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Skannatoio Luglio - Agosto 2020

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alsan90
view post Posted on 5/7/2020, 15:18 by: alsan90

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RINASCITA

Enrico prese il suo piatto della colazione appena svuotato e lo mise nel lavastoviglie. Con una mano prese le posate e con l’altra il piatto di Elsa che era già in bagno a truccarsi. Lanciò un’occhiata all’orologio a muro: le sette e mezza. Doveva fare ancora un sacco di cose prima di andare al lavoro.
«Sono pronta» disse Elsa sbucando fuori dal bagno nel suo nuovo tailleur viola.
«Io quasi», lei sbuffò.
«Aspetti sempre all’ultimo a prepararti e poi sono io quella che ci rimette. Ho il volo fra sole due ore e il taxi sta già aspettando da cinque minuti. Perché le mie valigie sono ancora qui?» chiese indicando il trolley fucsia e la borsa nera vicino alla porta d’ingresso.
«Scusa tesoro, ci ho messo troppo a preparare colazione. Volevo farti i tuoi pancake dato che non ci vedremo per una settimana.»
«Fammi capire, prima mi prepari la colazione e poi me lo rinfacci?»
«No, volevo solo dire che…»
«Comunque i pancake erano uno schifo, li fai sempre cuocere troppo poco.»
«Scusami, ti porto subito giù la roba.»
Elsa si mise le mani sui fianchi senza smettere di fissare Enrico che si precipitò verso le valigie e corse giù in strada a caricarle di persona sul taxi. Sapeva che lei non voleva che la sua roba la toccassero altri.
Aveva richiuso il bagagliaio quando le porte dell’ascensore si aprirono ed Elsa uscì dirigendosi verso di lui. Era già al telefono di prima mattina. Da quando era diventata sales manager il telefono non smetteva di squillare.
Enrico le aprì la portiera, ma lei gli passò davanti senza guardarlo.
«Buon viaggio amore, non vedo l’ora che torni.»
Elsa rispose con un movimento della mano simile a quello che avrebbe usato per scacciare una mosca. Enrico chiuse la porta e il taxi si mise in moto. Riguardò l’ora, sarebbe arrivato di sicuro in ritardo.

Alle nove meno cinque, Enrico rientrò a casa. Si era dovuto fermare un’ora in più per pulire il magazzino del supermercato. Il signor Ricolfi, non aveva il gradito il ritardo del mattino. Anche quella settimana si era giocato l’opportunità di chiedere un aumento, questo avrebbe fatto infuriare Elsa che da mesi pretendeva che Enrico si facesse valere con i suoi capi. Facile per lei che, nell’azienda dove lavorava, era il capoufficio e guadagnava il triplo di lui.
Chiuse la porta e posò le chiavi nella ciotola sul tavolino nell’ingresso. Si tolse la giacca e tirò fuori dal freezer un sacchetto di pasta alla norma congelata.
Mangiò nel silenzio più totale. Dopo un turno di dodici ore al banco della macelleria in mezzo a un mare di gente insignificante, aveva bisogno di quiete. Appena ebbe finito la cena si sedette sul divano e iniziò a cercare qualcosa da guardare in tv. Mentre faceva zapping finì su un canale che trasmetteva una puntata di “Chi l’ha visto?”. Stava per cambiare quando all’improvviso apparve sullo schermo una foto di una ragazza con i capelli neri. A Enrico mancò il fiato come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco.
«Sono già passati tre anni dalla scomparsa della diciasettenne Lorenza Bruno, ma i genitori non hanno smesso di sperare.»
Anche se il televisore era a due metri, la voce della conduttrice gli arrivava lontanissima.
«L’ultima volta che fu vista era il sabato ventitré marzo di ritorno da una festa in discoteca. Da allora non si hanno più notizie…»
Restò seduto a guardare il programma fino alla fine. Quella notte non chiuse occhio.

Continuò a rivedere quella puntata di “Chi l’ha visto?” in streaming per tutte le sere di quella settimana, anche tre volte di fila. Ebbe ancora problemi di insonnia e sul lavoro commetteva sempre più errori che il signor Ricolfi non mancò di punire. Faticava a stare concentrato e viveva immerso in un mondo di fantasia.
La sera in cui Elsa sarebbe arrivata, non prima delle undici però, Enrico uscì dal lavoro alle nove e mezza passate. Salì sulla sua Fiesta e imboccò corso Regina Margherita. La stanchezza lo appesantiva rendendogli difficile qualsiasi cosa. Si fermò a un semaforo e voltandosi alla sua destra, notò una ragazza sotto una pensilina degli autobus che lo salutava sorridendo. Era Rebecca la nuova giovane cassiera assunta con un contratto di apprendistato. Una delle poche persone che si erano accorte di lui in quel supermercato e con la quale aveva stabilito un minimo di legame.
Enrico abbassò il finestrino.
«Ciao, non è un po’ tardi per prendere il pullman?»
«Sì, ma sono obbligata» rispose Rebecca senza perdere il sorriso.
«Dove mi hai detto che abiti?»
«In corso Marche, però aspetto il bus non ti preoccupare.»
«Beh, io abito in zona. Non è un problema darti uno strappo se vuoi. Posso lasciarti a all’incrocio prima della biforcazione con corso Vittorio, saresti abbastanza vicina per arrivare a casa a piedi.»
Rebecca si strinse un labbro tra i denti e lanciò un’occhiata allo schermo del suo smartphone.
«Quand’è che deve arrivare il pullman?»
«In teoria fra venti minuti.»
Il suono di un clacson riempì lo spazio che li divideva.
«Dai salta su» disse mentre si allungava e apriva la portiera del lato passeggero.
Rebecca restò immobile ancora qualche secondo a mordicchiarsi il labbro, ma ad un tratto sorrise e salì in macchina. Il profumo di vaniglia che emanavano i suoi capelli neri, accarezzò il naso di Enrico.
«Grazie mille, sei molto gentile.»
Enrico ripartì subito e imboccò corso Marche. Attraversò l’incrocio che era subito prima della biforcazione a tutto gas.
«Ma…dovevi lasciarmi lì.»
Lui non rispose.
«Ehi!»
Serrò la mano destra in un pugno e all’improvviso la colpì con le nocche sul naso. Rebecca gemette di dolore piegandosi in avanti e portandosi le mani sul viso. Tra le dita scorreva del sangue. Le afferrò la nuca e le sbatté la testa sul cruscotto finché lei si accasciò di lato restando immobile. Enrico fece dei lunghi respiri per calmare il cuore e i fremiti di eccitazione che lo scuotevano come scariche di elettroshock. Tra le gambe aveva un’erezione solidissima.
Guidò fino alla tangenziale. Dopo quattro chilometri, prese un’uscita in direzione Val Susa ma appena fu sulla statale, deviò per una strada di campagna. Proseguì per altri dieci chilometri, finché non si ritrovò davanti a un piccolo bosco. Non ci andava più da quasi tre anni.
Parcheggiò la macchina a una ventina di metri dalla strada dietro a un grosso cespuglio. Scese e aprì la portiera del passeggero. Rebecca era ancora incosciente. L’afferrò e se la caricò sulla spalla. Ogni traccia di stanchezza era scomparsa dal suo corpo. Iniziò a inoltrarsi nella boscaglia quando lei emise un gemito. Doveva sbrigarsi, voleva farlo nello stesso posto di tre anni fa. Man mano che si avvicinava si abbandonò ai ricordi per amplificare il piacere di quel momento.
Aveva conosciuto Lorenza una notte mentre girovagava con la macchina, come faceva in quel periodo, senza neanche sapere cosa fare o cosa cercare. Non appena la vide che barcollava sul ciglio della strada capì subito cos’è che stava cercando. Era ubriaca fradicia e non fu difficile sopraffarla. Cazzo, quanto si era divertito.
Arrivò finalmente al suo posto speciale, Rebecca cominciò a scalciare. La gettò a terra e le diede un pugno in faccia. L’eccitazione e il godimento gli avvampavano dentro come un liquore fortissimo. Rideva di gioia pura mentre si sbottonava i pantaloni. Le strappò via le mutandine e la penetrò. Rebecca strillava con le lacrime che le scorrevano sul viso martoriato e più urlava e più a lui veniva duro.
Questa era tutta un’altra cosa rispetto alle farse che metteva in scena con Elsa. L’aveva conosciuta a uno speed date, due settimane dopo il suo incontro con Lorenza. Non pensava che i suoi gusti le fossero di gradimento, ma invece lei lo stupì. La prima volta che fecero sesso, Elsa gli confessò che le piaceva essere legata e sodomizzata. Provava un piacere selvaggio a essere picchiata e “dominata”, forse perché il resto della giornata la trascorreva a tiranneggiare gli altri. Però Enrico non era soddisfatto al cento per cento. La consapevolezza che lei godeva spegneva il suo desiderio. Lei doveva soffrire e anche se si sforzava di farglielo credere, lui, sotto sotto sapeva che fingeva. E poi sapeva che con Elsa non avrebbe mai potuto superare un certo limite e ciò lo deprimeva. Erano mesi che non scopavano più.
Enrico venne gemendo con un grugnito, ma il piacere più grande doveva ancora arrivare. Guardò negli occhi Rebecca e l’afferrò per il collo. Iniziò a stringere. Lei si dibatteva con tutte le sue forze, ma lui con il suo peso la inchiodava a terra. Sulle dita della mano sinistra, percepiva i battiti frenetici del sangue che scorreva nella carotide. Si avvicinò ancora di più alla sua preda morente e si godette fino all’ultimo istante lo spegnersi della vita dentro di lei.

Enrico aprì la porta di casa ed Elsa gli si parò subito davanti.
«Dove cazzo eri? Sono le tre!»
«Sono andato a fare un giro» la testa era ancora leggera come se fosse sotto l’effetto di una lieve sbronza.
«Oh madonna, ma che hai fatto» disse all’improvviso Elsa portandosi una mano alla bocca.
Enrico si avvicinò allo specchio a muro che c’era vicino alla porta d’ingresso. I suoi pantaloni e la sua giacca erano incrostati di fango. Sulle ginocchia e sui gomiti c’erano anche delle macchie verdi di erba. Alzò lo sguardo e si guardò in faccia. Era appena riemerso da quel torrente di emozioni che lo aveva attraversato e si sentiva diverso, trasformato. Era la cosa più bella che gli fosse mai successa nella vita. Si sorrise.
Tornò a guardare Elsa mentre con la mano destra chiudeva la porta dietro di sé.
«Voglio subito sapere che cosa hai fatto» gli disse, ma la sua voce era quasi un sussurro.
Lui fece un passo avanti.
«Enrico…» cominciò a indietreggiare man mano che lui si avvicinava.
Quando Elsa fu con le spalle al muro si fermò. Le appoggiò la mano sinistra sul collo, accarezzandole la pelle con il pollice. La guardò negli occhi e scorse il riflesso del suo sorriso.
 
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