| Marco e Annalisa
«Adesso spiegami da quanto tempo tu e quella troia di Annalisa, mi state prendendo per il culo!» La mie parole echeggiano nel salone disadorno della cascina abbandonata. Rimbalzano sulle pareti, stracolme di simboli satanici stilizzati, come a voler evidenziare la mia ira. Quello sguardo carico di finto stupore che gli compare sul volto, mi fa incazzare ancora di più. Eccolo qui, davanti a me, il mio migliore amico, anzi ex migliore amico. Dovevo aspettarmelo che tutta questa amicizia esplicitata nei miei confronti, questa fraternità offerta a piene mani, fossero dettati da un secondo fine. Riesco quasi a giustificare Annalisa che ha deciso di togliersi qualche capriccio con questo bellimbusto. Capelli neri tagliati corti, occhi grigi, fisico asciutto e atletico. È normale che con tutto questo ben di Dio che le gravitava attorno, Annalisa abbia perso la testa. E pensare che quella troia ha sempre affermato che le mie forme “abbondanti” le ispiravano tenerezza. Balle! Tutte queste considerazioni sulla tenerezza o protezione, che le ragazze si inventano per giustificare il fatto di non essere riuscite ad accalappiare un figo, svaniscono come neve al sole davanti alle attenzioni di un belloccio come Marco. Brutto stronzo! Mi verrebbe voglia di massacrargli la faccia a pugni, ma questo infame é uno dei migliori del suo corso di savate. Per fortuna in tasca ho la soluzione pronta per questo genere di problemi. Devo solo aspettare di averlo vicino. «Ma che cazzo dici Diego? Ma sei fuori?» «Che cazzo dico?» tuono mentre con un movimento degno di un prestigiatore, tiro fuori dalla tasca del giubbotto il telefonino. «Qui dentro ci sono tutte le prove della vostra tresca: prove inconfutabili.» «Bene. Fammi vedere queste prove inconfutabili, allora.» Il sorrisetto furbo che mi rifila, mentre incrocia le braccia in segno di attesa, mi fa incazzare come una bestia. Vediamo se tra qualche minuto sorriderai ancora, stronzo! Le mie dita volano veloci sullo schermo. Tocco l’icona della galleria e subito mi si parano davanti decine di foto. Immagini che mi catapultano in un tunnel di ricordi: il compleanno di Annalisa, le nostre vacanze in Toscana, selfie scattati con gli amici al mare. Volti sorridenti, momenti spensierati. Una vita felice rovinata dall’intrusione di questo maledetto ipocrita. Faccio scorrere le immagini, mentre un groppo alla gola, salito su dalle pieghe della mia anima, mi impedisce di deglutire e arrivo alle foto più recenti. Sono tutte di quest’ultima settimana. «Da lunedì ho preso ferie, senza dire niente a nessuno e ho seguito Annalisa.Tutti i giorni, dopo le lezioni all’università, veniva sempre a casa tua. Si fermava per un paio di ore e poi tornava a casa. Guarda: queste sono tutte le foto mentre entra ed esce dal tuo portone». «Hai fatto il piantone sotto casa mia? Ma tu sei pazzo, credi a me. Poi, queste foto non significano niente! Quante volte Annalisa è venuta a casa mia?» «Tutti i giorni? Quando tornavo a casa, fingendo di tornare dal lavoro, le chiedevo come era andata la giornata. Sai cosa mi rispondeva? Che era rimasta a casa a studiare o che era uscita con le amiche. Mi ha sempre mentito! E chi racconta bugie ha sempre qualcosa da nascondere!» Faccio sparire il cellulare nelle tasche del giubbotto ed estraggo dal mio portafoglio un foglietto sgualcito, vergato dalla mia tremolante calligrafia. «Tieni!», gli intimo, porgendogli lo scritto. «L’ho copiato prima che Annalisa lo cancellasse dalla chat di whatsapp . É di due giorni fa». Marco raccoglie il foglio e inizia a leggere. Un sorriso sornione appare sul suo volto. Non ha nemmeno la dignità di provare vergogna. «Una confessione in piena regola. Tu che le chiedi di vedervi, lei accetta allegramente , poi, probabilmente colta da un moto di pietà nei miei confronti, ti scrive: “Mi dispiace per Diego. Lo sai che non mi piace mentirgli. Domani gli dico tutto”. E tu, cosa hai avuto il coraggio di risponderle? “Ma sei pazza? Vuoi rovinare tutto? Diego non deve saperne nulla, intesi?”.Come cazzo hai potuto farmi questo?» Marco mi lancia addosso uno sguardo divertito. Ridendo sonoramente accartoccia il foglio e lo getta alle sue spalle. «Ma che cosa ti sei messo in testa? Tu sei pazzo, credi a me» mi risponde, cercando di soffocare le risate. Il mio sguardo vaga inquieto sulle mattonelle sconnesse del pavimento. Infilo le mani nelle tasche del giubbotto per evitare di dargli un pugno in faccia. Lo parerebbe facilmente e rovinerei tutto. Il contatto con il manico di legno mi infonde sicurezza. Devo aspettare con calma. «Adesso ascoltami, Diego. Ascoltami molto bene» mormora, avvicinandosi e poggiandomi le mani sulle spalle. Fa sempre così quando deve dirmi qualcosa di importante. Alzo lo sguardo e i miei occhi incontrano il suo sguardo serio. Per un istante, ritrovo il vecchio Marco, il mio miglior amico, il fratello che non ho mai avuto, una persona speciale. Sempre gentile e comprensivo nei miei confronti, prima che tutto andasse a farsi fottere per colpa di una ragazza di nome Annalisa. Avrei dovuto lasciarla in quella lurida topaia, alla mercé di un padre violento e di una madre passiva e ubriacona, invece di proporle di venire ad abitare con me. «Sono due settimane che ti vedo strano e ora ho capito il perché». Le sue parole mi riportano alla realtà come una secchiata di acqua gelida nella schiena. Spero solo che abbia il pudore di confessare la sua colpa. Me lo deve in nome della nostra vecchia amicizia. «Ti stai tormentando inutilmente. Tra me e Annalisa non c’è e non ci sarà mai nulla!» Ecco, lo sapevo! Il vecchio Marco è sparito ed è ritornato alla ribalta il vile bugiardo degli ultimi quindici giorni. Che delusione! «Ma te ne rendi conto? Io e Annalisa? Ma cosa sei andato a pensare?» Ma io non lo penso solamente: ne ho le prove! «Stammi bene a sentire, Diego: per me Annalisa é solo un amica e lei ama te. Te lo vuoi mettere in testa?» Lei ama me, ma scopa con te. Che strano il mondo, vero? «Adesso andiamocene da questo postaccio, torniamo a casa vostra e ne parliamo con lei. Una bella chiacchierata e tutto ritornerà come prima: ok?» Certo! Parliamone con lei. Indovina a chi darà ragione? Ho capito il vostro piano sin dall’inizio. Annalisa non vuole tornare dai suoi e tu non puoi portartela a casa. I tuoi intransigenti genitori non lo permetterebbero. Volete intortarmi, farmi credere che tra voi non sia mai successo niente, in modo che Annalisa possa continuare a vivere in casa mia. Quando le acque si saranno calmate e avró abbassato la guardia, potrete continuare a vedervi di nascosto come adesso. E vissero tutti felici e contenti. «Diego, ci sei? Allora torniamo a casa o no?» Marco aspetta una risposta che non arriverà mai. La mia mente è piena di immagini partorite dalla mia immaginazione, ma terribilmente vivide. Le loro mani che si toccano, le bocche che si cercano, i loro corpi nudi avvinghiati in un abbraccio senza fine, Annalisa che lo prega di non smettere. Marco ha ancora le mani poggiate sulle mie spalle. Le mie dita si serrano intorno al manico. Il momento é giunto. Continuo a fissarlo negli occhi, mentre tiro fuori la mano dalla tasca. Non provo nessuna emozione, mentre faccio scattare la lama del coltello a molla e protendo il braccio. Una parte di me si compiace nel sentire il rumore della carne che si lacera e il sibilo della lama che sprofonda come se fosse una vanga nella terra. Le mani di Marco si staccano dalle mie spalle e corrono a toccarsi il ventre: il suo sguardo è colmo di genuino stupore. Con un rapido movimento sfilo il coltello dall’addome e, con una leggera torsione del polso, gli conficco la lama al lato del collo. Il rumore é identico al precedente con l’aggiunta di un suono di sottofondo, simile a qualcosa di molle che si rompe. Il fiotto di sangue mi investe la mano con liquido caldo e vischioso. Alcune gocce sfuggite lontano, brillano come piccoli rubini nell’aria immota di questo soleggiato pomeriggio di aprile. Marco cade a terra, su un fianco. Gli occhi aperti, come a fissare un immaginario orizzonte lontano. Ora devo passare alla fase due del piano: sbarazzarmi del cadavere. Ho ispezionato il posto ieri e per mia fortuna so come muovermi. Esco dalla cascina e mi dirigo verso la macchina, posteggiata di fianco alla casa, vicino a due cespugli inariditi dal sole. Apro il bagagliaio e ne tiro fuori due grossi sacchi di tela grezza e una corda. Ne tiro fuori anche la bottiglia di acqua demineralizzata, che uso per il radiatore, e mi lavo le mani. Mi accorgo che la manica del giubbotto è sporca di sangue. Lo appallottolo e lo ripongo nel bagagliaio: penserò dopo a far sparire le macchie. Ritorno indietro, respirando a pieni polmoni l’aria che odora di erba e per la prima volta in due settimane mi sento meglio, come se mi fossi tolto un grosso peso dallo stomaco, come se avessi risolto di colpo tutti i miei problemi. Rientro nella cascina e mi avvicino al cadavere di Marco. Vicino al suo capo, una pozza vermiglia si sta mescolando alla terra e al sudiciume del pavimento. Non devo preoccuparmi di nascondere questa traccia. In questo locale si svolgono molte bislacche messe nere e l’uccisione di corvi o gatti neri, è molto frequente. Chiunque veda la macchia di sangue la scambierà per quella di qualche animale sacrificato in qualche bizzarro rituale. Infilo le gambe di Marco nel primo sacco di tela e sto per iniziare con la parte superiore del corpo, quando la suoneria di un cellulare rompe il silenzio di questi luoghi facendomi sobbalzare. È il suo! Devo spegnerlo! Con mani tremanti cerco nelle tasche del suo giubbotto ed estraggo il telefonino. Il nome che leggo sul display mi gela il sangue. Annalisa! Mi dispiace, troietta! Mi sa che il tuo amichetto non ti risponderà nè ora nè mai. Spengo con rabbia il cellulare, lo rimetto a posto e continuo con il mio lavoro. Il sole sta tramontando, devo sbrigarmi! Non vorrei facesse così buio da non vedere più nulla. Dopo qualche minuto passato a bestemmiare a denti stretti (non è facile fasciare nella tela un morto sdraiato per terra), inizio a trascinarlo verso il pozzo proprio dietro la casa. Anche trascinarlo sull’erba si rivela un’impresa tutt’altro che facile: sembra che il suo peso si sia triplicato. Finalmente arrivo al pozzo, madido di sudore e ansimante come un mantice. Devo fare ancora un piccolo sforzo, sollevarlo oltre il bordo e buttarlo nell’acqua stagnante. Dopo tutta la fatica che ho fatto, valuto che avrei potuto gettarlo nel pozzo senza perdere tempo a fasciarlo come una mummia, ma mi convinco che é stato meglio così. Se tra qualche mese il cadavere dovesse riaffiorare, preferisco che gli occhi di un eventuale curioso vedano un sacco di tela galleggiare nell’acqua torbida, piuttosto che i resti di un ragazzo in avanzato stato di decomposizione. Tolgo con decisione il coperchio di assi che copre il pozzo e incomincio a sollevare Marco. Con immensa fatica riesco a poggiare sul bordo di pietra la testa e le spalle, poi facendo leva con le gambe, sollevo il resto del corpo e lo getto oltre il parapetto. Sento un tonfo e mi precipito a guardare dentro il pozzo. All’inizio vedo galleggiare la parte superiore del sacco di tela, poi lentamente il corpo di Marco affonda nell’acqua nera e limacciosa. Alla fine vedo solo delle bolle d’aria di varie dimensioni increspare la superficie, poi più nulla. Mi siedo a terra, poggiando la schiena sul muretto di pietre che delimitano il pozzo. Chiudo gli occhi e tiro un sospiro di sollievo: è finita.
Arrivo a casa avvolto dalle ombre della sera, ma con il sole nel cuore. Con Marco fuori dai piedi, penso davvero che con Annalisa possa ritornare tutto come una volta. È stata comunque una stronza a tradirmi, ma sono deciso a perdonarla e a impegnarmi per rimettere le cose a posto. Apro la porta fischiettando e trovo la casa immersa nel buio. Allungo la mano verso l’interruttore ma la luce si accende di colpo. Mi ritrovo davanti tutti i miei amici, con ridicoli cappellini sulla testa. La sala d’ingresso è piena di palloncini e festoni di vari colori. Sul muro di fronte uno striscione con la scritta “Buon compleanno Diego”. Tutti gridano “Sorpresa” e vengo investito da una moltitudine di coriandoli i colorati. Dal gruppo si stacca Annalisa, che trotterella fino a me, unisce le sue labbra alle mie in un casto bacio e grida: «Buon compleanno amore mio!» Cazzo, il mio compleanno! E chi se lo ricordava più! I miei amici si fanno sotto in una girandola di pacche sulle spalle, baci sulla guancia e tirate di orecchie. In breve mi ritrovo con un cappellino sulla testa e un bicchiere di vino bianco in mano. «Scusami tesoro se ti sono sembrata poco presente in questo periodo, ma sono stata impegnata a prepararti questa bella sorpresa» cinguetta Annalisa, assumendo quell’aria triste che mi fa impazzire. «Senza l’aiuto di Marco non c’è l’avrei mai fatta!» «Senza l’aiuto di Marco?» chiedo incuriosito, mentre la paura, come un uccello impazzito, sbatte le sue ali contro la gabbia della mia anima. «È da venti giorni che Marco ci schiavizza», esclama Chiara, giocando con una ciocca di capelli neri. «Ci ha obbligati un giorno sì e l’altro pure ad andare a casa sua per organizzare questa festa. Hai veramente un amico fantastico». La verità mi investe con la violenza di una valanga di pietre. Le bugie di Annalisa, il suo comportamento schivo, gli appuntamenti a casa di Marco. Le gambe mi diventano molli, la fronte si copre di gocce fredde: mio Dio, che cazzo ho combinato. «Tra l’altro sono preoccupata» le fa eco Annalisa. «Avrebbe dovuto essere già qui, invece non è ancora arrivato. Ho provato anche a chiamarlo ma prima non ha risposto e dopo il suo telefonino è diventato irraggiungibile. Tesoro, hai idea di dove possa essere?» Un sacco di tela che affonda nell’acqua nera e limacciosa... «No, non ne ho idea» rispondo con un fil di voce» Il fiotto di sangue mi investe la mano... «È da ieri che non lo vedo» concludo, deglutendo a vuoto. «È ora se volete scusarmi, vado in bagno». Mi giro velocemente e fuggo verso il bagno, anche perchè le lacrime che mi stanno risalendo in gola, mi impedirebbero di parlare. Chiudo la porta dietro di me e mi siedo sulla tazza del water, come un mucchietto di carne senza dignità. Mi prendo la testa fra le mani e lascio che il dolore che mi opprime il petto si sciolga in lacrime.
Apro gli occhi e mi guardo intorno, cercando di capire dove mi trovo. La stanza é parzialmente illuminata dalla luce delle lampade stradali che filtra attraverso le doghe degli avvolgibili. Annalisa dorme di fianco a me, russando debolmente. Ora ricordo: sono a casa, nel mio letto. All’improvviso sento un rumore proveniente dalla cucina. Mi alzo a sedere sul letto e rimango in attesa. Niente! Forse quel rumore l’ho solo immaginato. Sto per rimettermi sdraiato, quando sento nitidamente il rumore di una sedia trascinata sul pavimento. La mente grida di non alzarmi dal letto, di svegliare Annalisa, ma come un automa mi alzo e vado in cucina. Accendo la luce, pronto a difendermi dall’attacco di un intruso, ma non c’è nessuno: la cucina è deserta. Mi volto per tornarmene a letto e me lo trovo davanti. È lui! Un cadavere parzialmente decomposto, gonfio di acqua, vestito con due sacchi di tela legati insieme da una corda marcia. Dalla tela escono solo due braccia scheletriche sgocciolanti, e la testa è orrendamente sfigurata. Un occhio si stacca dall’orbita e cade in terra con un suono liquido. Con un movimento rapido mi stringe le mani intorno al collo e mi spinge contro il muro, intrappolandomi. Cerco di liberarmi, colpendo quelle braccia che mi tolgono il respiro, ma è come cercare di picchiare due tronchi d’albero. «Io sono ancora lì dentro, lo sai, bastardo?» La sua voce è terribile. Una voce che viene direttamente dai meandri più profondi dell’inferno. Cerco di parlare, ma la sua presa mi impedisce di emettere qualsiasi suono. «Non hai nemmeno lasciato ai miei genitori una tomba su cui piangermi. Confessa e fai recuperare il mio corpo, o verrò a trovarti ogni notte» La sua presa si fa più stretta e incomincia a mancarmi il respiro. Afferro quelle braccia e tiro con tutte le mie forze, nel tentativo di liberarmi da quelle due morse e.... ...mi sveglio gridando. Le mie mani che artigliano l’aria. Una tenue luce si accende alla mia destra, illuminando fiocamente la stanza. Annalisa mi fissa spaventata. Nella luce soffusa il suo viso appare pallido e stanco. «Di nuovo quell’incubo amore?». «Sì, di nuovo. Non può andare avanti così. Son sei mesi che sogno Marco che mi chiede...» Fai recuperare il mio corpo... «di aiutarlo...» Un’altra bugia. Mi giro sul letto, dandole la schiena. Odio mentirle, ma non ho altra scelta. Se confessassi la perderei per sempre. Sento il suo corpo magro che aderisce al mio, le sue braccia sottili che mi stringono forte. «Amore mio smettila di tormentarti, non è colpa tua se Marco è sparito. Vedrai che la polizia lo troverá e ritornerá tutto come prima» No, Annalisa. Non tornerà mai niente come prima. Se confesso ti perderò, se mantengo il segreto perderò la mia sanità mentale. Senza contare il senso di colpa. Ovunque io mi giri continuo a vedere un sacco di tela che sprofonda, gorgogliando, nell’acqua putrida. Vorrei parlare, cercare un po’ di conforto nelle tue parole, nella tua purezza e ingenuità. Ma non posso, perché sono un bastardo. Un bastardo che non sa cosa fare. Annalisa avvicina il viso al mio collo e mi dà un tenero bacio. È allora che gli occhi mi si riempiono di lacrime, chino la testa e piango come un bambino
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