poi saltò di nuovo, mancandone una seconda e finendo diversi metri più in la. Una spada lo colpì in volo, ferendolo sul petto.
Il dolore gli fece perdere per un istante la concentrazione e tornare grande. La ferita si allargò vistosamente perdendo molto sangue. Si sbrigò a tornare piccolo. Ora era un viscido coso rosso. Il lupo morse alla gamba una guardia che stava per colpire Danson per la seconda volta. Il ragazzo saltò colpendola al mento, facendola arretrare di un passo e infuriare ancora di più.
Le altre guardie li circondarono e si apprestarono a colpirli.
Poi ci fu l’esplosione. Fu talmente forte da far tremare i sampietrini della strada e spaccare qualche vetro delle finestre. Il lampo accecante che veniva dal muro ad est della stazione di guardia si stampò alcuni secondi sulle loro retine. Tutte le guardie si distrassero una frazione di secondo, sufficiente al ragazzo per e al lupo per aprirsi un varco e scappare.

Danson e Chanlerr si ricongiunsero agli altri su una collinetta poco lontano dalla città solo a mattino inoltrato. Chadder era nudo e il pelo era ancora bagnato dalla nuotata nel fiume. Teneva in mano Danson, sembrava più piccolo del solito e aveva un’espressione sofferente, forse perché aveva continuato a mantenere quella dimensione dalla sera prima.
«Ha bisogno di cure» esordì Chanlerr.
«Ssh!» li zittì Lindan, sedudo su uno sgabello, dava loro le spalle. Davanti a lui Rasass gettava inchiostro sulla tela e poi lo spandeva con le mani, disegnando suoni e odori. Non fingeva nemmeno di guardare la tela: i suoi occhi vuoti vagavano su quel paesaggio che non poteva vedere, ma le sue mani disegnavano cose che nessun’altro aveva mai visto. La salsedine di prima mattina fece una rapida apparizione, sostituita da un enorme nontiscordardime che restò sulla tela solo un paio di minuti prima diessere trasformato nel ronzio delle api.
Lana fece stendere Danson vicino al drago di terra del mercante. Questo tornò alle sue dimensioni naturali, trattenendo un gemito di dolore e lasciò che Lana gli curasse lo squarcio che aveva sul petto. Era enorme ma fortunatamente superficiale.
In qualche modo il pittore aveva catturato il gemito e ora la tela rappresentava il dolore in un modo che il ragazzo non avrebbe mai saputo descrivere. La forza delle immagini che apparivano e sparivano mentre la tela diventava sempre più scura era prorompente e il ragazzo dimenticò il dolore e l’ago che passava nelle sue carni vive.
Lindan aveva procurato al pittore una tela veramente enorme e questo passò gran parte della mattina e una parte del primo pomeriggio a spandere l’inchiostro nero. Quando ebbe terminato fece un passo indietro, lasciando che tutti potessero ammirare il suo lavoro: una tela perfettamente nera.
«Grazie» disse il pittore a Lindan. «È stato il mio lavoro più grande. In ogni senso.»
«No, grazie a Lei. È stato uno spettacolo unico, che pochi hanno possibilità di vedere» rispose il mercante.
«Cosa farai ora?» gli chiese Rasass.
«Ripartirò. Abbiamo fatto fuggire un sacco di prigionieri dalle prigioni di Ashakre, meglio non farsi vedere in città per un bel po’. Le interessa un passaggio? La bellezza dello spettacolo che mi ha offerto è più che sufficiente per ripagarmi del passaggio.»
«Credo che accetterò. Al governatore di questa città non è piaciuta la mia arte.»
«L’ho sentito. Danson, sei in grado di ripartire?»
«Dovrebbe stare fermo» rispose per lui la ragazza. «Possiamo farlo sdraiare sul drago ma non ci sarebbe posto per la tela.»
«Oh, non ho intenzione di portarmela dietro» rispose Lindan. «Lo spettacolo è finito. Ora è solo una tela nera. La sua utilità starebbe solo nel vantarmi di averla vista diventare nera, e non sono un tipo a cui piaccia vantarsi.»
«La lasciamo qui?»
«Uhm… no: la farò impacchettare e consegnare al reggente di Ashakre.»
 
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view post Posted on 6/4/2020, 06:32

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SPECIFICHE SKANNATOIO APRILE 2020
CAR. MIN. 2000 MAX 35000

TELA DI RAGNO, DA PITTURA O DA INDOSSARE. Ma con un posto di rilievo nella storia.
Nera. Usare il femminile.

Bonus: YOU ARE POISON (NEL RACCONTO DOVRA’ ESSERE PRESENTE UN ANIMALE PARTICOLARMENTE VELENOSO)

IL MIO CORPO CHE CAMBIA (UNO DEI PERSONAGGI DOVRA’ PRESENTARE UNA BODY MODIFICATION DI UNA CERTA RILEVANZA: TATUAGGIO, SCARNIFICAZIONE, IMPIANTO).


LA BEVUTA DEL SABATO SERA
Di Alexandra Fischer


La sacca a rete da spesa è accanto alla porta di casa e spicca sul pavimento di piastrelle ocra picchiettato di marrone nera come liquirizia.
Il suo proprietario, invece, è nella sala dell’alloggio.
Si mette le mani fra i riccioli biondo cenere e digrigna i denti: «Dannata vite. Ti dovevi spannare proprio ora?»
L’anta di destra dell’armadietto del mobile libreria penzola da una parte; il rumore del pezzo che ha ceduto lo ha svegliato alle cinque del mattino nel bel mezzo di un sogno aggrovigliato dove c’entrava anche la sua sacca a rete rovesciata per terra, ma con qualcosa di nero arrotolato sopra: quando gli si era avvicinato, il rettile era scattato come una molla e lo aveva colpito al mento con la forza di un pugno.
Al ricordo, si massaggia il mento: lo sente indolenzito, ma fa spallucce.
Di certo avrò battuto contro lo spigolo del comodino mentre mi rigiravo. Ma guarda tu se dovevo sognare la mia sacca da spesa trasformata nella tela nera di quale bestiaccia, poi?
Va in cucina e controlla circospetto la sacca: è appesa vuota a una sedia.
Pensa alla scatola delle viti di riserva che ha lasciato in cantina.
Accidenti a me. Tutte le volte mi riprometto di portarla di sopra nel cassetto del bricolage insieme ai cacciavite, al martello e ai chiodi, invece, me ne dimentico sempre. Oh, ma stavolta sarà la volta buona.
La testa gli pulsa ancora per via della bevuta della sera prima.
Questa è l’ultima volta che mi lascio a trascinare a bere dai colleghi, sono degli squinternati e Viola a cercane l’amicizia con una bevuta del sabato sera: per cosa poi? Festeggiare un tatuaggio sul collo per celebrare la fine del suo percorso iniziatico sulla Via del Serpente, qualunque cosa voglia dire e allora? Lei e le sue manie per l’occulto e lo sciamanesimo.
Scuote la testa e si prepara un caffè.
Devo schiarirmi le idee. Stanotte ho fatto un sogno davvero brutto: lei che mostrava a Renato il tatuaggio sul collo e lo sfidava a baciarlo. Ne sarebbe stato capace, quel bavoso.
Poco dopo, mentre lo sorseggia, guarda l’ora: sono le sei del mattino.
Niente da fare. Mi è impossibile alzarmi un po’ più tardi anche se è domenica. E tutto per via del treno delle sei: il mio incubo dal lunedì al venerdì è di perderlo.
Si corregge: Era. Ora ho nella mente quel dannato rettile che salta fuori dalla mia sacca come un ragno aggressivo da una tela nera.
Finisce di bere il caffè e accende il computer; nell’attesa che il sistema si carichi e la connessione arrivi, scrive su un foglio quello che deve acquistare quando aprirà il supermercato.
Maledetta la mia distrazione. Queste sono le dimenticanze del sabato. Spero di non metterci tutta la mattina con quell’anta.
Quando la pagina si apre, comincia la sua ricerca in base ai ricordi frammentari dell’incubo.
Il risultato lo porta a un nome da brividi: mamba nero, la specie africana di serpenti dal veleno più letale del mondo, per il quale non esiste siero.
Si gratta la testa allibito; i ricordi della festa al piano di sopra gli arrivano più sfilacciati di un vecchio tappeto.
Gli spintoni e i toni accesi di Viola e Renato, fra le risate degli altri.
E una teca con qualcosa di nero immobile all’interno.
Seguita dalle parole di Viola rivolte a…Renato?
Sì, oggi ha avuto la sua razione, ma se continuerai a darmi fastidio, la prossima volta potrei dimenticarmi di dargli la prossima. Come pure di chiudere questo coperchio.
Ricorda gli squittii e il dito sulla teca, sul tavolo di legno marrone chiaro.
E un’allusione rivolta a lui pronunciata in modo biascicato da…Renato?
Quell’eterno sbadato di Manlio sarebbe capace di scambiarlo per una cintura e se lo metterebbe addosso.
Le risate degli altri avevano coperto il resto della frase, ma la sua mente comincia ad arrovellarsi ora che deve scendere in cantina.
Non va spesso a casa di Viola, ma l’ultima volta è sobbalzato davanti alle istantanee di numero del National Geographic che ritraevano un serpente nero.
Era stato quando lei gli aveva mostrato il tatuaggio sul collo e gliene aveva spiegato il significato compiaciuta dalla curiosità di lui.
Guarda, Manlio è l’animale guida degli sciamani. Su, non fare quella faccia, basta saperlo trattare: ha il solo difetto di essere imprevedibile. Ma io ci sono riuscita.
Il come se lo è dimenticato e quando si sforza di rimettere insieme il resto delle parole di Viola, gli viene una fitta alla testa.
Nella sua mente, però, cominciano ad affiorare parole sparse come pezzi di una tela da pescatore marcita nel mare e diventata nera.
Teca aperta. Imprevedibile. Mamba nero. Specie velenosissima: non esiste siero.
Si alza da tavola, lava la tazza e la caffettiera, poi mette i sandali, prende la sacca a tela e il borsello.
Certo non devo fare acquisti in cantina, ma mi sento peggio del solito, come se la memoria mi si fosse appannata ancora di più del solito. Renato ha ragione: tendo a essere distratto, ma non immagina quanto lotti contro questo difetto.
Controlla il borsello: è diviso in scomparti e anche se certi oggetti non gli servono per andare in cantina, li tiene ugualmente per non rischiare di smarrirli in casa e guarda per un paio di volte gli scomparti.
Portafogli. Portamonete. Custodia dei documenti. Cellulare.
Le chiavi di casa sono nella toppa, ma, per aprire la porta, deve faticare più del solito.
Scemo che sono. Ho chiuso anche la serratura di sopra antiscasso. Ma perché?
Frammenti di un ricordo gli provocano un senso di angoscia.
Se solo sapessi come mai mi sono dovuto blindare in questo modo.
Scende le scale, ben contento di abitare al primo piano e tira di nuovo fuori le chiavi di casa.
Ah, questa con il bollino rosso serve per aprire la porta generale e quest’altra con il quadratino blu la mia cantina. Bisogna proprio che rifaccia il segno con i pennarelli se no le confonderò a vita. Alla faccia dell’inchiostro indelebile.
La serratura scatta con un rumore di metallo arrugginito e non appena apre la porta, la luce si accende in modo automatico.
Manlio guarda la lampada in alto alla sua destra con gratitudine.
Meno male che c’è il sistema a fotocellula. Una volta faticavo a trovare l’interruttore anche con la torcia elettrica, soprattutto d’inverno. Colpa della mia paura del buio e di quei dannati topi.
Cammina lungo il corridoio di cemento.
Tutte curve a gomito, mi ci è voluto uno sforzo da pazzi a imparare dove si trova la mia cantina. A destra subito dopo il lavandino.
Quando ci arriva, si ferma: qualcosa di nero sporge dal lavandino.
Sulle prime, pensa alla gomma sgonfia di una bicicletta.
Poi gli ritornano alla mente le parole di Viola: si ferma e comincia a sudare.
Il cellulare gli suona nel borsello e lui lo prende con movimenti irrigiditi dalla paura.
Meno male che non è una telefonata: ma chi mi ha mandato un messaggio proprio ora?
Prende l’apparecchio e legge l’SMS: «Mamba scappato. Spero tu non in cantina. Viola.»
Guarda il lavabo e la forma immobile gli appare troppo nera e sinuosa per essere una ruota sgonfia.
D’altronde, perché lavarla? Io al posto del proprietario mi sarei precipitato al negozio e ne avrei comperata una nuova.
Capisce che la sua mente sta cercando di calmarlo, ma si impone la massima freddezza.
Si concentra sulla tastiera per risponderle, quasi fosse un oggetto magico.
Immagina di chiederle aiuto con un messaggio troppo lungo e di sentire le spire del rettile avvinghiarsi intorno alla sua gamba nuda.
Stringe il cellulare con le mani sudate e allontana quel pensiero mentre compone le lettere: «Sì. Aiuto.»
Guarda la forma immobile soltanto dopo aver premuto il tasto di invio e la vede muoversi: riconosce la testa del serpente e la vede muoversi verso il rubinetto.
I movimenti sono ritmici.
Eh già, sta bevendo. Il rubinetto è difettoso e lascia cadere qualche goccia, forse, se mi allontano un passo alla volta, non si accorgerà di me.
Manlio indietreggia a passi cauti, senza staccare lo sguardo dal rettile.
È arrivato quasi a metà corridoio quando si sente toccare sulla spalla e sobbalza.
Senza voltarsi chiede: «Viola?»
«Sì.»
La mano di lei rafforza la stretta e lui si sente sussurrare: «Esci.»
«Io…»
Trema tutto, ma si fa coraggio e corre via: lascia la porta aperta e non vuole sapere niente.
Sale le scale e si barrica nell’alloggio.
Entra in cucina e guarda l’orologio: sono le sette.
Qualcuno dei vicini scenderà di sicuro. Speriamo in bene. Stavolta Viola ha esagerato, con la sua mania per gli animali esotici. Per non parlare di quella della magia nera africana; in fondo è una brava ragazza. Troppo sola e fragile, tutto qui.

***

Manlio sbuffa e chiude la porta del salotto.
Quanto ci mette? Io ho quel lavoro da finire.
Subito dopo si vergogna di se stesso.
Ma come? Io mi faccio ossessionare da una vite spannata e lei magari è in pericolo.
Apre il cassetto del bricolage e rovista: martello, chiodi, qualche morsetto per le tende, scotch isolante.
Il suono del cellulare lo riscuote e lo lascia a metà ricerca.
Corre a rispondere.
La parte peggiore è il tono compiaciuto di Viola: «Beh, adesso puoi scendere. È tutto a posto. Finalmente.»
«Bene. Arrivo.»
Riappende e ripensa alla sera prima: i suoi pensieri si focalizzano sulla teca.
Il miscuglio di vodka, raki e vino al mirtillo non gli ha cancellato la memoria: l’ha solo resa più confusa, frammentaria.
Il caffè e lo spavento in cantina hanno risolto il puzzle, che si ricompone nella sua mente a ogni gradino che scende: Renato ci ha provato con Viola e con le maniere forti, lei lo ha respinto e ha alzato il coperchio della teca.
Cosa è accaduto dopo non lo ricorda, ma il resto dei tasselli si ricompone di colpo.
Erano tutti in cantina; ubriachi fradici, ragazzi e ragazze del reparto ordini: sei persone.
Manlio si aggrappa al corrimano; lui è il più colpevole di tutti, era il più vicino alla teca, avrebbe potuto dare un pugno a Renato, ma non ci è riuscito.
Mi ha sempre sminuito, con la scusa che è caporeparto.
Arriva in cantina, preparato al peggio.
La porta è chiusa, lui la apre e si inoltra nel corridoio: trova il lavabo vuoto e sente il richiamo di Viola.
Entra nella cantina di lei: intonacata a calce e con qualche ripiano di ferro sul quale sono impilati scatoloni dalle scritte in nero.
Legge a malapena su uno: Libri liceo.
Poi vede la teca su un tavolo e sente lo squittio di topi vivi provenire da un punto coperto.
Allora capisce che c’è una seconda teca.
Guarda Viola: alta, flessuosa, con le lentiggini che le danno un’aria sbarazzina accentuata dal taglio corto a scodella.
Sembra una studentessa delle superiori, malgrado abbia superato i diciotto anni da quasi un decennio.
L’impressione è accentuata dallo scamiciato a fiori che indossa sui fuseaux neri.
Lui non si lascia ingannare: non c’è solo il tatuaggio sul collo a smentire l’aria innocente di lei, ma anche la luce dura negli occhi blu.
Lei si scompiglia i capelli biondo platino naturale: «Scusa, devo sembrarti un mostro, ma fra ieri notte e stamattina ho avuto da fare.»
Gli indica il contenitore coperto: «Squittiscono perché sono un po’ stupiti di quel buio. Ma il mio è un gesto di pietà. Ed è più di quanto abbia fatto Renato con me.»
La guardo sbalordito.
Lei allarga le braccia: «Aveva minacciato di farmi licenziare se non ci fossi stata. Dovevo passarli tutti e anche le loro amichette. Per questo sono venuti con i liquori. Tu sei rimasto a guardare mentre io reagivo; hai fatto bene. Ti chiedo solo un favore: avvicinati alla teca.»
Manlio lo fa e il serpente gli rivolge uno sguardo pieno di disperazione umana.
Guarda Viola e lei sogghigna: «Lo tratterò meglio di quanto lui non abbia mai fatto con me in azienda. Tutte quelle palpatine, quelle riviste oscene che mi faceva trovare in mezzo alla documentazione.»
«Ma il suo corpo dov’è?»
Lei ridacchia: «Lo saprai dal notiziario.»
Torna seria: «Cosa ci facevi qui sotto?»
«Cercavo le viti per aggiustare l’anta di un armadio.»
«Allora vai a prenderle.»
Si chiude dietro la porta e lui va a prendere la scatola; sale le scale e sente i rumori di tapparelle alzate e passi nelle stanze.
Accelera il passo; non vuole parlare con nessuno ed è impaziente di riparare l’anta.
Lo fa a radio accesa: i brani di musica dance gli tengono compagnia.
***
Ha appena terminato il lavoro quando il suo brano preferito si interrompe e lo speaker annuncia: «Edizione straordinaria. Giovane trovato morto, avvelenato dal morso di un serpente vicino al parcheggio di via Moncenisio. La polizia è alla ricerca dell’animale. La protezione civile invita la popolazione a rimanere nelle proprie case e a tenere porte e finestre chiuse. In caso di avvistamento telefonare al numero: *********».
Manlio scuote la testa.
Non si tradiscono gli amici.
 
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view post Posted on 7/4/2020, 22:20
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Custode di Ryelh
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Bravi, ragazzi. Diamo un po' di vitalità a questo concorso. E non dimenticate di stupirmi!
 
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view post Posted on 11/4/2020, 09:34
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"Ecate, figlia mia..."

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Mi trovo a buon punto.

Ma MarioFlam?
 
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view post Posted on 12/4/2020, 22:30
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"Ecate, figlia mia..."

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IL RAGNO E LA FARFALLA





Ho un ragno in casa.
Come ci sia entrato, ancora non l'ho capito.
«Domos, fai una verifica dell'impianto di riciclo dell'aria.»
Aspetto con pazienza la frazione di secondo che l'IA domestica impiega per l'analisi.
Impianto di riciclo dell'aria integro, non c'è nessun problema, Mario.

Tolto





Edited by Gargaros - 20/1/2021, 01:18
 
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view post Posted on 13/4/2020, 00:21
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Apprendista stregone

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Salute a tutti: mi spiace non aver potuto partecipare, ma sono rimasto bloccato causa intervento urgente al cuore per mio padre (bypass). Per fortuna il tutto si è risolto per il meglio e sono riuscito ieri (domenica) a riportarlo a casa.
Sarà per il prossimo scannatoio (maggio, si spera).
Se lo desiderate, posso comunque postare i miei commenti, rigorosamente per ultimo e con nessuna valenza per la classifica.
Avrete comunque dei suggerimenti o delle conferme sui vostri racconti, senza che ciò vada a impattare sulla contest tra voi che avete scritto.
Che ne dite?
WP, sei d’accordo?
 
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view post Posted on 13/4/2020, 07:49

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Ciao Incantatore Incompleto, sono contenta che sia andato tutto bene nell'operazione a tuo papà. Spero di rileggerti presto a maggio.
 
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view post Posted on 13/4/2020, 08:57

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Buona Pasquetta, ecco i miei commenti e relativa classifica:

IL PITTORE CIECO Di Reiuky Il fantasy ha parecchi punti di forza. Mi è piaciuta l’ambientazione, di tipo medioevale (in pratica i Nostri evadono da una segreta e liberano un pittore dall’arte strepitosa, oltre che un bel po’ di gente. E questo per volontà di una donna legata a un mercante che apprezza i quadri di Rassass, abilissimo malgrado la cecità, o forse per quella? Ho trovato notevole la realizzazione della Tela Nera, dove si passa al nontiscordardime al ronzio delle api, per poi passare alla rappresentazione del dolore del povero Danson dalla brutta ferita al petto: ho immaginato le raffigurazioni dei suoi nello spirito dell’astrattismo di Picasso e di Schifano; poi mi è piaciuta parecchio la trovata dei poteri di Danson di rimpicciolirsi e ingrandirsi (pur con il punto debole del peso che resta invariato). Ho trovato simpatico il lupo umanoide Chanler e il rapporto cameratesco che ha con Danson. Originalissima la trovata delle sirene anti-magia e indovinatissimi i dialoghi. È un’ottima storia, che rispetta in pieno le specifiche, ma ha qualche margine di miglioramento che ti segnalo qui sotto.
Attento:
A livello di storia: il punto debole è costituito dall’introduzione di Rassass il pittore cieco, così, per caso e poi c’è tutta questa liberazione di prigionieri che avviene in modo caotico (li legherei alla storia, facendoli vedere come la carovana al seguito del mercante, uno di loro potrebbe essere l’incaricato alla consegna della tela al reggente di Ashakre, inoltre si parla di questa donna, Lana e del mercante Lindan. Io farei così. Metterei nella frase: «Collaborate.» gli elementi che compaiono di colpo nel resto della storia. La riformulerei così: «Collaborate. Voglio Rassass il pittore vivo e libero. Lindan ha una tela da fargli dipingere» (qualcosa del genere, insomma. Se vuoi tenere la suspense, puoi anche scriverla così: «Collaborate. Voglio Rassass. A che le serve?» e Danson: «Deve fare un lavoro per lei e Lindan» «Ah, il mercante. Va bene.»).
porta in pesante lecno (legno)
Parli di ragazzo biondo e il Lettore scopre che si chiama Danson di colpo. A me non dà fastidio, ma al Lettore Esigente sì. Il mio consiglio è prendere la prima frase dell’uomo lupo e scriverla così: «Siamo qui. E ora, Danson?»
E proseguire: «Ora usciamo» rispose il ragazzo biondo.
Ringhò (ringhiò), guardià (guardia)
«Vuoi che ti libero?» (riformulerei: «Vuoi che ti liberi?»), allonranarono (allontanarono)
Piano B (frase che non mi piace tanto. Stona in un fantasy, io scriverei: un Piano di riserva). Uhao (Uao).
«Di la» («Di là»)
Nella seconda ripetizione di: «Spiritoso» ci metterei qualcosa tipo: «Doppiamente Spiritoso», o «Due volte spiritoso», per finire: «Sempre più spiritoso.»
Attento a Chadder (non è Chanler?)




IL RAGNO E LA FARFALLA di Gargaros Ottima la scrittura. Tranne il punto che ti ho segnato sotto. Le specifiche sono rispettate in pieno. La storia è in linea con i tempi. Immagini un futuro in cui l’attuale virus ha portato a un sistema di vita di reclusione, in cui le case fanno da governante-carceriere a chi le abita e i lavori si svolgono tramite l’uso dei droni (in agricoltura, in cucina e nel commercio). Il rapporto capo-dipendente cambia (è on-line), proprio come i rapporti umani (vedi quello di Mario e della madre, testimone di un mondo che ormai è diventato il tema dei libri e dei film letti dal Nostro, ma che lei ricorda bene; vedi la relazione di lui con Sara, fidanzata insegnante che si è ben adattata alla vita da reclusa e al sesso a distanza, come si vede dall’episodio degli slip, al punto di temere il matrimonio ed essere agorafobica). Il ragno nero e la falena dello stesso colore simboleggiano il Perturbante (sfuggono alla casa ipertecnologica) e simboleggiano, credo, l’irruzione del mondo di fuori nella realtà asettica di Mario. In loro, vedo qualcosa del ragno di Silvio Pellico. Per questo capisco la chiusura finale della storia (gli errori sul lavoro di Mario, il timore di lui di impazzire e di finire in un manicomio ancora più soffocante di casa sua): quando si nasce nella prigionia, il fatto che esistano un fuori e una libertà (rappresentati dal volatile di passaggio), restare sani di mente è un bel problema.

Attento:
rugato (rugoso)




La mia classifica è soffertissima, perché siete tutti e due ottimi autori, ma la legge dei numeri è spietata:

IL RAGNO E LA FARFALLA di Gargaros

IL PITTORE CIECO Di Reiuky
 
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view post Posted on 13/4/2020, 11:42
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Apprendista stregone

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Grazie Alexandra! 😉👍
 
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view post Posted on 13/4/2020, 19:29

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Buona serata, ho provato a partecipare ma ho avuto dei problemi e quindi ho dovuto rinunciare. Complimenti per i vostri racconti!
 
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view post Posted on 13/4/2020, 19:33
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Se avete bisogno di una settimana in più per noi non è un problema: non è la prima volta che allunghiamo il termine per dare a tutti la possibilità di partecipare
 
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