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Skannatoio Gennaio-Febbraio 2021, L'inizio dopo la fine

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view post Posted on 16/1/2021, 09:31
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Miro alla coccarda "guarda mamma proprio come Amleto" e "Serve una corda"


Il più grande fuoco d’artificio dalla fine del mondo
di Nazareno Marzetti


Il sole stava tramontando su ciò che restava della piccola cittadina chiamata Chester e sui resti del grande anello orbitante che l’avevano distrutta. Kimball si strinse nel cappotto troppo grande per lui. Soffiò sulle mani per riscaldarsele e fece gli ultimi passi che lo separavano dal modulo abitativo che una volta orbitava intorno alla terra.
«Ecco Kim!» annunciò la piccola Anne corredogli incontro appena lui aprì la porta. Una dozzina tra bambini e asolescenti si voltarono nella sua direzione. C’erano quasi tutti. La maggior parte di loro riposava in qualche angolo in penombra, i più piccoli giocavano intorno alla luce delle candele sul tavolo.
«Hai trovato qualcosa di utile?» gli chiese Notus, seduto al tavolo da lavoro.
Kimball annuì e lasciò scivolare a terra lo zaino pieno di confetture e confezioni. «Ho dovuto scavare parecchio» disse. «Sta finendo tutto.»
L’uomo si alzò dalla sedia con molta fatica. Le gambe da spaziale non avevano mai camminato e riuscì a raggiungere la porta solo appoggiandosi pesantemente a ogni appiglio che aveva sulle pareti in metallo. Gli altri bambini e ragazzi seguirono lo spaziale, pronti a dare aiuto nel caso lo avesse chiesto. Raggiunto lo zaino si lasciò cadere sul pavimento e ne esaminò il contenuto.
«Con quello che già abbiamo basteranno per tre giorni.»
«Scusa.»
«Non è colpa tua» gli sorrise lo spaziale. «Tu hai fatto un ottimo lavoro. Doroty dice che il suo orto inizierà a produrre verso marzo. Dovremmo resistere altri tre mesi.» Si rialzò spingendosi con fatica su una sedia. «Kim, porta lo zaino in dispensa. Meg, vieni? Pensiamo a cosa fare per cena.»
«Patate?» chiese Anne.
«Non lo so» rispose Margaret, adagiando delicatamente Matt nella culla. «Quante patate ci sono?»
«Ce n’è ancora una dozzina» rispose Notus in traballante equilibrio. «Ma dobbiamo tenerle per piantarle.»
«Ma io voglio le patate» borbottò la bambina.
«Guarda che ho portato» Kimball frugò nello zaino e tirò fuori un pacchetto di patate pronte da friggere.
«Patate!» esclamò Anne.
Notus sorrise e si avviò verso la dispensa, subito seguito da Kimball.

Il fuoco della cucina aveva riscaldato un po’ la stanza e ora che tutti erano rientrati e mangiavano intorno al tavolo illuminato da una decina di grossi ceri una volta destinati alle celebrazioni religiose, un piacevole tempore stava sciogliendo le dita intirizzite del ragazzo.
«Ho parlato con Doroty oggi» esordì Notus, tra un boccone e l’altro «Vi ringrazia per l’aiuto e ha detto che domani non serve che andiate da lei.»
«Quindi che facciamo?» chiese Liam. Dopo Kimball era il più grande di età, ma lo aveva già superato di tutta la testa.
Notus ci pensò un po’. «Voglio provare a riattivare il controllo ambientale di questo modulo abitativo. Ormai dovrei avere tutti i pezzi.»
Il ragazzo annuì, poi «com’è la situazione al centro commerciale?» gli chiese.
Kimball scosse la testa. «Ormai è rimasto poco. Mi sono dovuto infilare in un condotto dell’areazione per raggiungere quello» disse indicando genericamente verso la dispensa. «E ho portato via tutto.»
«Hai incontrato nessuno?» gli chiese Notus.
«No. Oggi non si sono fatti vedere neppure i Bagley. Avranno trovato un altro posto da saccheggiare.»
«E i predoni?» chiese Margaret con una punta di ansia nella voce.
Kimball scosse la testa con gran sollievo della ragazza. «Sono settimane che non ne vedo.»
«Si sono spostati più a sud» confermò Notus. «Oggi ho intercettato un canale radio del Wyoming e ne parlavano.»
«Meglio. Spero che non si facciano più vedere da queste parti» sorrise Margharet.
«Lo faranno, invece» la contraddisse Liam. «Torneranno quando farà più caldo per raziare quello che abbiamo seminato.»
«Per allora dovrei aver ripristinato le difese del modulo» si intromise Notus.
«Quanto manca?» chiese Liam.
«Non lo so… Quando avrò sistemato il generatore potrei darvi una stima più precisa.»
«No, intendevo alla primavvera.»
Nothus fece spallucce. «Anne, che giorno è oggi?»
La bambina posò la forchetta e si mise a contare sulle dita. «Il 30 dicembre!» concluse alla fine. Notus annuì.
«Quindi domani è il 31. Capod’anno!» esultò Liam.
Notus annuì di nuovo sorridendo.
«Dovremmo fare un grande botto!» propose di nuovo il ragazzo.
«Botto?» chiese lo spaziale.
«Sì! Un grande fuoco d’artificio!»
«Meglio di no» rispose Notus, un po’ troppo in fretta. Kimball si chiese se tutti gli spaziali avessero questa avversione al fuoco. «Anche se trovassimo dei fuochi d’artificio non sappiamo in che condizioni sono. Meglio evitare.»
«Ho sentito che i Romson ne faranno scoppiare una montagna» si intromise Lucas.
«Bene. Allora vedremo i loro fuochi.»
«Ma…» iniziò Liam.
«No» lo interruppe secco lo spaziale. «È già troppo pericoloso così. Non voglio rischiare che qualcuno si faccia male per divertirsi con i fuochi d’artificio. Chiederemo ai Romson se possiamo assistere quando li faranno esplodere loro e non ne parliamo più. Chiaro?»
«Sì» rispose Liam.
«Bene. Allora sparecchiamo. Mettete i piatti nel tino, li laveremo domani. Lucas, stasera tu hai il compito delle candele. Assicurati che sia tutto spento e di lasciare la torcia per Meg sul tavolo.»
Lucas annuì.
«Bene. Ora… » sospirò e si fece forza sulle braccia per alzarsi dal tavolo.

Il pianto di Matt squarciò il silenzio della notte. Sotto le coperte Kimball non riusciva a prendere sonno. Sulla brandina vicino alla suo Liam mugugnò e si mosse. Poi sbuffò.
«Sei sveglio?» bisbigliò in sua direzione.
«Sì» rispose Kimball.
«Questa notte si gela.»
«Oggi il cielo era sereno. Stanotte ghiaccerà.»
«Sarà un disastro lavorare il campo domani.»
«Per fortuna non ci devi andare.»
«Già.»
Nell’altra stanza Margharet aveva iniziato a intonare una delicata ninnananna mentre il pianto di Matt si trasformava in sopito gorgoglio.
«Tu ci pensi mai? Ai tuoi genitori dico» gli chiese Liam.
«Sì» rispose dopo un attimo di silenzio.
«Anche io.» Lasciò un attimo di silenzio poi gli chiede «L’anno scorso non abbiamo visto i fuochi insieme. Ero uscito con gli amici. Io… Forse sarei dovuto restare con loro.»
Kimball mugugnò qualcosa, ma non aveva una risposta da dargli.
«Tu li hai visti con i tuoi?»
«Con mia madre.»
«E tuo padre?»
«Non ho mai conosciuto mio padre.»
«Non me lo avevi mai detto.»
«Non mi andava di parlarne.»
«E ora?»
Kimball sospirò. «Quando ero piccolo i fuochi di fine anno mi facevano paura e mia madre mi diceva sempre che era un modo per salutare le anime in cielo. Ad ogni esplosione diceva “ciao” e nominava qualcuno della sua famiglia che era morto. E quando arrivava un’esplosione molto grande allora salutava papà.» Si voltò verso l’amico che però dormiva. Tornò a guardare il buio che inghiottiva il soffitto ascoltando la delicata nenia che Margharet cantava. Voglio salutare la mamma, si disse.
«Liam?»
«Mmmh?»
«Domani andrò a cercare tutti i fuochi d’artificio che posso. Ne faremo uno enorme!»
«Ti aiuterò!» rispose il ragazzo di nuovo sveglio.
«No. Notus non deve sospettare niente. Quando tornerò dovrai aiutami a nasconderli.»
«Va bene.»

Liam saltò giù dalla brandina al primo squillo della sveglia.
«Dove la trovate tutta questa energia?» commentò Notus, stropicciandosi gli occhi.
Margaret era già in piedi e stava allattando Matt. Kimball si alzò sbadigliando sonoramente. Aveva un solo pensiero in testa: il grosso fuoco d’artificio che avrebbe sparato quella sera per salutare sua madre. Si scambiò uno sguardo d’intesa con Liam e poi si avviarono verso la cucina.
«Aspettate» li fermò Notus. «Potreste… Ecco…»
«Aiutarti ad alzarti?» suggerì Liam.
Notus annuì. I due ragazzi lo spinsero a sedere mentre Lucas portava la sedia a rotelle. Quella mattina il corpo dell’uomo pareva come svuotato. «Stai bene?»
«Oh, avanti!» scherzò Notus, ma la voce era spenta. «Ho solo bisogno di fare colazione. Oggi il cielo non promette niente di buono» aggiunse. «Forse è meglio rimandare l’esplorazione.»
«No» risposero Kimball e Liam, troppo velocemente.
«Voglio dire… Abbiamo bisogno di kerosene, no?» aggiunse Kimball. «E poi conosco la strada a memoria.»
Notus li fissò per un secondo. «Non dimenticarti te la radio. E se il tempo peggiora cerca un riparo.»

Il cielo carico di nubi lasciava appena filtrare la luce del sole avvolgendo il mondo in un’atmosfera lugubre. L’aria gelida si insinuava nelle maniche e nel colletto del giubbotto. Il ragazzo si sfregò le braccia e si avventurò in strada. Camminò a passo spedito fino all’incrocio e poi prese la strada principale. Mentre camminava in quella strada deserta il vento si calmò e la luce sembrò diventare appena più intensa.
Non incontrò nessuno lungo il tragitto fino ai resti del supermercato, nè nessun rumore veniva da dentro. Si diresse al suo obiettivo: il magazzino sul retro dove tenevano i fuochi d’artificio che avrebbero dovuto esporre in quel periodo. Era già passato di li mesi prima, ma non c’era niente da mangiare né strumenti utili e non ci era più tornato. Ora però aveva qualcosa da prenderci. Entrò attraverso lo squarcio sul muro. Macchie di sangue vecchie di mesi indicavano dove una volta stavano i corpi delle persone schiacciate dalla stazione orbitante. Cacciò di nuovo quel pensiero ripetendosi di avere un obiettivo. Scavalcò alcuni scaffali ormai e raggiunse l’angolo più lontano del magazzino. Trovandolo vuoto.
Fece fatica a crederci. I Romson avrebbero fatto uno spettacolo di fuochi d’artificio, ricordò. Dove altro avrebbero potuto prenderli? Si arrampicò sulle scaffalature per vedere se ci fosse rimasto qualcosa, ma i Romson avevano portato via ogni cosa, non avevano dimenticato neppure un petardo.

Cercò ancora un po’, ma non trovò nulla. Non voleva tornare a casa a mani vuote, ma dove cercare un altro fuoco d’artificio? Li vendevano nel negozio di caccia e pesca, ricordò. Ogni anno esponevano un cartello scritto a mano: “qui botti di fine anno”.
Dal centro commerciale la strada più veloce era tagliare per campi. Osservò a lungo la distesa di terra abbandonata a se stessa e ora ghiacciata prima di decidere che non fosse una buona idea.
Seguì la strada principale e poi si addentro lungo il quartiere nuovo a nord.
Il negozio di caccia e pesca era uno dei primi edifici con un enorme magazzino sul retro dove tenevano barche, camper e ricambi. Fino all’anno prima il suo più grande sogno era comprare una barca e un camper, partire, arrivare all’oceano e restare a vivere lì. Ora di tutto questo non era rimasto nulla, solo gusci bucati e svuotati di tutto quello che poteva essere utilizzato.
Passò le successive ore a cercare nella rimessa e nel negozio. Non aveva idea di dove tenessero i fuochi di fine anno, e la confusione creata da mesi di razzie non aiutava. L’ora di pranzo giunse quando ancora stava esplorando l’interno di una rulotte rovesciata su un fianco. La radio gracchiò. «Notus a Kimball.»
«Eccomi» rispose.
«Tutto bene?»
«Io… Sì. Sto ancora cercando scorte.»
«Preferirei tornassi indietro. Non ha importanza se non trovi niente.»
«Finisco e poi torno.»
«Va bene.»
«Serve niente per la riparazione?»
«No, torna.»
«Ricevuto. Kimball chiudo.»
Un altro gracchio segnò la fine della chiamata. Rimise la radio nello zaino e si guardò intorno. Che cosa stava facendo? Non avrebbe trovato nulla neanche lì, né in qualsiasi altra casa, negozio o magazzino. Sentì montare un odio viscerale per i Romson. O per se stesso per non averci pensato prima. Uscì di nuovo all’aria aperta. Il cielo era ormai completamente nero. Si avviò verso la strada principale a mani vuote, sia di fuochi d’artificio che di buone notizie.

Appoggiò lo zaino ancora vuoto al palo della luce e prese da una delle tasche il pranzo che gli aveva preparato Margharet: gli avanzi della cena prima e un pomodoro dell’orto di Doroty. Un piccolo lusso. Mangiò guardando verso sud, dove il cavo dell’ascensore orbitale aveva scavato un profondo burrone da est a ovest spazzando via tutta la parte meridionale di Chester. Forse sapeva dove ne avrebbe potuto trovare qualcosa: la vecchia bottega di Tom! Si trovava alla fine della terza strada, proprio dall’altra parte della voragine. Nessuno era più passato di lì. O almeno lo sperava.

Riprese lo zaino e affrontò la terza strada. Era da quel giorno che non ci passava più. Riconobbe il benzinaio e la gelateria. Della chiesa della comunità rimaneva in piedi solo la parete settentrionale con il grosso crocifisso nero. Casa sua era qualche decina di metri più in la, proprio al centro del burrone. Si chiese se quella mattina sua madre si fosse accorta di quello che stava accadendo. No, si rispose, aveva avuto il turno di notte e probabilmente dormiva pesantemente.
Guardò l’orologio cacciando via quel pensiero. Aveva ancora alcune ore di luce, doveva sbrigarsi. Scese con attenzione lungo la scarpata e raggiunse facilmente il centro del burrone. Il cavo dell’ascensore orbitale era ancora lì, talmente spesso che per scavarlo dovette arrampicarsi sulle fibre di metallo.
Risalire non fu altrettanto facile: la pioggia dei giorni scorsi aveva reso il terreno sdruciolevole e l’umidità ghiacciandosi rendeva tutto più scivoloso. Ignorò il dolore alle dita e si concentrò sulla scalata. Doveva raggiungere la bottega e i fuochi d’artificio che stavano nel magazzino.
Quando fu di nuovo al livello della strada era ammantato di sudore ma aveva vinto.
Alla bottega di Tom mancava la facciata in mattoni rossi e anche la scritta al neon era stata portata via, ma il resto della struttura era ancora intatto. E vuoto. Erano arrivati a depredare anche lì. Non si scoraggiò: i Romson avevano già preso i fuochi d’artificio dal grande magazzino e dal negozio di caccia; forse non erano arrivati fin lì.
Il piano terra era più che deserto: qualcuno aveva portato via anche tutti gli scaffali. Al primo piano, dove c’era il magazzino principale, era rimasto qualcosa. Un magro bottino ma non voleva tornare a mani vuote. Lo accatastò in un piccolo mucchio ben ordinato in modo da prenderlo quando sarebbe tornato indietro, dopo aver visitato il secondo piano.
La scala era crollata e l’unico modo per raggiungere il secondo piano era una corda che pendeva dal lato della facciata. La afferrò con entrambe le mani: era gelata. Strinse i denti e si arrampicò fino su.
Al secondo piano una volta c’era l’abitazione di Tom e della sua famiglia. Ora c’erano solo mobili rovinati dal vento e dall’umidità. Nessuna provvista era rimasta e le poche apparecchiature elettriche non parevano in grado di funzionare. In uno scabuzzino c’erano diversi scatoloni. Alcune scatolette che erano sfuggite ai depredaggi, uno schiacciapatate ancora in buono stato e… Una cassa di fuochi d’artificio!
A stento riusciva a crederci. I fuochi sembravano bagnati ma era sicuro che non sarebbe stato un grosso problema.

Riempì lo zaino più che potè, spinse altri petardi nelle tasche finché ci stavano. Mise quelli che rimanevano in una busta della spesa trovata lì vicino e si apprestò a tornare da Liam e gli altri con il generoso bottino. Non doveva dimenticarsi di prendere quello che aveva trovato al piano di sotto. Afferrò la corda con entrambe le mani e si sporse per scendere. Probabilmente fu per colpa della busta che teneva nella mano destra, forse fu colpa del freddo o dell’enorme peso che aveva sulla schiena ma non riuscì neppure a iniziare la discesa. Il piede scivolò, cadde in avanti verso il vuoto. Strinse con pià forza la corda ma questa scivolò tra le mani gelate. Si girò su se stesso per riuscire ad afferrarla almeno con le gambe. Colpì il pavimento del primo piano con la schena e subito dopo uno strattone gli fece perdere conoscenza.

La radio gracchiava. Con fatica Kimball riuscì ad aprire gli occhi. Era notte. Un vento freddo gli gelava lo stomaco. Cercò di capire dove fosse. Per un attimo pensò che il mondo fosse sottosopra, poi capì che era lui a testa in giù, che penzolava intrecciato con la corda. Non riusciva a muovere il braccio destro: la corda lo stringeva contro il petto.
La radio gracchiò di nuovo.
«Kimball mi senti? Dove sei?»
«Aiuto» disse, ma nessuno poteva sentirlo. La radio era a terra, pochi metri più in basso, insieme alla busta piena di fuochi. Nessuno sapeva dove si trovava, non sarebbero mai venuti a cercarlo. Doveva liberarsi da solo. Cercò di liberare il braccio destro, ma pareva bloccato. Afferrò la corda e tirò ma la presa gli sfuggì. Non sentiva più le dita. Faceva così freddo. Tentò di nuovo ma di nuovo le dita persero la presa subito. Aveva sonno. Avrebbe chiuso gli occhi solo un minuto.

Venne svegliato da un’esplosione. Qualcuno stava facendo esplodere dei fuochi d’artificio. Da dove stava riusciva a vederli. Erano bellissimi. Come la sua mamma. La vedeva, calda, luminosa, tendergli la mano. Lui alzò il braccio e l’afferrò. Lei lo abbracciò. Non aveva più freddo.
 
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view post Posted on 16/1/2021, 14:13
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Ciao Nazareno.
Ho iniziato a leggere il tuo pezzo! Però mi domando se posso iniziare a leggerlo già, in effetti mancano ancora due settimane.. te le chiedo perché ho notato un po' di refusi e ho il sospetto che ci stai ancora lavorando..

Edited by MentisKarakorum - 17/1/2021, 10:17
 
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view post Posted on 16/1/2021, 18:38

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IL PRIMO CAPODANNO DOPO LA FINE DEL MONDO: AMBIENTAZIONE, CAPODANNO. FINE DI UN’ERA (DA QUELLA DEI MAYA ALLA FINE DEL BERLUSCONI III)
SPECIFICHE FACOLTATIVE:
GUARDA, MAMMA, PROPRIO COME AMLETO. IL PROTAGONISTA DOVRA’ MORIRE ALLA FINE DELLA STORIA
AVREMO BISOGNO DI UNA CORDA E DI UNA SEDIA. IMMAGINA PER COSA (UNA CORDA, UNA FUNE, UN LEGACCIO, ANCHE METAFORICO)
LUNGH. MIN. 5000 CAR. MAX. 25000

LA TORTA IN CIELO
Di Alexandra Fischer
Manuela entra nella saletta a passi decisi nei suoi stivali di nabuk tinti di blu e storce il naso; i festoni dorati, il vischio argentato e l’albero di Natale di stoffa sono tutti addossati alla parete rivestita di legno a righe.
Nota il tavolo basso, dal ripiano di marmo rivestito con centrini di feltro lavorati a forma di palline natalizie a motivi di agrifogli e renne.
Storce la bocca e la sua espressione diventa ancora più acida quando nota le quattro bottiglie nel secchiello del ghiaccio e il vassoio con le coppe: ne afferra una e la guarda in controluce.
Le sfugge un mugugno di approvazione, la posa e poi nota i vassoi di acciaio con il coperchio; sta per sollevare il coperchio di quello alla sua destra quando sente una porta aprirsi nella saletta e vede muoversi l’albero di Natale di stoffa.
Lascia ricadere il coperchio alla vista di un uomo con una corda e una sedia; il suo stupore è tale che per un lungo istante stenta a riconoscerlo: − Adelio. Sei proprio tu?
L’uomo posa la sedia e la corda nell’angolo accanto alla finestra, dove si trova lo stereo: − Sì, ora, se permetti, Manuela−. Chiude la porta mascherata dall’albero di Natale.
Manuela osserva affascinata la spalliera della sedia verde con la cifra 2021 intagliata nel mezzo e sopra, come un grottesco serpente, una corda dorata: − Che scherzo è questo?
Adelio le sfiora la spalla: − Nessuno, dobbiamo eleggere il Re del Capodanno. Piuttosto, l’hai portata?
Lei sbuffa e apre la borsa intonata al colore degli stivali e tira fuori una scatola di plastica rettangolare con la foto di un occhio truccato con il kohl alla moda degli antichi egizi su sfondo verde: − Ecco, ma non ti sembra un modo lugubre di festeggiare il Capodanno?
Lui ride e indica se stesso: − Io? Non ho certo decretato la fine del mondo −. Si porta una mano al petto, il volto gli si contrae.
Manuela si precipita verso di lui, pronta a soccorrerlo, ma lui la respinge: − Non è nulla. Piuttosto, accogli i nostri ospiti con un sottofondo musicale come si conviene.
Lei si china nella parte dello stereo riservata ai CD e inserisce quello che ha portato, schiaccia play e partono le note del primo brano; si gira verso Adelio e lo vede con un’espressione sorniona, quasi avesse agguantato una certezza tutta per lui e non la volesse condividere con nessuno.
Manuela torna da Adelio: − Ecco, tanto per cominciare con tutto il meglio degli Alan Parson's Project c’è Pie in the Sky. Era quello che volevi, no?
Lui annuisce: − Sì. Sei stata brava a tenertelo stretto−. Inserisce il CD nello stereo e le note partono, strappandogli un sorriso: − Sembra appena acquistato.
Manuela incrocia le braccia dietro la schiena e assume un’aria da bambina maliziosa, malgrado l’eye-liner nero e l’ombretto argento le diano un’aria da Cleopatra: − Per la verità, ne ho avuta cura. Proprio come hai fatto tu con lo stereo. Ho avuto un brutto presagio da subito, riguardo ai CD e ai cosmetici−. Allarga le braccia: − Truccarsi e ascoltare musica sono le prime tessere cadute. Proprio come in Big Domino Rally.
Adelio le domanda: − Cosa conti di fare, ora che tutte le altre tessere sono cadute?
Lei indica la sedia e la corda: − Togliermi la curiosità di vedere chi verrà eletto Re della Festa. Si faceva così a ogni Capodanno e all’epoca non era male diventarlo: chi ci riusciva otteneva la parte migliore di tutto −. Si guarda le unghie limate e sospira −. Arriccia le narici: − Ma sento profumo di pesce, formaggio, carne brasata. Come hai fatto a tenere tante scorte di cibo vero?
Adelio accarezza la spalliera della sedia e si avvicina al tavolo: − Sono stato previdente quanto te.
Il campanello suona e lui fa un cenno a Manuela: − Tu aspetta qui. Devono essere già arrivati.
Manuela gira intorno al tavolo della tavernetta alla ricerca delle panche, poi nota le mensole ad altezza d’uomo incastrate nel muro, fa spallucce e comincia a liberarle dai ninnoli: un robot mezzo rotto, un fermacarte di vetro decorato con margherite multicolori, un porcospino paffuto di ceramica e un piatto di rame inciso a motivi di limoni e mandaranci.
Le vengono i brividi a pensare alla profusione di libri e giornali nella tavernetta, ma si accorge che mancano anche il PC e il televisore.
Sente la porta che si apre, rumore di passi, la voce di Adelio, scossa da come non ricordava: − Come, soltanto voi? Avevo invitato anche Patrizio e Loredana.
I passi di Adelio e degli invitati risuonano lungo le scale.
Lei posa i ninnoli dietro allo stereo e poi corre a origliare alla porta.
La voce di Adelio tace, dopo aver risuonato per un attimo nella casetta, in compenso, riconosce quella incerta di Bruna: − Non lo hai saputo? È capitato perché sono usciti. Patrizio credeva davvero che tutto fosse finito. Invece. Mi dispiace che abbia coinvolto anche Loredana. Lei avrebbe dovuto convincerlo a restare a casa.
La risata di Adelio è inquietante: − Detto da te, al sicuro nella tua villa in collina.
Si aggiunge anche quella di Silvano: − A questo punto, rinfacciami di lavorare nel centro di ricerca che ha scoperto la causa della fine del mondo.
Adelio modera i toni: − Scusatemi tutti e due, ma sono veramente sconvolto. Trovo difficile pensare che siamo rimasti solo noi. L’ultima volta al telefono, Patrizio e Loredana stavano bene.
Bruna gli chiede: − Quando è stata? La settimana scorsa? Perché è da allora che le linee sono saltate.
Adelio tace e Manuela lo sente vicinissimo alla porta; si tira indietro appena in tempo quando lui entra seguito da Bruna e Silvano.
La vista di Bruna, con il piumotto dorato, i pantaloni di velluto bianchi e gli stivali neri le strappa una risatina: − Sei sempre la solita. Devi pubblicizzare i cioccolatini di Peronnio?
Lei ne tira fuori una scatola dorata e chiusa da un nastro elastico argentato: − No, ma ci ho lavorato fino a tre settimane fa e questo è il mio contributo alla festa. Fondenti e al latte, a forma di stella e di orsetto.
Manuela sbatte le ciglia e spalanca la bocca, si porta le mani alle guance: − Oh, non mi dire. Fra un po’ ci canterai il motivetto pubblicitario.
Bruna diventa seria di colpo: − Questo no. Sembra impossibile che non ci sia più nessuno in azienda. Prima le luci erano accese anche le notti di Ferragosto−. Si avvicina al tavolo, posa la scatola e si gira verso Adelio: − Li ho comperati a ottobre allo spaccio aziendale. Mi sembra impossibile che ora sia saltata tutta la produzione natalizia.
Silvano si aggiusta gli occhiali: − Per me è normale. Ho scoperto cosa ha fatto finire il mondo. Peccato non poter fare nulla. Non è rimasto nessuno in grado di usare i macchinari. Perlomeno, noi ci siamo salvati.
Adelio va verso di lui e gli punta l’indice contro il torace: − Sì, ma fino a quando? Ho visto com’erano ridotti i cancelli delle case vicine al vostro laboratorio e anche le inquadrature del centro di ricerca dove lavoravi.
Silvano deglutisce, gli tira indietro il dito: − Basta, sai quanto mi dà noia. Non siamo più alle scuole medie.
Adelio si mette le mani dietro la schiena e gli gira intorno: − Oh, bene. Visto che è così, allora dicci cosa è successo.
Silvano si tormenta la barba: − E va bene. Qualcosa, dopo oltre quarant’anni, ha risposto al messaggio inciso su disco che abbiamo mandato nello spazio. Ha aggiustato i danni alla Terra.
Adelio lo incalza: − Ah, ecco perché le autorità hanno oscurato i siti delle agenzie di stampa. Volevano tenerci nell’ignoranza. Ora me le vedo, rintanate nei loro bunker.
Silvano si toglie le mani dal volto e abbassa la testa: − Non ne hanno avuto il tempo, perché hanno cercato di risolvere l’equivoco−. Rialza la testa e fa un cenno nell’aria: − Il resto della gente, invece, ha sottovalutato la situazione, proprio come Patrizio e Loredana. Li avevo messi in guardia dal partire per la settimana bianca. Dovevano chiudersi in casa, come noi.
Adelio lo afferra per il bavero: − Loro e tutto un mondo. Abbi rispetto per i morti.
Manuela lo tira indietro: − Basta, Adelio. Siamo qui per il Capodanno e non per una rissa.
Silvano si raggiusta il colletto: − Appunto. E ora la bella notizia. Ne siamo fuori. Sono ripartiti−. Tira fuori di tasca un foglio stampato: − Ecco, guarda.
Adelio glielo rende e si mette le mani nei capelli: − Hanno creduto che il problema fosse la nostra tecnologia e l’hanno fermata.
Silvano si rimette il foglio in tasca e gli sorride: − Possiamo ancora ricostruire tutto, metterci in contatto con altre persone. Vedi, alcuni di noi li hanno risparmiati.
Adelio gli sorride, amaro: − Come? È saltata la Rete.
Silvano prende in mano il proprio cellulare: − Ci sono ancora i telefoni. Possiamo tentare−. Guarda lo schermo del proprio e sbianca.
Adelio diventa serio: − No eh? Siamo finiti.
Bruna interviene: − Siamo qui per festeggiare. Facciamolo. Io voglio essere ottimista−Prende un bicchiere e lo posa subito, si guarda la mano la mette dietro la schiena. Ci ripensa e lo afferra di nuovo.
Adelio le si avvicina: − Fai vedere.
Lei si divincola: − È solo un po’ arrossato, deve essere per via del freddo.
Lui annuisce con uno sguardo severo: − Ho visto la foto tre settimane fa, prima che oscurassero la Rete−. Si volta verso Silvano: − Ehi, Signor Ne Siamo Fuori, vieni qui.
Silvano gli obbedisce, guarda il polso di Bruna e si mette a ridere: − Non è nulla. Forse un’allergia. Mi chiedo cosa tu abbia visto.
Lei si passa la mano sulla fronte: − Per un attimo ho temuto che fosse quella cosa. Rilassati, c’è anche la musica.
Silvano le dà un buffetto sulla guancia: − Ma no −. Si passa una mano sullo stomaco e alza lo sguardo verso Adelio: − Quando si mangia? Sai, non si vive di sole note.
Lui li accompagna al tavolo: − Lasciate per ultimo il vassoio in mezzo. C’è il dolce con la monetina.
Silvano si siede per primo: − E chi lo trova è il Re della Festa, ma perché la corda?
Adelio gli fa l’occhiolino: − Dopo, dopo. È un gioco −. Alza lo sguardo su Manuela e Bruna: − A tavola. Bruna siederà accanto a Silvano. Tu, Manuela, alla mia destra, io sono capotavola.
Lei gli obbedisce con un sorriso; ha le guance rosse: − Perché devo sederti così vicino?
Adelio le indica la bottiglia di spumante decorata a motivi di viole bianche: − Volevi bere prima, no? Solo che è da stappare. Fallo tu.
Manuela gli obbedisce e tutti e tre applaudono, poi odora il tappo, si versa un po’ di vino nel calice, fa un cenno di approvazione a Silvano e gli versa il vino; lui prende la bottiglia e la passa prima a Silvano.
Infine, solleva con un sorriso il coperchio del primo vassoio: − Servitevi−. Gli angoli della bocca gli si abbassano: − Per quel che c’è. Credevo di averlo riempito poco fa.
I suoi occhi vanno al salmone, roseo, decorato con aneto, ma dai bordi sfrangiati, come se un gatto lo avesse rosicchiato, ma con filamenti grigiastri che nessun felino lascerebbe.
Manuela gli batte una mano sulla schiena: − Hai fatto quel che hai potuto, ma è successo anche a noi in ospedale con il cibo. Quella cosa lo ha contaminato per primo.
Silvano interviene: − Non è una cosa. Ha l’aspetto di un’ameba, solo che è più piccola e vorace. Anzi, aveva.
Adelio, a occhi bassi e con un sospiro, solleva il coperchio di tutti i vassoi: − Mi dispiace per le porzioni.
Bruna ride: − Non fa nulla, dopo ci sarà il dolce.
Manuela abbassa il proprio calice e interviene: − L’acqua e il vino sono ancora buoni.
Silvano le dà una gomitata: − Ma se hai quasi sempre bevuto vino.
Lei si tira indietro: − Cominciavo ad avere freddo. Non trovate anche voi?
Il tono di Adelio è tagliente: − Impossibile. Ho acceso il riscaldamento al massimo.
Silvano lo osserva con un’aria sospettosa: − Eh, già. Tu hai il maglione da sci e lei non si è tolta il giaccone. Bruna e io invece abbiamo appoggiato in un angolo i nostri cappotti.
Adelio comincia a mangiare i crostini al lompo, le tartine al pȃté di tonno, alla crema di funghi e al prosciutto di Praga guarnito con dadini di gelatina al brandy.
Il suo esempio incoraggia prima Manuela, la quale lo imita nel modo di masticare: − Ottimi davvero, e come saziano. Ci ha lasciato poco ma buono.
Bruna assaggia una tartina al lompo e si affretta a pulirsi la bocca con il tovagliolo: − Direi di sì. Ma dovremmo affrettarci, Adelio. Ho un brutto presentimento riguardo al dolce.
Silvano lascia da parte la sua fetta di prosciutto e giocherella con uno dei dadini: − Sì, in effetti, Bruna ha ragione.
Bruna guarda Silvano negli occhi e gli sussurra: − Hai avuto la mia stessa impressione?
Lui le mette la mano sulla sua: − Sì. Abbiamo appena assaggiato la morte.
Adelio si alza di scatto di tavola: − Vi ho sentiti. Bene, allora passiamo al dolce−. Solleva il coperchio del vassoio centrale e un’enorme torta di cioccolato a forma di casa sprigiona tutto il suo profumo di pasticceria fresca.
Bruna intreccia le dita di lato, nel gesto di una bambina felice: −Ma è un lusso. Sono uscite di produzione la seconda settimana di ottobre.
Adelio la invita: − Le finestre si possono staccare, le volti e se trovi la monetina, forse non ci sarà un Re della Festa.
Lei lo fa, gira dalla parte opposta la finestra di cioccolato fondente: − Credo ci sarà un re, dopotutto −. Inghiotte il cioccolatino e si siede, con la testa appoggiata sulle mani come una scolaretta stanca.
Silvano stacca la finestra di cioccolato al latte, la rigira a beneficio dei tre: − Nulla. Ma lo diremo a Bruna dopo che si sarà svegliata−. Posa il dolcetto.
Adelio alza un sopracciglio: − Non lo mangi?
− Dopo. Ora tocca a Manuela.
Lei obbedisce e stacca una finestra di marzapane verde, la gira, scuote la testa e fa spallucce; le dà un bel morso, deglutisce: − Nulla da fare, ma almeno ho assaggiato ancora una volta la delizia di Capodanno di Sorioti.
Adelio stacca l’ultima finestra, di pasta di zucchero azzurra, la volta e la moneta di cioccolato spicca in un bagliore dorato come l’occhio di un leone: − Sono io il Re della Festa. Legatemi.
Manuela rivolge uno sguardo interrogativo a Silvano e lui annuisce.
Lei accompagna Adelio alla sedia e lui si tira su le maniche del maglione per facilitare il compito a Silvano; è lui che nota per primo le macchie rosse sulle braccia dell’amico: − Si direbbero gravi ustioni. Non ti legherò troppo stretto.
Adelio lo gela: − Devi. Io sono uno dei loro avanzi. Guardati intorno. Cosa è rimasto? Un pavimento di cotto, una panca, una tavola imbandita. E di sopra? Nulla. Le porte stanno in piedi per miracolo. Ha finito, certo, con la maggior parte di noi. Credo avesse i suoi gusti. Per questo ha lasciato la torta. Beh, è il mio regalo di addio.
Reclina la testa.
Silvano indietreggia: − Morto.
Manuela si porta la mano al volto: − Mi dispiace. Lo dico a Bruna−. Le si avvicina per scuoterla dal torpore, ma la donna ricade inerte, con la faccia sfigurata da una macchia rossa: − Non si sveglia, anche se respira.
Silvano le si avvicina, l’abbraccia: − Andiamo via. Sono sicuro che troveremo qualcuno in ospedale.
Manuela rivolge un’occhiata alla torta: − Portiamoci via almeno il dolce. A me non ha fatto male.
Silvano si dirige verso la porta e la apre: − Davvero? Te lo sconsiglio. Avanti, vieni−. Subito dopo aver parlato, si accascia e si porta la mano al volto: − Dove sei? Non ti vedo più.
Manuela si china su di lui: − Qui. Ma che cos’hai?
Silvano solleva i palmi coperti di macchie rosse simili a ustioni: − Temo che mi abbia tenuto come dolce. Scappa, finché puoi.
Manuela si rialza: − Cerco aiuto. Tu e Bruna siete ancora vivi−. Per un lungo istante fissa la torta con bramosia, infine si decide a riempirsene la bocca più che può.
Dopo un istante di esitazione, ne taglia due parti in metà e le avvolge in due tovaglioli, poi prende le due bottiglie d’acqua sul tavolo.
Silvano la sente muovere: − Cosa fai?
Lei gli mette in mano il tovagliolo e la bottiglia: − Tornerò presto.
Esce dalla villetta, mentre le ombre della sera si allungano nell’aria fredda e l’aria è colma di cenere rossa.
Il CD diffonde per l’ennesima volta le note di Pie in the Sky.
 
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view post Posted on 17/1/2021, 09:01
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CITAZIONE (MentisKarakorum @ 16/1/2021, 14:13) 
Ciao Nazzareno.
Ho iniziato a leggere il tuo pezzo! Però mi domando se posso iniziare a leggerlo già, in effetti mancano ancora due settimane.. te le chiedo perché ho notato un po' di refusi e ho il sospetto che ci stai ancora lavorando..

Da regolamento potrei anche editarlo fino allo scadere, però non credo che lo farò.

Purtroppo nonostante lo abbia riletto 5 volte l'ultima cercando con la lente i refusi, sono cosciente che qualcosa mi sarà sicuramente sfuggito. è la maledizione di noi dislessici: i propri errori di battitura non li vediamo.
 
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view post Posted on 17/1/2021, 20:40
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Ottimo. Vedo che avete già cominciato a postare. Ottimo, ragazzi! ^_^ ^_^
 
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view post Posted on 26/1/2021, 21:31
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Ciao a tutti. Ambisco a entrambi i bonus. Spero tanto che qualcun altro si aggiunga entro la fine del mese!
Vi avverto che il mio racconto contiene più di un esperimento, tra cui l'uso di un registro colloquiale e scurrile. Spero di non offendere nessuno. Per me la narrativa deve elevare lo spirito, ma allo stesso tempo immergerlo in un contesto verosimile. Sono aperto a discuterne con voi. Speriamo di leggerci presto!



Fidati dello zio

Questa siepe puzza di piscio di gatto. Piegato qui dentro mi fanno male le gambe e il freddo mi entra nei vestiti. L’Audi si avvicina, i fari si spengono, la portiera si apre. Ecco l’energumeno. Indossa lo stesso costume dell’altra volta: un lungo mantello e una di quelle maschere di Bali con occhi spiritati e dentoni sporgenti
O adesso o mai più! Appena si gira scatto in avanti e gli do il mattone in testa. Rantola e cade, l’ho ammazzato? Chissene. Gli slaccio il mantello di velluto nero e me lo avvolgo intorno alle spalle. Gli tolgo la maschera, la indosso. Mi calza alla perfezione: copre tutto, dalla fronte al mento. Perfetto.
Cos’hai in tasca, brutto riccone? Pistola e chiavi della macchina, ottimo. Intanto tu finisci chiuso nella tua Audi, quanto alla pistola, la prendo io. Meglio se ti do un’altra mattonata in testa per sicurezza.
Sistemo il corpo inerme sui sedili posteriori e richiudo la portiera.
Mi avvicino all’ingresso della villa. Il vialetto che va dal parcheggio all’ingresso è illuminato da lampioncini da giardino. Due tizi armati di Kalashnikov stanno di guardia: sono in costume anche loro, hanno una fascetta nera attorno agli occhi, e un maglione rosso con un riquadro giallo sul petto, come la Banda Bassotti.
Uno mi guarda: mi sistemo la maschera e alzo i baveri del mantello.
La guardia porta la mano tesa alla fronte per fare il saluto militare. «Buonasera signor Volpi. La riconosco dal costume, si accomodi.»
Un cenno col capo ed entro. L’ho scampata bella.
Che salone! Lampadario di Murano e statue greche. Molti convitati in costumi veneziani brulicano intorno al tavolo. Un buffet! Qua se ne fottono delle regole. Cammino verso un vassoio di tartine, le mie scarpe lasciano impronte di terra su un tappeto persiano dai ghirigori intricati. Chissene.
Il tavolo è vicino a un’enorme vetrata. C’è un giardino, fuori, con tanto di alberi e piante decorative. Maledetti ricchi.
Questi tramezzini mollicci sono rancidi come le ascelle di mia nonna, ma la fame è una brutta bestia. Sollevo un poco la maschera, infilo la roba in bocca, ficco tutto in gola senza masticare. Per fortuna questi paninetti al prosciutto hanno l’aria di essere abbastanza decenti. C'è anche il caviale: con la gente che muore per le strade, i ricconi si ingozzano come maiali. Classico, più la civiltà va a rotoli e più l’homo sapiens tira fuori il meglio di sé.
«Marcello! Tanto appetito come al solito?»
Una voce femminile; mi giro. Indossa una maschera dorata sormontata da piume di pavone, ha il corpo snello e le tette evidenziate dalla scollatura. Accidenti, quant’era che non vedevo una bella figa?
Mi impettisco. «L’appetito vien mangiando.»
Ride. «Le tue spalle! Era dai tempi del salone di bellezza che non vedevo così tanta forfora!»
Fisso il mantello, è ricoperto da una polvere fitta come parmigiano grattugiato. Passo la mano sul tessuto e lo ripulisco alla buona.
La gnocca si scansa schifata, mi fissa e si schiarisce la gola.
«Ti piace la mia nuova riproduzione di Michelangelo?»
Mi indica una delle statue ai lati del salone: un David alto sui due metri. Un ciccione, con una panza così, ci sta appoggiato e batte la coscia di marmo con la mano inanellata.
La donna sibila. «A mio marito piace, vedo.»
Il porco sarebbe il marito? «C’è chi apprezza l’arte a modo suo.»
Gli occhi sotto la maschera ammiccano. «Lo sai qual è il pezzo del David che preferisco?»
Qualcosa mi sussulta in mezzo alle gambe. Devo cambiare discorso. «Bella festa, tanta gente è venuta. Sono contento.»
«Sai com’è: forse questo è l’ultimo capodanno che festeggiamo.»
E lo vieni a raccontare a me? «Vorrei bere qualcosa.» Faccio schioccare la lingua. «Questi discorsi mi mettono sete.»
«Come no! Vado a cercare un cameriere e te lo mando.» Mi prende un braccio. «Per dopo… sai dove trovarmi, caro Marcello.»
Dopo cosa? Annuisco. La tipa se ne va, e ride. Ha una risata davvero appetitosa. Le piume di pavone scompaiono tra la folla.
Ok, devo concentrarmi e sbrigarmi prima che mi scoprano. Ci sarà qualcosa da sgraffignare qua dentro.
«Marcello! Eccoti qua, paladino della giustizia!»
Mi giro. Oh no, è il panzone inanellato. Indossa una testa di cinghiale, con tanto di zanne. Con la mano regge un bicchiere con un liquido ambrato, lo alza a mo' di brindisi.
«Allora? Dimmi qualcosa di nuovo. Sono tutt’orecchi!» Si tocca la punta delle orecchie finte.
Mi schiarisco la gola. Cosa m’invento? «Medusa sta mietendo sempre più vittime, l’economia è crollata. La Banca d’Italia ha chiuso. Non so se ci risolleveremo dall’anarchia.»
«Al genio militare vi occupate anche di politica?» Grugnisce. «Eddai, avete scoperto qualcosa di nuovo sul patogeno? Dammi qualche bella notizia.»
Ecchennessò. «Il micelio è visibile durante la fase riproduttiva. Gli sporofori devono uscire dalla pelle per emettere i loro semi. A differenza dei virus, che hanno bisogno di vettori umani, Medusa si trasmette a distanza anche di chilometri: le spore viaggiano trasportate dall’aria e sono molto resistenti.»
Il maiale sbuffa. «Tutta roba che si sa da mesi e che spiettallavano a ogni telegiornale. Piuttosto, avete capito qualcosa sugli effetti al cervello?»
Digrigno i denti; ma perché non te ne vai, mezzasega? «C’è chi impazzisce, ma la costante è che chi si ammala non riesce a capirlo. Il micelio impedisce all’ospite di rendersi conto dei sintomi. Ti spuntano i fili bianchi da tutti i pori della pelle, però non li vedi. Hai il cervello fottuto.»
Il panzone sbuffa. «Sì, è il patogeno perfetto. Avete scoperto altro? Tutta questa roba la sanno tutti! Mi sto stufando, hai voglia di dirmelo, o no?»
Stavolta hai rotto. «Senti, non so se voglio o devo parlarne con te. Con tutto il rispetto, sono segreti militari.»
Ride, mi dà una pacchetta sulla spalla. «Insomma niente di nuovo. Le migliori menti del mondo continuano a fallire. Tanto vale berci sopra.» Trangugia il contenuto del bicchiere. «Ci vediamo dopo, Marcello. Vado a intrattenere qualche ospite con più voglia di parlare di te.»
Muove le chiappe e si allontana.
Ok, stavolta non mi lascio più fregare. Lo stanzone ha due porte ai lati, a una ci sono due ricconi che parlottano tra loro, l’altra è libera. Bene. Iniziamo da lì. Qualcuno mi tocca il braccio. Mi si rizzano i peli dallo spavento, chi rompe adesso?
«Il suo aperitivo, signor Volpi.»
Un cameriere in costume da selvaggio africano, un anello d’oro gli penzola dal naso e un osso gli attraversa la parrucca. Afferro il bicchiere e faccio un cenno col capo. Si allontana. E va bene, un goccio non potrà far male. Mando giù. Cos’è, champagne? Prosecco? Chissene, l’alcol è alcol.
Ok, al lavoro.

Finalmente solo. C’è poca luce in questo corridoio: meglio così. Delle scale scendono giù. Che ci sia una cantina? Perfetto, quelle bottiglie e quel cibo devono pur venire da qualche parte. Lo stomaco mi si contorce. Ho ancora fame.
Giù in cantina allora! Scendo le scale, c’è una porta dalla serratura antica, con chiavistello e tutto. Tombola! Non è chiusa, per fortuna. L’interno è ancora più buio. Cerco un interruttore sulla parete. Trovato! Accendo la luce. Una lampada al neon ronza irritata.
Decine di prosciutti penzolano dalle travi, assieme a salami e altri insaccati di cui nemmeno conosco il nome. Gli armadietti scoppiano di forme di formaggio, e ci sono anche i vini! Mi avvicino e leggo le etichette: Refosco, Tocai, Ramandolo... non me ne intendo ma di sicuro costano parecchio. Merdosi ricchi. Ok, ci sarà una sacca da qualche parte.
«C’è qualcuno?»
Chi ha parlato? La voce è quella di un bambino. Mi guardo attorno. «Fatti avanti.»
«Sono qui!»
Faccio qualche passo in giro per la stanza, l’aria è pesante come piombo. «Dove sei?»
«Quaggiù!»
Guardo in basso. C’è una grata, non l’avevo vista. Mi inginocchio e guardo dentro. La luce non ci arriva. Una sagoma là sotto si muove, sarà profondo tre metri. «Chi sei tu?»
«Michele!»
«Che ci fai là dentro?»
«Mi hanno messo qui la mamma e il papà. Qua è buio. Chi sei?»
Qui si mette male. «Sono un amico di tua madre.»
La sagoma si appiattisce sul fondo. «No! Lei è cattiva. Non dirle niente per favore.»
«Tranquillo. Adesso me ne vado, ok?»
«No! fammi uscire! Non lasciarmi qui. Ho tanta paura!»
Ma che gli hanno fatto? «Torno presto. Ma intanto stai buono e non dire a nessuno che mi hai visto. Va bene?»
«Ritorni subito? Promesso?»
«Certo. Fidati dello zio.»
Mi allontano. Non piagnucola più. Poveretto. Meglio squagliarsela. Mi infilo un salame nelle braghe, sull’inguine. Vado alla porta e metto la mano all’interruttore. No, luce accesa, quel bimbetto si metterà a frignare e lo sentiranno tutti. Ma se l’hanno messo qui, con le luci spente, gliene fregherà qualcosa se si mette a piangere? E va bene, interessa a me. Luci accese.

In corridoio ci sono dei rumori: qualcuno ansima come se stesse correndo. Un filo luminoso esce da una porta socchiusa. Mi avvicino e ci guardo dentro. La donna è tutta nuda: ha la testa riversa oltre il bordo del letto, le piume di pavone sulla montatura dorata puntano al pavimento e i capezzoli indicano il soffitto. Sopra di lei, un uomo col fisico muscoloso la tromba senza sosta. Indossa una bombetta e una maschera veneziana, quelle col naso lunghissimo. Una cosa è sicura: quello non è suo marito.
Mi hanno visto.
Lo scimmione se la ride, lei ansima: «Volpi. Vieni con noi,» mi chiama a sé. «Marcello. Vieni, Marcello…» Stende un braccio verso di me. Il cuore mi batte forte, lo stomaco mi si comprime e il salame in mezzo alle gambe si muove da solo.
No, fanculo. Chiudo la porta e me la filo.

L’atrio è spoglio, guardo attraverso la vetrata. Sono tutti fuori in giardino. I fuochi artificiali dipingono le chiome degli alberi di colori che non hanno niente a che vedere con la vegetazione. Scoppi e risate accompagnano ogni nuovo lampo colorato. C’è pure un’altalena, che fosse del ragazzino?
I ricchi. Quanto li odio. Fanno figli e li abbandonano, poi continuano a gozzovigliare a festa con altri stronzi. Qui la madre si fa persino ingroppare da chiunque. Certo, siamo alla fine del mondo, chi non si è lasciato andare un po’? Prima c’era il covid, adesso c’è Medusa, e il coronavirus era letale come una scorreggina, in confronto al fungo bianco.
Eppure, mi ricordo di quando non ero costretto a rubare il cibo, di quando i bambini mi raccontavano i loro sogni, e insegnavo ai genitori come essere persone migliori.
Mi manca il mio studio in centro, mi mancano i miei pazienti. Chi ha bisogno di uno psicologo infantile, quando le famiglie non esistono più?
Che palle: e va bene, salverò anche questo bambino.
Giuro, è l’ultima volta.

«Michele, mi senti?»
«Sì.»
«Come posso tirarti fuori? Non c’è una scala in questo pozzo.»
«Non lo so! Portami una corda, poi mi arrampico. Sono forte, ce la posso fare.»
Una corda. E dove cavolo la vado a pescare? «Ok, fai il bravo. Io torno subito.»

I ricchi in costume continuano ad applaudire i fuochi d’artificio. L’altalena è al bordo del giardino: a debita distanza, per fortuna.
Luci colorate, uno, due, il botto.
Tre secondi. Ok. O la va o la spacca.
Estraggo la pistola, l’appoggio sul primo gancio.
Bagliore, uno, due, sparo. Applausi. Nessuno si è accorto di niente. Il sedile di legno penzola a pochi centimetri dall’erba e la catena cade a terra. Ancora un gancio e poi basta.
Un fiore colorato in cielo, uno, due. Pum! Applausi
Raccolgo la ferraglia. Tiro un sospiro di sollievo. Felice anno nuovo, pezzi di merda.

Il lucchetto della grata è sottile, lo faccio saltare col calcio della pistola. Scoperchio il buco.
«Michele, ti lancio la catena. Prendila e tieniti forte!»
Butto dentro il sedile dell’altalena, il clangore risuona nel pozzo. Tengo ferma un’estremità e la stringo con le mani. Mi stendo vicino all'orlo. Il ragazzino si appende: però, quanto pesa! Tengo duro e tiro un po’ alla volta: ad ogni strappo le mie braccia urlano dallo sforzo. Ancora poco e sarà fuori! Una mano spunta, l’afferro. Quanto è viscida, è sudatissimo.
L’aiuto ad appoggiarsi al pavimento. Ha una folta chioma bianchissima, si gira a guardarmi. Mi sorride. Le sue guance sono ricoperte di candida peluria. Ha gli occhi iniettati di sangue.
Altro che folta chioma! Faccio un salto all’indietro. Mi allontano. Mi copro la faccia mascherata col mantello. Non devo respirare le spore!
Il bimbo si avvicina. Apre le braccia. «Prendimi e portami via, zietto!»
Metto le mani avanti. «No! Fermo, non ti muovere. Sei malato!» Adesso capisco perché l’avevano messo lì. Quanto sono deficiente.
Il visetto, ricoperto dai tentacoli di Medusa, si acciglia. «Che dici? Io non sono malato. Sto benissimo.»
Mi tremano le gambe. «No, figliolo. Il tuo viso è pieno di fili bianchi.»
Si porta una manina alle guance, accarezza gli sporofori. «Ma questa è la mia barba! Mi è cresciuta perché sono diventato grande!»
«Medusa non ti fa ragionare! Ascoltami, devi tornare sotto.»
Arretra tutto contratto e scuote la testa, il groviglio di funghi dondola sotto il mento. «No! Sei come loro! Come mia madre!»
Maledizione. «Michele, loro ti tenevano là sotto per il tuo bene! Se i soldati ti scoprono ti uccideranno! Quando trovano un infetto, gli sparano!»
Mi mostra i denti. «No! Io ucciderò loro.»
«Fermati!»
Corre verso la porta. Se ne va.
E adesso?
Chissene. Meglio se me la squaglio anch'io.

Spalanco la porta che torna al salone. Sono tutti in semicerchio attorno al tavolo, le loro maschere mi fissano. Mi stavano aspettando. Sorrido, il cuore mi scoppia in petto. Avanzo e alzo le mani a livello delle orecchie.
Il panzone vestito da cinghiale mi indica. «Getta la pistola e togliti la maschera.»
Balbetto. «La festa è già finita?»
«Per te sì. Il vero Marcello Volpi non sarebbe andato a svaligiarmi la cantina, senza contare il casino che hai combinato in giardino.»
Qualcuno ridacchia.
Sfilo il salame dalle braghe e lo poso al rallentatore sul tavolo.
«L’ho fatto solo per necessità. Una volta non rubavo, ma adesso devo farlo.»
Di nuovo risate.
«La pistola,» appoggia i pugni ai lati della trippona, adesso sembra una zuccheriera, «e la maschera.»
Fanculo. Corro verso la porta, mi faccio strada tra i corpi obesi. Un naso di cartapesta si accartoccia sotto il mio gomito. Raggiungo la porta d’ingresso.
Una delle guardie mi si para davanti. Mi sbatte il kalashnikov sulla tempia. Cado per terra. La mia mano scatta a cercare la pistola, ma un calcio al polso l’allontana. Il tizio si piega, mi disarma e mi strappa la maschera di Bali.
Urla concitate. Anche la guardia mi fissa con la bocca torta in un’espressione di orrore. Che succede?
«La sua faccia! Medusa! Medusa!»
Le voci dietro si allontanano, porte sbattono, finestre si rompono. Mi porto le dita al viso. I peli della mia barba mi carezzano i polpastrelli. Tiro un ciuffo, si spezza senza farmi male. Lo guardo: è lattiginoso, una polvere bianca cade dalle punte. Non capisco. Questa barba è strana, sì, però l’ho sempre avuta così e nessuno ci aveva mai fatto caso. Quanto alla forfora, solo un imbecille la confonderebbe con le spore di Medusa.
Mi gira la testa. Mi rialzo.
Uno sparo alle mie spalle, dolore alla schiena. Mamma, che male!
Cado sul tappeto, i suoi crini ispidi mi pungono il naso. Per fortuna la barba è morbida, mi conforta, come un caldo cuscino.
Una guardia mi punta il fucile in faccia. Indossa una maschera antigas, la fascetta nera da Banda Bassotti spicca sotto la visiera trasparente che gli protegge gli occhi.
«Muori, merdoso!»
Stavolta è la fine.
Passi ravvicinati mi rimbombano nelle orecchie. Rumore di sputacchi, no, è qualcuno che imita degli spari con la bocca: è il ragazzino!
Il militare lo rincorre per tutto il salone, punta il fucile su di lui, ma Michele apre una porta e scompare in un corridoio. Un altro membro della Banda Bassotti irrompe nella sala. Indossa l’imbracatura anti-contagio, non bada a me e corre all'inseguimento.
Adesso o mai più.
Mi rialzo. Il cuore mi martella nei timpani. Il dolore mi martoria la carne vicino alla spalla come una lama arrugginita. Che culo, hanno sbagliato la mira e non hanno colpito niente di vitale.
Barcollo più veloce che posso verso l’uscita. Zampillo sangue sul fottuto tappeto persiano, spero che la macchia non vada più via, alla faccia dei ricchi!
Attraverso il vialetto e raggiungo il parcheggio. Fa freddissimo, ogni respiro è come sniffare pezzi di vetro. Tossisco. Arrivo all’Audi. Dove cazzo è la chiave? Frugo in tasca, eccola.
Merda, il mantello è tutto macchiato di polverina bianca. Devono essere le spore che mi ha passato Michele. Sono spacciato. Ammesso che riesca a scappare, prima o poi mi ammalerò anch’io.
Salgo in macchina, le gocce cremisi tingono gli interni rivestiti di pelle chiara. Il signor Volpi è ancora inerme sui sedili posteriori. Di lui mi occuperò a tempo debito.
Metto in moto, tocco la leva del cambio, la stringo e ingrano la retromarcia. Senza lasciare la frizione, premo l’acceleratore. Il motore ringhia infoiato e la lancetta del contagiri si drizza come un cazzo davanti a una bella gnocca. Si va!
L’Audi sfreccia all’indietro; e si schianta.
Il mio corpo si schiaccia sullo schienale. Mi giro, il culone dell’auto si è spalmato sul muro della casa, il signor Volpi è cascato giù dai sedili e si è incastrato nello spazio per le gambe. Bene, lì sarai comodo.
Arriva la Banda Bassotti! Uno sparo, il finestrino posteriore esplode e condisce il signor Volpi con una spruzzata di vetri rotti.
Metto la prima, giro il volante con la mano destra: una fitta alla spalla mi fa urlare. Butto il peso sul pedale e do gas, i pneumatici lanciano un fischio disperato e la velocità mi appiccica al sedile. Travolgo il Bassotto, la sua sagoma sfonda il parabrezza: scarto a destra e il corpo scivola via. Uno scossone dal basso: l’ho preso sotto. Sorrido.
Mi immetto nella strada principale, cambio marcia e accelero. C'è l'ho fatta! Accendo i fari.
Merda! Michele è seduto a gambe incrociate sulla striscia continua, tiene le braccette aperte a chiedermi di prenderlo in braccio. La peluria sul suo viso riflette la luce dei fanali.
Non ho scelta, se cerco di evitarlo rischio di perdere il controllo dell'auto.
Ma mi vuole abbracciare!
Sono proprio un deficiente: sterzo a destra e mi butto di peso sul freno. Le gomme stridono e si grattugiano sull’asfalto. l'Audi si schianta sul guard-rail.

Male ovunque. Sbatto le palpebre, non riesco a mettere bene a fuoco.
Cerco di muovere il braccio, ma la ferita alla spalla mi lancia fitte di dolore dritte al cervello. Il volante sopra alle mie ginocchia è imbrattato di gelatina alla fragola. Faccio fatica a respirare: il mio naso perde come un rubinetto aperto. I sensi si appannano, forse mi prendo una pausa e schiaccio un brevissimo pisolino.
Mi appoggio al sedile del passeggero, la barba mi carezza tiepida la guancia. Che bella sensazione.
La portiera si apre, le luci sul tettuccio si accendono, il visetto popolato dai fili aggrovigliati compare accanto a me.
È lui. Mi scuote. «Zietto! Stai bene? Di’ qualcosa.» Gli occhi iniettati di sangue mi scrutano, attendono una risposta.
«Buon anno,» sorrido, «fanculo,» solo un riposino, «e buonanotte.»

Edited by MentisKarakorum - 27/1/2021, 19:49
 
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view post Posted on 27/1/2021, 12:47

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Stavolta il tema non mi ha spinto a idee particolarmente originali, come il mese scorso... però ho finito prima dell'ultimo secondo, lo faccio decantare un paio di giorni ma ci sono anche io!
 
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CITAZIONE (Marcor77 @ 27/1/2021, 12:47) 
Stavolta il tema non mi ha spinto a idee particolarmente originali, come il mese scorso... però ho finito prima dell'ultimo secondo, lo faccio decantare un paio di giorni ma ci sono anche io!

Con te siamo in 4. Dai che se si aggiunge un Gargaros selvatico arriviamo alla quota minima :D
 
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CITAZIONE (Nazareno Marzetti @ 27/1/2021, 16:21)
Con te siamo in 4. Dai che se si aggiunge un Gargaros selvatico arriviamo alla quota minima :D

Non bastano 4 racconti?
 
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view post Posted on 27/1/2021, 17:39
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CITAZIONE (Marcor77 @ 27/1/2021, 17:29) 
CITAZIONE (Nazareno Marzetti @ 27/1/2021, 16:21)
Con te siamo in 4. Dai che se si aggiunge un Gargaros selvatico arriviamo alla quota minima :D

Non bastano 4 racconti?

Con meno di 5 racconti c'è un modo particolare di calcolare i punteggi tutto qui.
 
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view post Posted on 27/1/2021, 19:51
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CITAZIONE (Nazareno Marzetti @ 27/1/2021, 17:39) 
CITAZIONE (Marcor77 @ 27/1/2021, 17:29) 
Non bastano 4 racconti?

Con meno di 5 racconti c'è un modo particolare di calcolare i punteggi tutto qui.

Sarò il che sono stanco e nel regolamento non l'ho trovato. In che modo si contano i punti se siamo almeno 5?
 
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view post Posted on 28/1/2021, 09:45
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CITAZIONE (MentisKarakorum @ 27/1/2021, 19:51) 
CITAZIONE (Nazareno Marzetti @ 27/1/2021, 17:39) 
Con meno di 5 racconti c'è un modo particolare di calcolare i punteggi tutto qui.

Sarò il che sono stanco e nel regolamento non l'ho trovato. In che modo si contano i punti se siamo almeno 5?

Mi sa che era la versione vecchia :p095:

Sorry (e pensare che l'ho scritto anche io quel regolamento)
 
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view post Posted on 29/1/2021, 20:34

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Eccomi, spero che vada un po' meglio dell'altra volta a livello di refusi. Punto anche io a tutti e due i bonus


Questione di sopravvivenza

di Marco Masciangelo

Chiacchiere inutili, gente spaparanzata sul divano o intorno al buffet, musica noiosa e nessuno che ballava. Messa così, a Davide sembrava il capodanno dell'anno prima, ma le differenze erano evidenti. Non c'era nessuna delle persone con cui aveva festeggiato l'anno precedente. La luce delle candele accese era più suggestiva di quella del lampadario, ma i vari profumi si mischiavano alla puzza di fumo, creando un odore acre e dolciastro che faceva venire il mal di testa. Il cibo faceva più schifo, gli mancava il pesce e la frutta fresca. E poi una casa così grande non l'aveva mai vista prima.
Aveva la pelle d'oca nonostante il fuoco scoppiettante. L'appartamento era pieno di chincaglierie e ninnoli orribili ma costosissimi. Afferrò la lumaca di cristallo e la getto in terra, frantumandola in mille schegge. Gli altri nemmeno si girarono. Si avvicinò alle casse.
“Insomma frate', va una bomba no?” Pucciu aveva davanti tre stereo, da cui inseriva ed estraeva cd in continuazione.
“Direi proprio di si” rispose Davide. All'inizio era stato fantastico ascoltare di nuovo musica, lui e Pucciu erano rimasti a saltare per due ore. Ma ci si abitua a tutto e il rockettino commerciale tanto amato dal suo compare di sventura non era di suo gradimento: in quel momento Micheal Stipe cantava che Lenny Bruce non ha paura.
"Manca un po' de robba, ma avemo acchittato bene, ve'?" Gli occhi di Pucciu gli arrivavano all'altezza del mento. Indossava una salopette e un giaccone da neve.
"Prima di bruciare gli spacciatori avremmo dovuto perquisirli. Darei una falange per una tirata fatta bene". Poggiò la mano sul muro giallastro dove Nadeem, l'artista del gruppo, aveva disegnato con lo spray argentato un cane con la gamba alzata nell'atto di pisciare. Era stilizzato, ma il muso e il corpo allungati ricordavano quelli di un bassotto.
"Tocca cerca' bene, magari nei tombini o nelle cassette del gas, serve solo pazienza. Però qualcosa l'avemo rimediata". Pucciu allargò il braccio e fece girare il suo dito tozzo puntandolo verso l'alto. L'accrocco di fili, casse e batterie era merito suo. Ogni due ore doveva sostituire venti torcioni, ma funzionava.
"Non mi ricordavo che la musica facesse battere il cuore così forte".
"Quelli so' i bassi frate'! Così non l'hai sentita mai che no, ho fatto un lavoretto speciale tanto i sub so' gratis".
“Pure la location merita, non credi?” Avevano provato con decine di appartamenti, a volte trovandoci dentro ancora qualche cadavere, che avevano bruciato in strada. Gli altri del gruppo avevano accettato senza troppe domande l'idea di festeggiare e la maggior parte attendeva solo iniziasse la festa. Sam aveva annunciato che avrebbe passato i festeggiamenti facendo sesso con chi gli capitava, Maria Antonietta si era presa l'impegno di recuperare il cibo e Ronnie James si sarebbe procurato i botti.
“Direi! Se semo fatti un culo notevole! Un camino al centro di Roma, giusto noi lo potevamo trovare!”
"Gli altri sembrano meno interessati, Pucciu". Il suo nome era inventato, come quello degli altri. Li avevano cambiati, tanto i vecchi non funzionavano più.
"Peggio per loro. Divertimose fra', c'è stata la fine del mondo e noi stamo ancora qua!". Pucciu si stappò una Beck's, infilò una raccolta di canzoni in uno dei lettori cd, bevve un sorso e si voltò spostandosi verso il centro della sala, muovendosi a tempo. Le spalle larghe e rigide ondeggiavano a destra e sinistra mentre Freddie Mercury dalle casse annunciava di stare diventando pazzo. Davide si rassegnò all'idea, la vecchia techno era morta assieme ai dj infetti.
Aveva scelto di essere elegante almeno a capodanno, ma il maglioncino grigio e le camicia bianca a righe azzurre erano troppo leggeri. Davanti al fuoco ci si era appiccicato Tony Stark, con cui aveva discusso solo un'ora prima. Non era finita peggio solo perché Sam si era portata al piano di sopra quello stronzo dai capelli ingelatinati. Da quando era tornato in salone, avevano evitato anche solo di guardarsi.
Davide si avvicinò al camino e allungò le mani. Il calore arrivò alle braccia e poi al corpo.
Tony Stark si era voltato dall'altra parte. Doveva essere il più vecchio tra loro o se la batteva giusto con Remedios, che rifiutava di rivelare l'età. Aveva raccontato di un'enoteca di livello extralusso dalle parti di Viale Marconi, zona in cui ancora non avevano messo piede. Aveva promesso di prelevare i vini più costosi per la festa, ma era arrivato in ritardo e a mani vuote. Alla fine Pucciu e Vichingo avevano trovato un bangladino pieno e portato su tutte le birre, ma Davide non gli aveva perdonato l'ennesima bugia.
“Guarda cosa t'ho portato, dimmi se non ti voglio bene. Hai avuto una grande idea, proprio grande!” Shingo Tamai, il ragioniere, si infilò quasi a forza tra la spalla di Davide e quella di Tony Stark, spinto lontano dal camino. In mano stringeva una bottiglia trasparente con un'etichetta dorata.
“A me pare una cazzata, non si è visto nessuno”. Davide indicò la porta d'ingresso accostata, per poi afferrare la bottiglia e bere un lungo sorso. Rum. Ottimo.
“Eldorado, mica cazzi, proprio buono!. L'ho trovato in un mobiletto all'ingresso insieme ad altri superalcolici. Ma questo è il migliore”. Shingo Tamai aveva una voce nasale, quando Davide lo conobbe sembrava raffreddato e stava per fargli la pelle, invece era sano come un pesce, nonostante la carnagione pallida e le guance flaccide. Doveva avere una quarantina d'anni, ma ne dimostrava di più. Portava occhiali con la montatura spessa, forse di tartaruga, e aveva i radi capelli lunghi da un solo lato, piegati verso l'altro per coprire la calvizie.
“A me pare una cazzata, non si è visto nessuno”.
“Ci sarà qualche altra festa a Roma, è grande, proprio grande!”. Shingo Tamai allungò la mano per farsi restituire il suo prezioso dono, ma Davide lo ignorò.
“Con questo silenzio chissà fino a dove si sente la musica... quante persone saranno rimaste oltre a noi? Venti? Trenta? Cinquanta?”
“Ci sono quelli che ci sono. Bastiamo noi per ripopolare, no?” il ragioniere si voltò in direzione delle scale, quindi tornò a fissare la bottiglia con gli occhi ingranditi dalle lenti.
“Ripopolare?”
“Esatto, di questo volevo parlarti, proprio di questo”. La voce di Shnigo Tamai diventò ancora più nasale. Parlava così veloce che rischiava di mangiarsi le parole. “Noi dobbiamo un attimo organizzarci perché, insomma, il genere umano potrebbe dipendere da noi, solo da noi”.
Davide bevve un secondo sorso di Eldorado, mandando giù fino a quando riuscì a trattenere il respiro. Quindi aprì le labbra, un brivido gli corse sulla schiena. Il liquido ingerito provò a risalire per l'esofago, ma lui deglutì per farlo scendere di nuovo.
“Ho fatto dei calcoli” continuò l'altro, poggiandogli la mano sulla spalla. “Noi maschi siamo undici, le femmine sei. Dobbiamo abbandonare il concetto di coppia, altrimenti c'è chi ci rimarrà male, proprio male”.
Davide lo guardò interrogativo, trattenendo un sorriso.
“Dobbiamo agire come una comunità. Un domani, quando nasceranno dei bambini rischieremo di dividerci, ognuno a pensare al bene della sua prole, ma io ho trovato un modo per salvare la nostra comunità, forse l'unica al mondo. Forse l'unica!” L'uomo stava sudando, aveva i pochi capelli appiccicati in testa e la fronte bagnata. Il suo maglione natalizio doveva essere molto pesante. “Tutti devono andare con tutte. Proprio con tutte. Ho elaborato dei turni mensili, così nessun maschio rimarrà tanto tempo solo. Non sapendo di chi sono i figli, ognuno li tratterà come propri, fanno così gli scimpanzé ad esempio”.
“Complimenti, bella pensata davvero, imitiamo le scimmie! E glielo dici tu alle gentili signore che abbiamo deciso noi a chi devono darla e quando?” Davide si mosse a sinistra, per allontanarsi dal suo interlocutore.
Shingo Tamai si voltò di nuovo per un istante verso le scale, poi si spostò, annullando la distanza. Poggio una mano sul braccio di Davide. “Tu, solo tu! Quando parli tu obbediscono tutti, proprio tutti!”
Davide si spostò ancora: la parte sinistra del suo corpo era ancora riscaldata, la parte destra ricominciava a sentire freddo. “Lo pensi solo te, non mi si fila nessuno”.
Scingo Tamai posò entrambe le mani sulla sua testa, all'altezza delle orecchie, costringendo a vedergli il viso. Il sudore scivolava dalla fronte sul naso e le guance finendo sul collo. Ai lati delle labbra si creavano ed esplodevano bollicine di salive. “La programmazione è fondamentale! Ne va del genere umano!”
Davide alzò la voce per superare quella di Robert Smith mentre diceva che i ragazzi non piangono ma non fece in tempo a far uscire dalle labbra parole sensate. La porta dell'appartamento si aprì ed entrò una coppia. Si ammutolì. Dopo l'incontro con Giovannicervone, due mesi prima, non avevano trovato nessuno ancora vivo. Entrambi avevano i capelli lunghi fino ai fianchi, lei grigi, lui ancora scuri. Erano sulla cinquantina. Nonostante avessero tutti gli sguardi addosso, ignorarono gli altri occupanti della casa. Arrivarono in mezzo alla sala e occhi negli occhi, iniziarono a ballare e a saltare. L'uomo aveva la barba sfatta di almeno quattro o cinque giorni. La donna cantava appassionata, le borse sotto agli occhi e le rughe sulla fronte non riuscivano a intaccare una certa sensualità.
"Questa non me l'aspettavo, proprio no" disse Shingo Tamai e liberò dalla morsa Davide. Iniziò a muovendosi a ritmo anche lui, senza allontanarsi. Diede un'occhiata alle scale poi la sua attenzione ritornò verso il salone.
Davide studiò i nuovi arrivati. Avevano scarpe consumate e abiti sporchi. Indossavano piumini identici da donna, lunghi fino alle ginocchia. Pucciu si muoveva attorno a loro, come fosse il satellite del pianeta-coppia. Quando era di fronte a Davide, cercava il suo sguardo e gli faceva il segno di ok, felice.
Dal piano di sopra si sentirono dei passi, sempre più vicini, Shingo Tamai scattò e con la manica del maglione si asciugò il sudore. Sam scese al piano di sotto assieme a Ronnie James. Lui, fregandosene degli altri, ritornò a parlottare con William e il Vichingo, vicino allo scatolone dei botti e dei fuochi d'artificio. Lei aveva i capelli biondi legati con una una coda alta e indossava una lunga pelliccia, forse di visone, che lasciava scoperte solo le caviglie. I suoi zoccoli di legno battevano forte sul parquet pregiato, si sentivano nonostante la musica. Aveva uno sguardo stanco, ma gli occhi verdi cercavano tra la folla. Fissò la coppia e iniziò a camminare per avvicinarsi.
“Cazzo, no, proprio no!” esclamò Shingo Tamai e scattò nella direzione della ragazza. Lei provò a infilarsi nello spazio in mezzo ai due che ballavano, ma questi la ignorarono. Il ragioniere gli prese la mano e lei, senza nemmeno guardarlo, ritornò verso le scale. Shingo Tamai alzò l'indice e il medio della mano libera in direzione di Davide, prima di andare al primo piano.
Dal divano, Maria Antonietta allungò un braccio attirando l'attenzione di Davide. “Cibo?”
Lui non avrebbe voluto allontanarsi dal camino, ma era ancora con lo stomaco vuoto. Si spostò e si sedette vicino alla donna.
Lei aveva gli occhi grandi da bambina e una voce acuta, ma tra i folti capelli ricci castani ne spuntava qualcuno bianco. Era difficile capire la sua età. Indossava dei calzoni pesanti e diversi maglioni, uno sopra l'altro. “Ti ha parlato della sua geniale idea per farlo scopare cinque volte al mese, caro?” Da un tavolinetto basso, prese una scatola di tonno e la porse a Davide.
Lui annuì, sbuffando. “Quanto si accolla. Per fortuna Sam è generosa, almeno per stasera eviterà di rompere i coglioni”. Prese la scatoletta e con l'altra mano porse a Maria Antonietta la bottiglia di rum.
“Bisognerebbe fargli una statua oggi a Sam. Vediamo se il coglione si dà una bella calmata”.
“Dopo averne avuto un assaggio, sarà ancora più molesto, fidati”. Davide tirò la linguetta, aprendo il contenitore e macchiando il parquet di olio. Con le dita prese il cibo all'interno e se lo portò alla bocca.
“Vi prego, allora uccidetemi subito!” disse lei, bevendo un sorso di liquido trasparente.
“Che facevi lo scorso capodanno Maria Antonie''?" Davide lecco l'interno della scatoletta, attento a non tagliarsi col bordo. Le provviste non mancavano ma odiava gli sprechi.
Lei sfilo una sigaretta dal pacchetto di Pall Mall e se la infilò tra le labbra con gesti lenti, quindi accese. Fece una lunga tirata prima di rispondere. "Ero con Vincenzo, mio marito. Abbiamo festeggiato da soli, come tutti. La situazione era difficile ma eravamo sicuri che fosse questione di tempo per ritornare alla normalità. Nessuno si aspettava la fine del mondo".
Davide non sopportava il fumo, ma evitò di protestare. Strinse le braccia intorno al corpo. "Siamo stati proprio furbi a vaccinare tutti, ma proprio tutti i medici e gli infermieri per primi. Quando è scoppiato lo scandalo è stato davvero un casino".
Maria Antonietta mosse le dita e la cenere cadde sul tavolinetto. "Volevano sbrigarsi e quello era il modo migliore. Facile parlare adesso, quando il latte è stato versato, caro".
"Ci siamo tolti subito tutti quelli sopra ai settant'anni, compresi tutti i pensionati, pure i professori universitari o quelli che lavorano negli ospedali. Morti nel giro di tre settimane. Certo, siamo stati velocissimi. E poi la carneficina degli infetti, non potendo guarirli..."
"Avremmo dovuto trovare un altro modo. Vincenzo piangeva, mi implorava..."
"E tu l'hai ammazzato lo stesso. Vale per tutti, mia regina, oppure non staremmo qui. Manca mezz'ora a mezzanotte, goditi questo splendido capodanno”. Rimasero in silenzio. Al centro del salone, alla coppia e a Pucciu si erano aggiunti Tony Stark, Giovannicervone e Miss Keita II. Dalle casse, Billie Joe Armstrong sfotteva l'idiota americano.
Dalla cima delle scale apparvero Sam e Shingo Tamai, quest'ultimo con un sorriso e uno sguardo sognante.
Maria Antonietta scoppiò a ridere. “Ma dai, di già?”
“Ora che lo sapete potete sacrificarvi più spesso, è una cosa veloce”. Davide osservava Sam, si stava avvicinando nella sua direzione. Aveva occhi stanchissimi.
“Sacrificati tu, allora! Quello è così disperato che piglia tutto!” disse Maria Antonietta, mentre spegneva la sigaretta sul marmo rosa del tavolinetto davanti a loro.
Davide non fece in tempo a rispondere, Sam gli prese la mano e lui la seguì. Mentre salivano gli scalini il freddo aumentava. Malediceva sempre di più quel maglioncino leggero.“ Come stai, Sam?”
“Siete tanti”. La ragazza lo spinse verso una porta ed entrò in una grande camera. Per terra c'erano una ventina di candele accese.
“Se vuoi, puoi fermarti...” disse Davide. Lei gli era piaciuta da subito, quando l'avevano trovata nasconda in una libreria. Aveva la pelle liscia e le unghie cortissime. Spesso l'aveva sorpresa a mangiarsele.
“Spogliati”. Sam si sedette sul letto, sotto la pelliccia era nuda.
“E allora facciamo una cosa diversa, voglio che sia speciale”. Disse lui guardando il corpo giovane di lei.. Quanti anni aveva?
“Speciale” ripetè Sam senza alcun entusiasmo. Uscì dalla stanza, gli zoccoli che ticchettavano sul parquet.
Davide restò solo e si spogliò. Tremava dal freddo e temeva una figuraccia, ma se gli altri ce l'avevano fatta lui non sarebbe stato da meno.
La ragazza tornò con qualcosa in mano mentre lui si stava sfilando i boxer e la assecondò. Le lenzuola di flanella erano ancora calde per fortuna. Lei gli alzo le braccia e strinse bene la corda intorno ai polsi, quindi la passò sotto la imponente spalliera di metallo.
Sam sorrise vedendo l'uomo nudo e immobilizzato. “Vado al bagno e poi cominciamo”. Si allontanò senza aspettare la sua risposta.
Davide stava congelando. Fissò il piumone, troppo lontano per poterci arrivare anche solo con i piedi. Spostò lo sguardo prima sul soffitto, in parte affrescato, quindi sulle pareti. Le luci delle candele formavano ombre irregolari. Una figura sottile si muoveva sulle pareti. I contorni erano troppo indefiniti per capire cosa fosse, le fiammelle la deformavano in base alla distanza. L'uomo, bloccato e solo, tutto d'un tratto si sentì spaventato. Forse gli spiriti l'avrebbero punito per tutte le persone ammazzate. Magari potevano guarire e l'epidemia sarebbe passata lo stesso.
“Non volevo...” sussurrò, poi sentì il rumore delle calzature di Sam farsi sempre più definito.
Lei entrò, ancora con la pelliccia addosso. Dopo pochi passi si fermò e cominciò a battere lo zoccolo sul pavimento. “Che schifo! Da quando ci sono gli scorpioni a Roma? Crepa, bestiaccia!”.
Davide aveva prurito al naso ma non poteva grattarsi. Restò a guardare la ragazza mentre alzava e abbassava le gambe, il volto disgustato.
“ Ormai non sarà solo morto, ma stecchito e triturato”
“Che schifo! Che schifo!” Sam stava iniziando a piangere.
Davide provò a strofinarsi il naso sulla spalla ma il fastidio non passava. Non vedeva l'ora di avere la ragazza vicina per scalarsi.
Lei finalmente smise e si asciugò gli occhi: “E ora pensiamo a te”.
Prima che Sam potesse compiere un solo passo, Davide starnutì. Gli venne naturale, non provò nemmeno a resistere. Solo quando la giovane iniziò a urlare, capì la gravità del fatto.
“È solo uno starnuto. Ho preso freddo, mi hai lasciato qui nudo come un verme...”. Etcì, etcì, etcì. Altri tre starnuti. Sam scappò via dalla stanza.
Davide fece forza sulle braccia per provare la resistenza della corda, niente da fare. Dal piano di sotto avevano spento la musica. Sentiva le voci degli altri, ma non capiva le parole. Le voci di Shingo Tamai e di Pucciu erano quelle più animate. Allungando le gambe riuscì col piede ad arrivare alla sedia dove aveva poggiato i vestiti. Riuscì ad agganciare con l'alluce il maglioncino e lo tirò verso di lui. Con un paio di colpi di reni, lo fece salire e quindi stringendolo tra le labbra lo sistemò alla meno peggio.
La ragazzina era proprio una cacasotto, uno starnuto non è sinonimo di malattia. Da mesi nessuno si ammala, chi avrebbe contagiato Davide? E gli altri, giù a chiacchierare. Che aspettavano a liberarlo? Starnutì di nuovo, e del muco uscì dal naso ghiacciato.
Erano passati diversi minuti quando da basso ci fu silenzio. All'inizio Davide ebbe il timore che se ne fossero andati tutti, ma poi sentì dei passi lungo le scale. Almeno due persone e di certo non Sam. Si rassicurò, niente crisi isteriche. Ma quando vide entrare nella camera da letto i suoi compagni di gruppo, Davide sentì il cuore iniziare a correre al doppio della velocità.
Erano Shingo Tamai e Nadeem, protetti da mascherina e guanti. Il ragioniere stringeva un grosso coltello nella mano destra.
Davide urlò disperato. “Che cazzo fate? L'epidemia è finita! Ho solo freddo”. E di nuovo un paio di starnuti. Sentì il sapore del muco ma continuò a gridare. “Aiuto! Aiuto! Mi vogliono ammazzare, salvatemi”
Nadeem aveva la carnagione scura e capelli a spazzola. Parlava quasi sotto voce e evitava di guardare negli occhi l'uomo imprigionato. “Abbiamo votato, la maggioranza ha deciso. Io ero per salvarti, sappilo”.
Davide si morse il labbro, chi lo aveva fregato? Pucciu e Nana erano con certezza dalla sua parte. Tre con Nadeem, se diceva la verità. Gli bastavano altri sei voti. Di solito le ragazze votavano no ad azioni violente. Otto voti totali. Anzi no, sette. Sam impanicata com'era, sarà stata contro di lui. Di solito Ronnie James, Vichingo e Han Solo stavano per conto loro e avranno votato tutti assieme, quindi contro, o sarebbe salvo. Bastardi. William era ipocondriaco, quindi un altro a favore della sua morte. Chi rimaneva? Su Giovannicervone avrebbe messo la mano sul fuoco, era dalla sua parte. L'ultimo era quel leccaculo di Shingo Tamai, gli stava sempre appiccicato, era sicuro avesse votato per la sua salvezza.
“Fermi” balbettò tremante Davide. “Avete sbagliato i conti!”
Shingo Tamai scosse la testa. Le lenti riflettevano le fiammelle delle candele nascondendo gli occhi. “Mi spiace, ma non è così, per niente così. Nessuno voleva salire, abbiamo estratto a sorte: uno tra chi ha votato per la tua salvezza, uno tra chi... ha preferito l'altra soluzione, proprio l'altra soluzione”.
“Assassino! Traditore! Pezzo di merda!” Davide iniziò a strattonare le braccia e a dare calci all'aria, quando vide i due avvicinarsi.
Nadeem blocco le cosce dell'amico. “Non rendercela più dura. Al mio posto avresti fatto la stessa cosa”
“Bugiardo! Bugiardo!” pianse Davide, ma non poteva mentire a se stesso. Nadeem aveva ragione.
Ci fu un movimento veloce, una sorta di carezza sul collo, poi Davide non riuscì più a parlare, l'aria usciva dalla gola con un rumore orribile. Il dolore arrivò in un secondo momento. Shingo Tamai si era spostato alla sua sinistra, il coltello era pieno di sangue. Il ragioniere sussurrò all'orecchio: “È questione di sopravvivenza. Con un maschio in meno siamo più equilibrati, molto più equilibrati”. Da sotto, Tony Stark gridò: “Auguri!” e il ragioniere aggiunse diretto alla sua vittima: “Buon duemilavenitidue”. Poi fece passare di nuovo l'arma affilata su Davide.
Shingo Tamai non era più abituato a uccidere la gente dopo la fine dell'epidemia. Ci vollero venti minuti buoni, poi il cuore di Davide si fermò e lui smise di respirare.



P.s.: lo aggiungo qui ni fondo dopo al racconto solo per essere sicuro di non essere frainteso. Il racconto è un racconto e basta, opera di fantasia (poca, per il contesto che ho scelto) ma non vuole essere minimamente una critica a qualcosa che viene fatto in questo momento nella realtà, il mio è solo un espediente narrativo per raccontare la storia del racconto. Immagino che non serviva questo p.s. ma sto più tranquillo io a metterlo)
 
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view post Posted on 30/1/2021, 00:08
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Ottimo.

Ancora 48 ore... Forza
 
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view post Posted on 30/1/2021, 13:30

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Arriverà qualcun altro prima della scadenza? Io sono così curioso che ho dato una prima lettura a tutti gli altri racconti!
 
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