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Skannatoio Marzo - Aprile 2021, Mors tua vita mea

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view post Posted on 13/3/2021, 16:36
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Io non ho ancora perso la speranza che mi arrivi l'ispirazioni così di punto in bianco anche se sarà il peggior racconto perché non avrò neanche il tempo di rileggerlo ...

Solo che l'ispirazione non arriva
 
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view post Posted on 13/3/2021, 22:34
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Custode di Ryelh
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CITAZIONE (Nazareno Marzetti @ 13/3/2021, 16:36) 
Io non ho ancora perso la speranza che mi arrivi l'ispirazioni così di punto in bianco anche se sarà il peggior racconto perché non avrò neanche il tempo di rileggerlo ...

Solo che l'ispirazione non arriva

Alzate tutti i vostri portatili e inviate la vostra energia creativa a Nazareno!!
 
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view post Posted on 14/3/2021, 08:21

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SPECIFICHE COSA SI FA PER NON MORIRE (UNA PERSONA CHE DEVE PRENDERE UNA DECISIONE ESTREMA O DIFFICILE PER SALVARSI LA VITA. GRAVITA’ TARATA SUL TIPO DI PERSONAGGIO: UN EROE IMPAVIDO E CORAGGIOSO NON HA DUBBI NEL SACRIFICARSI PER FAR TRIONFARE LA GIUSTIZIA, MA POTREBBE TROVARE PIU’ FATICOSO SACRIFICARE LA VITA DI UN INNOCENTE PER CATTURARE UN MALVAGIO)
SPECIFICHE FACOLTATIVE
HO SCELTO: TERROR PANICO (UNA FOLLA, DALLE QUATTRO PERSONE IN SU, DOVRA’ ESSERE COLTA DAL PANICO)


LA STRADA DELLE MATTONELLE BLU

Di Alexandra Fischer

Mara camminò rasente i muri; cercava rinfresco dalla calura che veniva dalla terra, ma anche conforto dall’ultimatum che le era stato posto dall’alto.
Doveva decidere entro quattro giorni.
La Direttrice della Distribuzione delle Risorse l’ha fatta facile, dietro a quel suo specchio: Hai un fidanzato e una sorella gemella. Devi scegliere quali fra loro far salire sulla prossima navicella perché ormai la casa della tua prozia serve a un’altra famiglia. Avrete una nuova sistemazione su Acquarius. Certo, è un pianeta artificiale e mi rendo conto che avere Sedna al posto della Luna non è il massimo, però non soffrirete la nostalgia di casa. Vi ho assegnato la sezione di Nova Casalia.
Lei guardò le mattonelle blu e le associò ai lunghi pomeriggi silenziosi di prima, quando non erano ancora comparsi gli automi a rimpiazzare le specie rare di animali sempre più indebolite dalle continue mutazioni dell’ambiente; Rinaldo e Leonora avevano giocato insieme a lei con gli animaletti di legno intagliati e dipinti da quest’ultima e spesso a loro si erano uniti Piero, Mariagrazia, Casimiro e Luana.
Era certa che ci sarebbe stata una via d’uscita: camminò a testa china lungo la strada di mattonelle alla ricerca di una soluzione.
Il lavoro di programmatrice informatica l’aveva aiutata a capire il motivo di quei sacrifici programmati ogni anno: era bastato un guasto all’anagrafe per confermare l’autenticità dei notiziari.
Le risorse non bastavano per tutti e ogni volta che alzava lo sguardo dalla finestra del suo ufficio, la torre con il cartello luminoso che riportava i dati delle nascite e delle morti ribadiva l’ineluttabilità della legge dei numeri.
Associò il blu dell’ultima mattonella all’insegna dell’archivio della biblioteca e si toccò la tasca: aveva ottenuto un gettone da spendere in uno svago a piacimento perché aveva lavorato bene quel mese.
Lo userò per capire un ultimo paradosso. Ci sono interi quartieri vuoti, e ci propinano la storia delle risorse scarse. Non mi è piaciuta la faccia di Mariagrazia stamattina in ufficio, anche lei deve avere ricevuto la mia stessa comunicazione.
Mara lasciò il sentiero di mattonelle blu alle sue spalle e cambiò strada apposta per mettere quanta più distanza possibile fra se stessa e la colonnina in centro.
Certo, sarebbe tornata a casa con almeno dieci minuti di ritardo, ma voleva sfogare la tensione prima di vedere sua sorella.
Il rumore di un velivolo che avviava i motori la riscosse e la portò ad attraversare la strada deserta.
Ora utilizzano il prato dello stadio come pista di partenza e atterraggio? Non lo facevano da quando ero bambina.
Rivide i suoi quattro compagni di giochi: Piero era alla guida del con accanto Mariagrazia, Casimiro e Luana erano seduti dietro di loro.
Le pareti trasparenti del velivolo glieli mostrarono in ogni dettaglio.
Si era avvicinata, attirata dal lieve ronzio dell’accensione, stupita dal trovarli tutti insieme.
Cominciò a sperare in un cambio della regola crudele della scelta.
Casimiro, però si staccò dal sedile di guida e si girò verso Mariagrazia con il volto contratto dalla paura, le gridò qualcosa, la scosse, lei si staccò la cintura e insieme si misero a gesticolare verso Piero e Luana.
Piero annuì e tirò la cintura, scosse la testa, allora Casimiro tirò fuori un oggetto lucente e la tagliò via; Luana si agitò sul sedile, gridò, mentre il volto le si arrossava.
Casimiro cercò di tagliare la cintura di lei e tentò di farlo più volte, ma fu inutile. Luana reclinò il capo in avanti e lui la scosse, mentre Piero correva verso il sedile del pilota e premeva diversi bottoni.
Mariagrazia si affannò intorno alla porta del velivolo, poi passò a batterci sopra i pugni, finché il materiale trasparente si coprì di sangue.
Infine, i vetri si oscurarono.
Mara rimase impietrita, mentre alle sue spalle arrivarono i poliziotti, vestiti di nero e con i caschi dalla visiera a specchio.
Uno di loro l’afferrò e la tirò indietro: − Vada via.
Mara si dibatté: − Cos’è andato storto?
Il poliziotto la gelò: − Proprio nulla. Lo prenda come un avvertimento per chi cerca di barare. Lei, piuttosto, cosa ci faceva qui?
Mara chinò la testa: − È stato un caso. Mi rincresce di aver interrotto il suo lavoro.
Il poliziotto continuò a fissarla, in attesa che lei aggiungesse altro; Mara lo fece, dopo aver guardato il cellulare: − Devo proprio andare. L’autobus arriverà fra breve.
Il poliziotto le sussurrò: − Sì? Meglio per lei. Vada, ora.
Lei scappò via, in direzione della fermata e il convoglio, di materiale trasparente, si fermò dopo che i sensori collegati alle porte ebbero registrato la sua presenza; salì e si accomodò nel sedile di mezzo dell’ultima fila.
***
Quando Mara rincasò, la sorella, seduta al computer, la chiamò: − Mara, sei tu? Vieni a leggere. C’è stato un incidente al campo giochi. Il pilota Casimiro Scotti, la moglie e un’altra coppia sono morti durante un volo di prova. Sua moglie Mariagrazia era una tua collega, vero?
Mara allungò il collo verso il monitor e mantenne un tono calmo: − Sì. Mi dispiace. È stato un incidente.
Leonora le indicò la lettera aperta sul tavolo e tenuta ferma dagli animaletti di legno che aveva creato da bambina: − Ormai non ti resta molto tempo per decidere−. Si alzò dal tavolo e l’abbracciò: − Tu e Rinaldo potete ancora farvi una vita−. La sua stretta si rafforzò: − Da una parte vorrei poter avere la vostra stessa possibilità, ma sono cattiva. Certo, nel corso dell’ultima riunione del gruppo artistico, c’è stato chi mi ha detto che esagero, a quanto pare, ricostruiranno qualcosa di simile nel pianeta e il pittore amico della direttrice mi ha promesso che potrò viverci, sempre che tu me ne dia la possibilità.−. Le indicò i profili degli edifici del quartiere abbandonato, sfumati nella luce azzurrina dell’orizzonte e si portò le mani al volto: − Ogni tanto sogno di essere lì, con mamma e papà. Per me, la nostra vera casa è quella e ce l’hanno portata via. Forse mi adatterei alla versione che lui mi ha mostrato nel video, però penserei a questa. Odio questa regola dei numeri.
Mara le sussurrò: − Sì, è crudele. E tutto perché siamo in troppi. Lo capisco bene, vedi cosa ho dovuto fare per lavoro – Indicò la pila di fascicoli posata in uno dei ripiani del mobile libreria di compensato bianco; attraverso il vetro, i dorsi numerati a inchiostro argentato le ricordavano le file di lapidi anonime al cimitero.
Era cominciata così in tutte le famiglie per quelli che mancavano il sorteggio per il posto in nave: i loro volti e i loro nomi venivano cancellati, ma occorreva fare posto alle creature schiamazzanti che affollavano la città.
La busta con la lettera era accanto al notebook di Leonora e trattenuta da una scatolina quadrata di porcellana con un paesaggio dipinto in colori fluorescenti dove spiccavano costruzioni a forma di serra.
Mara guardò quella scatolina meno che poté e si soffermò sul salvaschermo, dove era raffigurata l’immagine di una famiglia seduta fuori da una delle costruzioni: l’uomo, giovane e in tuta da lavoro, mostrava al ritrattista il contenuto di un cesto pieno di pesche, la donna, che lo era anche più di lui, sedeva poco più in là e rammendava una piccola camicia da notte sotto lo sguardo di una bambina che era la sua versione in miniatura quanto ad abbigliamento: abito intero dalla gonna lunga fino alle caviglie, maniche lunghe fino al gomito, sabots ai piedi e cappelli ricamati all’uncinetto.
Il piccolo, in disparte, giocava con tanti pezzi di legno colorato a di forma rettangolare; indossava un completo a bretelle dalle maniche corte e portava sandali neri.
Nell’intenzione dell’artista, l’immagine voleva trasmettere serenità.
Mara commentò: − Mi dispiace che riguardi poche persone.
Leonora si girò verso di lei con un grande sorriso: − Ma cosa dici? Io trovo che lo Stato sia generosissimo. Intanto, mi permette di creare opere come queste− Le indicò l’ora sul computer. – Pensa a preparati. Rinaldo sta per arrivare.
Mara si mise le mani sui fianchi a sottolineare quanto le cadesse bene l’abito attillato grigio antracite con la cintura a grandi cerchi di metallo: − Mi basta l’impermeabile bianco e sono a posto.
Leonora ridacchiò.
Mara atteggiò le labbra in un broncio infantile: − Beh, cosa c’è che non va?
La sorella si sfregò le braccia per scherzo: − Sei sempre stata freddolosa e con la paura di ammalarti. Oggi non pioverà neppure.
Mara la indicò: − Tu, invece, porti solo questi vestitini al di sopra del ginocchio e senza maniche. Quanto ai tuoi piedi, hai mai sentito parlare delle calze alle caviglie e delle scarpe chiuse? Vivi sempre come se fossimo ancora bambine e ci fossero ancora tutte quelle estati infinite.
Leonora le fece una linguaccia: − Almeno non mi rubi i vestiti.
Lo scampanellio alla porta fermò quello scherzo.
Mara corse nell’ingresso e premette un bottone nel riquadro del citofono: Rinaldo si accarezzava la barba e sorrideva.
Lei premette il secondo bottone, afferrò l’impermeabile e corse lungo i gradini.
Rinaldo era accanto all’auto dalla carrozzeria trasparente; Mara gli sfiorò le labbra di Mara e poi gli mostrò il gettone: − Faremo una gita nella Fortezza. Ho ottenuto il gettone per il miglior recupero di dati all’anagrafe.
Rinaldo batté le mani: − Finalmente. Ti eri persino portata il lavoro a casa. Meriti un bel giro. Proprio come me. Sono così stanco, sapessi. Ho appena consegnato il progetto per un nuovo condominio. Mi manca l’aria al solo pensiero di chi abiterà dentro.

***
Mara osservò con estrema attenzione la pianura con le fattorie, il nuovo ponte sul quale passava il treno e quando arrivarono alla salita, fece lo stesso con gli abeti, il pozzo ricoperto di muschio e le panchine di ferro battuto.
Al termine della salita, il muro della Fortezza parve incombere su di loro, ma il cancello era aperto e c’erano altre auto.
Un capannello di gente si era radunato intorno a una donna dal tailleur pantalone bianco e Rinaldo, mentre spegneva l’auto, commentò: − Io preferirei evitare la guida. Facciamoci un giro per conto −. Si volse verso Mara e le sorrise.
Lei ricambiò: − Hai ragione. Sai, hai avuto un’ottima idea−. Si diresse all’ingresso e diede il proprio gettone all’impiegato, il quale aveva un telefono auricolare, le sopracciglia aggrottate, ma le dita abbastanza veloci da ritirarlo in un gesto automatico.
Rinaldo le fece strada lungo il cancello e lei ammirò le siepi di bosso, le costruzioni di mattoni rossi dalle imposte chiuse.
Mara osservò: − Sembra quasi impossibile che un tempo avessero contenuto e depositi di viveri.
Rinaldo concordò: − Anche a me fa la stessa impressione. Come già ai tempi della gita scolastica.
Mara si sforzò di ricordare: − Eravamo insieme già allora?
Lui rise: − No, ma eri dell’altra classe. Alle elementari, tre anni di differenza sono tanti.
Mara gli diede una gomitata scherzosa: − E ora?
Rinaldo le indicò le scale: − Preferisci goderti la vista da quella parte o camminare per tutta la fortezza?
Lei ridacchiò: − Mi basta vederla da questo punto. Avrò dimenticato la tua faccia dei tempi delle elementari, ma non la ricerca che dovemmo fare prima di venire qui. Struttura a stella a cinque punte con altrettante scale.
Rinaldo la precedette: − Come vuoi.
Videro il panorama della città, suddiviso in capannoni della zona industriale, terreni agricoli con fattorie, il fiume che divideva quelle zone riservate al lavoro dai condomini, dal grande parco con l’arco di pietra nel mezzo e il quartiere degli Anni Dieci, dalle palazzine multicolori; subito dopo, c’era lo spiazzo erboso che ospitava i velivoli per le partenze e ne videro uno sfrecciare nel cielo.
Mara si girò di lato: − Non posso vedere. Qualche giorno fa mi è arrivata la lettera. E io devo decidere su chi portare con me in viaggio. E chissà verso dove.
Rinaldo stava per intervenire, quando la comitiva di turisti arrivò in fila ordinata, mentre la guida le illustrava le meraviglie del paesaggio.
Mara prese per mano Rinaldo e lo portò fuori: − Dammi le chiavi. Guido io.
Lui la guardò sorpreso: − Non lo hai mai voluto−. Gliele passò, tuttavia.
Mara partì.
Rinaldo restò a bocca aperta: − Ignoravo che fossi così brava. Veloce e sicura allo stesso tempo−. La sua espressione si fece costernata quando la vide imboccare il vecchio ponte: − Non dovremmo andarci. Hanno chiuso tutti i quartieri.
Lei guardò fisso avanti a sé, mentre si profilavano le prime botteghe con le serrande abbassate e le torri elettriche fuori uso da quando i loro genitori erano ragazzi.
L’interno del quartiere mostrava le fondamenta di condomini e i resti della stazione; fra le rovine, erano comparse erbacce e ogni tanto qualche animale selvatico tagliava la strada a Mara.
Rinaldo la guardò intimorito quando si fermarono nello spiazzo della stazione degli autobus: − Questo posto mette i brividi.
Mara si frugò in tasca: − Non più di dove vorrebbero mandarmi. Ho visto i video di propaganda, tutto in costruzione, tutto in fermento, però c’è un prezzo da pagare.
Rinaldo annuì: − Lo sospettavo. Sono passati troppi giorni dalla lettera e mi fa piacere che sia arrivata a te.
Mara lo fissò, mentre la paura si faceva strada dentro di lei: − Che vuoi dire?
Lui l’accarezzò su entrambe le guance: − Avrei scelto te e lasciato che uccidessero i miei familiari pur di seguirti.
Mara gli sfiorò le labbra, commossa: − E il tuo studio di architetto?
Lui fece un gesto, come a minimizzare: − Ho pensato che ci sarà parecchio da costruire nel pianeta dove ci manderanno.
La sicurezza di lui la mandò in crisi, come pure la generosità della sorella; quel pensiero la portò a guardare l’ora sul cellulare.
Il telefono squillò e lei gridò: − Leonora, cosa dici? Sono passati da te? Partenza anticipata? Come mai? Sì, sono alla stazione degli autobus−. Chiuse la comunicazione e gli occhi le si riempirono di lacrime: − Verranno subito e dovrò decidere.
Rinaldo si tolse la cintura: − Scendiamo, allora. Godiamoci quello che potrà essere una fine o un inizio−. La prese per mano, mentre arrivava un’auto a fari accesi.
Ne scese una donna che Mara riconobbe subito e lo sussurrò a Rinaldo: −La guida turistica.
Ne scesero anche due poliziotti abbigliati in nero e con le armi spianate: spingevano in avanti Leonora, con le mani alzate.
La guida turistica, vestita di bianco come alla Fortezza, andò verso Mara: − Sua sorella è stata imprudente a telefonarle, ci ha portato qui in un baleno. Sappiamo della vostra amicizia con quei sovversivi. Cos’è venuta a fare, qui?
Mara replicò: − Un giro, per decidere chi fra i due mi tocca scegliere, come da accordi con la Direttrice. A proposito, dov’è?
La guida turistica replicò: − Nel suo ufficio, da dove si sta assicurando che la polizia e io l’accompagneremo con la persona che ha scelto. Ad Acquarius programmatori informatici, come lei, architetti, come il suo fidanzato−. Guardò Leonora: − Certo, esistono persino quartieri per gli artisti.
Mara si mise a tremare e non solo per l’umidità notturna.
Rinaldo era il futuro, l’ottimismo; Leonora, invece, era cresciuta con lei all’ombra della perdita dei genitori ed era rimasta fragile, soprattutto dopo la morte della prozia paterna, la loro tutrice.
Avrebbe voluto dare un futuro a entrambi, ma poi vide le armi spianate e le vennero in mente i video nei quali si mostravano i pestaggi riservati agli amici dei ribelli.
Mara fece un profondo respiro, mentre le parole, le uscivano gelide: − Rinaldo.
La guida approvò: − Motivazione?
Mara indicò la gemella: − Furono gli animaletti che scolpiva nel legno a farmi incontrare quei sovversivi. Io non sarei mai andata nella strada delle mattonelle blu. Ricordo i loro giochi. Immaginavano un mondo dove ci fosse posto per tutti. Pura follia. E crescendo, è peggiorata.
La guida fece un cenno ai poliziotti, che le portarono Leonora, la quale le si avvicinò calma e si rivolse a Mara: − Ha il coraggio di dare della ribelle a sua sorella?
Mara sentì qualcosa che le si spezzava dentro, ma l’istinto di autoconservazione prevalse, insieme ai doveri verso Rinaldo: − Sì.
Leonora tacque e le mandò un bacio in punta di dita prima che i poliziotti la portassero via.
La guida indicò l’auto di Rinaldo: − La direttrice ha fatto preparare un volo speciale per voi. Usate pure la macchina.
***

All’incrocio con il semaforo spento da anni e coperto di erbacce, le due auto si divisero.
 
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view post Posted on 16/3/2021, 09:25
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Una curiosità...

Non avendo idee ho provato a inserire alcuni input su un generatore casuale di plot nella speranza che mi desse lo spunto per partire...

Qualcosa dev'essere andato molto storto.


Cowardly Luca Marotta
A Short Story
by Anonymous
Luca Marotta looked at the spotty sandwich in his hands and felt sad.

He walked over to the window and reflected on his nosense surroundings. He had always hated mistic Piane di falerone with its faint, frantic field. It was a place that encouraged his tendency to feel sad.

Then he saw something in the distance, or rather someone. It was the figure of Marco Teorico. Marco was a bold dolphin with ruddy fingers and slimy thighs.

Luca gulped. He glanced at his own reflection. He was a cowardly, down to earth, brandy drinker with spiky fingers and moist thighs. His friends saw him as a racid, rainy rover. Once, he had even rescued a bitter chicken from a burning building.

But not even a cowardly person who had once rescued a bitter chicken from a burning building, was prepared for what Marco had in store today.

The drizzle rained like shouting maggots, making Luca angry.

As Luca stepped outside and Marco came closer, he could see the strange glint in his eye.

"I am here because I want Died," Marco bellowed, in a mean tone. He slammed his fist against Luca's chest, with the force of 7020 blue bottles. "I frigging hate you, Luca Marotta."

Luca looked back, even more angry and still fingering the spotty sandwich. "Marco, save my life," he replied.

They looked at each other with lonely feelings, like two abundant, angry aardvarks dancing at a very controlling sport, which had jazz music playing in the background and two thoughtful uncles jogging to the beat.

Luca studied Marco's ruddy fingers and slimy thighs. Eventually, he took a deep breath. "I'm sorry, but I can't give you Died," he explained, in pitying tones.

Marco looked stable, his body raw like a rotten, rainy rock.

Luca could actually hear Marco's body shatter into 2642 pieces. Then the bold dolphin hurried away into the distance.

Not even a glass of brandy would calm Luca's nerves tonight.

THE END

Questo è il generatore se volete farvi due risate

www.plot-generator.org.uk/
 
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view post Posted on 17/3/2021, 08:41
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Fantastico ^U^

bisognerà affidarcisi quando tra le consegne tematiche comparirà il non sense
 
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view post Posted on 20/3/2021, 16:37

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Ciao, Nazareno. E' simpatico. Si tratta di surrealismo letterario.
Certo, nulla che soppianterà mai l'ingegno umano.

Devo chiederti una cosa. Permetti? Questa è ancora più surreale della storia postata. Non ti ho più nei contatti su Facebook. Ho forse combinato qualcosa che ti ha offeso? Nel caso ti chiedo scusa. Mi piacerebbe riaverti (con questi concorsi, non si sa mai, dovessi scriverti qualche cosa, o anche sapere come vanno i tuoi lavori artistici). Poi, se non te la senti più, non fa nulla.
 
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view post Posted on 20/3/2021, 18:20
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Come sta andando gentaglia? A che punto siete con i vostri lavori? Non vorrete costringermi a inseguirvi con un (metaforico... o forse no...) scudiscio?
 
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view post Posted on 20/3/2021, 20:46
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Io ho la mia skifezza pronta da qualche giorno, la sto lasciando fermentare per vedere se noto qualche grumo di pus da amputare. Comunque contate certamente su di me! Quanto agli altri, vai pure con lo scudiscio, muhahaha

Tanto lo so che la scudisciata la prenderò lo stesso, visto che stavolta il mio racconto è scritto in tell XD :P

Edited by MentisKarakorum - 20/3/2021, 21:19
 
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view post Posted on 22/3/2021, 16:53
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Anche io dovrei esserci tra un paio di giorni :b:
 
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Sistemate i testi e postate, gentaglia!!
 
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view post Posted on 23/3/2021, 10:21
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Ciao a tutti.
Sono un nuovo iscritto, mi piacerebbe partecipare allo skannatoio.
Essendo un dilettante non so che giudizi costruttivi potrò dare agli altri, se non un "mi è/non mi è piaciuto perché".
Ho fatto un po' di pratica con i precedenti racconti, non ne ho tirato fuori molto, ma ci proverò.
 
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view post Posted on 25/3/2021, 11:47
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CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/3/2021, 18:20) 
Come sta andando gentaglia? A che punto siete con i vostri lavori? Non vorrete costringermi a inseguirvi con un (metaforico... o forse no...) scudiscio?

Io sono fuori tempo massimo e talmente stressato che manco riesco a mettermi a scrivere due parole in fila.
 
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view post Posted on 25/3/2021, 15:50
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Montecristo



Avvolgo un'altra benda attorno alla ferita. Inserisco la forcina per farla aderire a quelle sottostanti.
Con questa le ho finite, dovrò passare in infermeria e convincere il dottor Munik a darmene altre.
Franciszek alza il braccio. “ È perfetta! Grazie infinite, reverendo”
Gli faccio il segno della croce sulla fronte. “Sia lodato Gesù Cristo.”
“Sempre sia lodato!”
Il volto è scarno, le orbite scure e scavate. Non va bene. È dimagrito troppo negli ultimi giorni. “Più tardi vieni alla baracca sedici, il mio letto è quello in fondo a sinistra. Tengo un pezzo di pane sotto il cuscino, dovrebbe essere ancora buono.”
Mi sorride, mi stringe una mano con entrambe le sue e ritorna di gran fretta sui suoi passi.
I prigionieri vanno e vengono dal vialone centrale. Volti rabbuiati, sguardi a terra, acuni ingobbiti all'inverosimile. Sembrano fantasmi dai pigiami a righe. Anzi, sembriamo.
Mi gratto la fronte. Dove sei finito, mio Dio?
L'orologio in cima alla torre della caserma segna le 10.47. Se non mi sbrigo si accorgeranno della mia prolungata assenza alla cava. La scusa di tornare al campo per confessare i prigionieri non durerà ancora per molto. Se il generale Dann si accorgesse di qualcosa... non ci voglio pensare.
Questi ebrei! Ci ammazzano ogni giorno, ma quando si tratta di fatti religiosi non aprono bocca e lasciano fare.
Ringrazio il Signore ogni giorno per avermi fatto prete nel posto giusto, al momento giusto.
Ora più che mai devo sfruttare i miei privilegi al servizio degli altri.
Un gruppo di ragazze con una cuffia sulla testa si ferma sulla strada. La più alta appoggia in terra il sacco che porta alla schiena e si avvicina al filo spinato. “Reverendo Rajmund, che Dio la benedica.”
Do una sbirciata a destra e sinistra. Non ci sono guardie in giro.
Accenno un inchino. “Buongiorno Elsa. Come sta la signorina Schimdt?”
Elsa abbassa lo sguardo. “Non ha superato il travaglio e... e con lei il bambino”
“Dio mio! E Jonas?”
Una lacrima scorre sulla sua guancia paffuta. “L'hanno portato via!” Fa un altro passo in avanti, stringe il filo con le mani e sporge con il naso sotto uno dei nodi di ferro appuntito. “Deve fare qualcosa, Rejmund. Lo sa dove portano i bambini orfani come lui, vero?”
Carne da laboratorio.
“Parlerò con il tenente Brauer. Vedo se riesco a farlo riassegnare come portaordini.”
Elsa spinge una mano oltre il filo verso il mio braccio.“La ringrazio Rejmund, grazie infinite!”
“Tu!”
Ritrae il braccio con uno scatto.
Una guardia la sta indicando. Oh no! È spuntata da una delle strade laterali, un paio di baracche più avanti.
La guardia corre nella nostra direzione.
Tiro fuori il rosario e me lo arrotolo attorno ad una mano.
Elsa unisce i palmi all'arrivo della guardia. “Signore, la prego, stavo solo –” Lui le tira il calcio del fucile dritto sul muso. Elsa si ribalta a terra, pancia all'aria. Un fiotto di sangue si diffonde rapido dalle narici verso la bocca e giù fino al collo.
La guardia la tiene ferma con un piede sul ventre. “Che diavolo pensavi di fare? Sporca tedesca!” La stella di David è ricamata sulla stoffa della giacca al braccio destro, al petto brillano diverse piastrine militari.
Faccio un passo avanti. “Colonnello, la signora si stava confessando.”
L'uomo mi squadra da capo a piedi. “Ah, tu devi essere quel prete! Fai bene a confessarla, chissà quanti orrendi peccati macchiano la coscienza di questa puttana”. Spinge sullo stivale ed Elsa manda un grido di dolore.
Bastardo! “Espierà la sua pena quand– ”
Il colonnello capovolge il fucile e lo punta al volto della donna. “Ohh eccome se la espierà, me ne voglio assicurare proprio ora.”
Deglutisco. “Aspetti! La ragazza è arrivata solo da poche settimane, se la uccidesse ora non avrà fatto i conti con le sue colpe.”
Il colonnelllo abbassa il fucile. “É vero, sarei troppo buono ad ammazzarti subito. Sappi che mi ricorderò di te, puttanella, e se ti sono sembrati duri questi giorni, non hai la benchè minima idea di cosa ti attende.” Dà un ultimo spintone sulla pancia di Elsa e si rimette il fucile a tracolla. “Arrivederci, prete.” Sputa sulle donne in attesa sul ciglio della strada e si allontana, fischiettando.
Karin, la più giovane del gruppo, si fionda ad aiutare Elsa ad alzarsi. Il sangue è giunto a macchiare persino la svastica cucita sull'uniforme.
Elsa manda un singhiozzo. “Cosa abbiamo fatto per meritarci questo?”
Tiro un sospiro di sollievo. È andata bene anche questa volta. Ti ringrazio, mio Signore.



* * *


La luce lunare filtra dalle inferriate delle finestre. Il freddo inizia a solleticarmi le ossa e l''olezzo di sudore impregna l'aria all'interno della baracca.
Mi tolgo le scarpe. Un filo di fumo si solleva dai piedi.
Le appoggio sul pavimento all'angolo del letto; a fianco vi sono quelle di Djerun, bucate da tutte le parti.
Djerun se ne sta con la schiena appoggiata al pilastro in legno del letto a castello. Lo sguardo è perso nel vuoto.
Pover'uomo. “Ehi, Djerun.”
Mi guarda. “Buonasera, reverendo.”
“Domani proverò a recuperarti un paio di scarpe tutte nuove. Ho buoni rapporti con il signor Braun, al settore calzaturiero. ” Gli faccio l'occhiolino. “Che ne pensi?”
Djerun si stringe le gambe al petto e butta la testa nell'incavo tra le due. “Come ci riesci?”
“A fare cosa?”
“Come fai a non aver ancora perso la speranza?”
Un nodo mi si stringe alla gola. “Dobbiamo... dobbiamo avere fede, Djerun. Fede, ma soprattutto amore, perchè solo l'amore crea in questo mondo.”
Djerun alza il volto, le lacrime gli lavano via lo sporco sul viso. “Se non fosse per lei, sarei già morto da un pezzo. È la sola prova della presenza di Dio anche in un luogo così sciagurato.”
Mi faccio un segno della croce. “Dio è ovunque, è un fiore che cresce anche nella cenere!”
Djerun mi sorride, porta due dita alla bocca e manda un breve fischio.
Gli altri uomini della baracca si avvicinano al mio letto. Tutti mi guardano con uno strano sollievo dipinto sul volto scheletrico.
Djerun scende dal letto. “Oggi ho visto un uomo prendere il pezzo di pane che tenevi sotto il cuscino”. Alza il materasso e prende un sacchetto di carta stropicciato da sotto. “Lei si meriterebbe il mondo intero, reverendo, ma nel nostro piccolo vogliamo ringraziarla dell'amore che ci offre ogni giorno.” Rovescia sul mio letto il contenuto: una fetta di pane con una piccola macchia di muffa su un angolo.
Il cuore inizia a tamburellarmi nel petto.
Gli altri mi si avvicinano uno alla volta e mi porgono anche i loro tesori. Cibo, sigarette, toppe per vestiti, suole di scarpe...
“Ragazzi, vi prego... non posso accettare.”
Un cigolio metallico interrompe la processione. Gli uomini si lanciano occhiate preoccupate, alcuni si voltano verso l'ingresso della baracca.
Il rumore di una catena che scivola sui cardini.
Gli ebrei!
Con un balzo Djerun raduna il cibo e gli oggetti sul mio letto, li butta nel sacchetto e li nasconde sotto il mio cuscino. Tutti gli altri corrono alle proprie brande.
Un soldato con un cappello di pelo fa capolino dalla porta di metallo. “Ohh! Cosa abbiamo qui? Stavate festeggiando qualcosa?” Il suo sguardo colmo di disprezzo cade su un paio di ragazzi in piedi a pochi passi da lui. Non hanno fatto in tempo a raggiungere il loro posto letto.
Quello più basso dei due si inchina fin quasi a toccare le ginocchia con il muso. “Chiedo perdono, signore.”
Il soldato gli dà uno spintone e lo fa cadere a terra. Si alza una nuvola di polvere. “Fila al tuo posto, cane bastardo!”
Alle spalle del primo compaiono altri due ebrei armati di carabina e lanterne.
Il soldato con il cappello si schiarisce la gola. “Buonasera a tutti. Sono il maggiore Maine e sono felice di annunciarvi una buona notizia. Stasera uno di voi morirà!”
Un brusio di terrore si alza dai prigionieri. Alcuni si nascondono il viso con il cuscino, altri cercano di spingersi verso i recessi più bui del proprio letto, in molti iniziano a pregare a bassa voce...
Ernest si tira due forti ceffoni su una guancia e scoppia in una risatina isterica. È da un po' che non ci sta più con la testa.
Djerun è tornato seduto e dà le spalle ai soldati.
Gli ebrei ci stanno guardando ad uno ad uno. Non hanno intenzione di perdersi alcuna delle nostre patetiche reazioni alla loro notizia.
Vi divertite? Maledetti!
Il maggiore inizia a fare dei larghi passi in tondo. “La scorsa settimana il fortunato è stato scelto tra i più biondi e con gli occhi più azzurri tra tutti voi. Un bell'esemplare ariano da ciascuna delle venti baracche. Dovevate sentire come frignavano e chiamavano la mamma prima di essere sgozzati.”
Povero Albert. Era arrivato da poco, in piene forze e nel fiore della sua gioventù. Avrebbe potuto sopravvivere ancora per molto.
Maine interrompe il suo circolare. “Ma oggi optiamo per qualcosa di meno banale”. La sua espressione è sadica. “Sappiamo tutti che ognuno di voi tiene qualche schifezza sotto il cuscino o il materasso. I vostri tesori più preziosi” Si toglie il cappello e gli dà un paio di pacche per ripulirlo dalla polvere. “Questa volta saremo giusti nel giudizio. Quei ragazzi non avevano colpe ad avere i capelli biondi e gli occhi azzurri, giusto? Ma se tra voi troveremo qualcuno che possiede più tesori di altri, allora lui non potrà che essere dichiarato colpevole della sua lussuria.”
Al petto mi salta un battito. Apro la bocca, come per ribattere, ma non esce che una piccola nube di vapore condensato.
Un peso inizia a schiacciarmi il torace.
Non può essere...
Djerun mi sta fissando, accigliato. Non è l'unico. Tutti i prigionieri mi stanno mandando occhiate, brevi e silenziose. Me le sento addosso e sono ricolme di vergogna, lo so.
Con il loro dono mi hanno condannato a morte.
Dio mio! È questa la tua volontà? È così che ripaghi le mie buone azioni?
Mi monta una rabbia mai provata prima, ho voglia di...
Il maggiore batte forte le mani. “Veloci! Radunate ai vostri piedi tutte le cose. Se entro dieci secondi non avete finito, vi ammazzerò! Se mi nascondete qualcosa, lo saprò e vi ammazzerò! Siete stati dei cani bastardi in vita, perlomeno cercate di affrontare la morte con dignità.”
Mi sporgo oltre l'anta del letto e bisbiglio: “Gli direte come è andata, non è così?”
Djerun torna a nascondere il viso tra le gambe.



* * *


Il generale Dann dà un'altra lunga boccata dal sigaro. Gli occhi scuri mi fissano da sopra la brace. “Devo confessarle, reverendo, che quando mi hanno avvisato che l'uomo prelevato dalla baracca sedici era lei, stentavo a crederci.”
Ho le mani incrociate sul rosario. Non ricordo neanche da quanto tempo sono seduto in questo stanzino. Mi tremano le gambe.
C'è solo il generale con me, sta seduto dall'altra parte del tavolo.
Spinge la cassetta di metallo nella mia direzione. “Coraggio ne prenda uno anche lei.” Ammicca. “Sono sigari Montecristo.”
“Non... non fumo.”
“Ne è sicuro? Non si preoccupi, non avrà il tempo di prendere il vizio.”
In effetti, che diavolo può cambiare a questo punto? Di certo questi polmoni non mi serviranno a nulla da morto.
Apro la cassetta. Cinque sigari color nocciola sono disposti in serie. Ne prendo uno.
Il generale mi sorride. “Ecco, bravo.” Estrae un fiammifero, lo accende con la brace del suo e me lo porge.
Poggio il fiammifero sulla punta e do alcuni brevi soffi. L'odore di tabacco mi pervade la bocca e sale lungo le narici.
Tossisco. Non male, potrei abituarmici...
Il generale taglia la punta del suo sigaro con un coltello. “Non le nego che lei è una figura importante in questo campo, reverendo. Per gli altri prigionieri è un vero eroe, mentre per noi è solo la persona più rispettabile tra voi porci tedeschi.” Si passa una mano sulla barba. “So che non ha mai rinunciato a offrire il suo aiuto agli altri, nessuno escluso. Pensava che non sapessimo cosa facesse durante le sue confessioni?”
Ecco, sono un uomo finito. “Che intend –”
“Non finga con me! Con questa scusa si è sottratto fin troppo spesso al lavoro forzato. Ha sfruttato la nostra magnanimità, il nostro rispetto per la vostra fede, per ingannarci. Ma ora è qui, dinnanzi alle sue colpe.”
Stringo forte le palline di legno del rosario. “Ho perseguito solo il bene della mia gente.”
“Ohh senz'altro, senz'altro. La stessa che poi l'ha mandata a morire?”
Una lama mi stiletta l'addome. “Come fa a...?” La voce mi trema.
“Sono stato io ad ordinare a Djerun di organizzare quella pagliacciata dei regali con gli altri compagni della baracca. Vedo che hanno aderito tutti all'iniziativa con gioia.”
Non può essere!
Il generale si alza e punta entrambi i pugni sul tavolo. “La questione è semplice, reverendo, volevo punirla dei suoi peccati. Molti dei miei sottoposti l'hanno in simpatia e si sono fatti abbindolare da lei, che ha sfruttato la sua posizione per aiutare gli altri tedeschi. Così, ho deciso di darci un taglio. Ho puntato una pistola alla tempia del suo vicino di letto e l'ho messo di fronte ad una scelta.”
Djerun, non è possibile... Dopo tutto quello che ho fatto per lui! Un'onda di calore mi sale lungo il collo e mi scotta il viso.
Il generale aggira il tavolo e si porta alle mie spalle. “Ma io sono un ebreo buono e lei ha avuto la fortuna di essere assegnato proprio a questo campo. Le assicuro che altrove non avrebbero tollerato tante trasgressioni e l'avrebbero ammazzata già molto tempo fa. La mia filosofia è diversa, io do sempre un'ultima possibilità ai miei prigionieri. L'ho data a Djerun, ora la darò anche a lei.”
Maledetto Djerun! Maledetti tutti quegli ingrati bastardi!
Il generale mi stringe le spalle con le sue manone pelose. “Dovrà fare una scelta, reverendo. Confermerà la sua purezza d'animo e diventerà un martire per il suo popolo?” Il suo fiato arriva ad accarezzarmi il collo. “Oppure sceglierà la vita e condannerà i suoi compagni di baracca alla camera a gas?”
Il rosario scivola dale dita e cade sul pavimento.
Con la mano tremante mi porto il sigaro alla bocca.



* * *


“Entrate, veloci! ” L'urlo proviene dal basso.
Mi chino a osservare il coperchio di metallo arrugginito ai miei piedi. Ha una maniglia al centro.
Il generale è al mio fianco, tiene sotto braccio un barattolo cilindrico, simile alle latte dove mamma metteva la passata di pomodoro.
Fa un cenno ai due soldati alla porta. Ci lasciano soli.
Mi mette una mano sulla spalla. “È il momento, reverendo.” Si dirige all'armadio all'angolo della stanza. Tira fuori da un cassetto due grosse maschere. Una la indossa, l'altra la porge a me.
La prendo tra le mani. Un brivido mi corre lungo la schiena. Sembra il muso di una mosca gigante.
Mi lascio cadere sulle ginocchia. Una fitta di dolore mi attraversa le rotule.
Il generale posa il barattolo sul pavimento. “Ricorda quello che le ho detto. Se non ci sporchiamo le mani in prima persona, non siamo degni di sopravvivere in questo mondo.”
Scuoto la testa con forza. “No, ci deve essere un altro modo...”
“Avrei potuto far eseguire l'ordine alle guardie, ma così sarebbe stato troppo semplice per lei. Anche Djerun ha dovuto fare la sua parte per ingann–“
“Ma a lui non è stato chiesto di ammazzare venti uomini in un colpo solo!”
Il generale mi si accovaccia accanto. “La pena è commisurata alla gravità delle colpe e le sue, reverendo, vanno ben oltre quelle di quel povero disgraziato.”
Con un braccio mi tolgo il sudore dalla fronte.
I suoi occhi chiari brillano oltre il vetro scuro della maschera. “Coraggio, ora finisca il lavoro. Se farà il bravo, le regalerò un altro di quei sigari.”
Agguanto la maschera e la indosso. La vista si restringe a due ovali.
Il generale tira la maniglia del coperchio, un rumore metallico ne accompagna il movimento.
Ora vi è un buco nel pavimento.
Mi sporgo per vederci dentro. È buio. Là sotto regna un silenzio surreale.
Il generale indica il barattolo.
Il cuore mi sale alla gola. Afferro il barattolo e lo abbraccio forte al petto.
Dio mio! Perchè non ho il coraggio di morire?
Una voce emerge dall'oscurità. “Dove siamo?”
Alzo lo sguardo sul generale. È impassibile.
Sono una bestia, nient'altro che una bestia... finalmente mi rivelo per quello che sono: nient'altro che un ipocrita.
Stacco il tappo di latta del barattolo.
Verso il contenuto nel buco e trattengo il respiro.
“Bravo, reverendo. È un esempio per tutti noi.”
Le lacrime mi appannano la vista.
Il generale mi scansa con un braccio e riposiziona il coperchio sopra il buco.
Lascio cadere il barattolo sul pavimento. È vuoto. Mi guardo le mani. “Cosa ho fat–”
Un grido, Se ne aggiunge un altro, un altro ancora! Sono sempre più numerosi e sempre più... disumani!
Mi spingo la maschera sulle orecchie. “Fateli smettere, vi prego, fateli smettere!”



* * *


Qualcuno bussa alla porta.
Chi sarà a quest'ora?
Ripongo forchetta e coltello sul piatto. Ecco, così mi si raffredda la pasta.
Bussano ancora.
Afferro il bastone. “Un attimo, un attimo!”
Raggiungo la porta e la apro.
C'è un vecchietto in giacca di lino e con un cappello a bombetta. Sembra sorpreso di vedermi.
Appoggio una mano allo stipite della porta. “Come posso aiutarla, signore?”
Non risponde.
Ha qualcosa di familiare. “Si sente bene?”
“Volevo assicurarmi che fosse vero.”
“Vero cosa?”
“Che il reverendo fosse ancora vivo.”
Un colpo al cuore. Il reverendo... sono decenni che non mi chiamano così!
Mi scosto dalla porta e gli faccio segno di entrare. “Con chi ho il piacere di parlare?”
Il signore scuote la testa. “Non entrerò.”
“Come vuole, allora perchè è venuto sin qui?”
“Per vedere in faccia il mostro che ha condannato a morte i miei compagni.”
Non può può essere! “Che sta dicen–”
“Nonchè mio vicino di letto.”
Le gambe mi cedono. “Djerun...”
“Sì.”
Le grida di morte di quel giorno tornano ad affollarmi la testa. “Come fai ad essere...”
“Vivo? È semplice, il generale le ha fatto ammazzare tutti gli innocenti, ma non il vero traditore. Che gran figlio di puttana che era! Mi ha trasferito il giorno stesso in un altro campo, così che lei non venisse a sapere la verità.”
Ho la bocca impastata.
Djerun si toglie il cappello, due grossi ciuffi bianchi gli spuntano sopra le orecchie. “Siamo entrambi traditori, reverendo. Io ho condannato il mio benefattore e lei i suoi fedeli assistiti. D'altronde, era questo lo scopo della Lega ebraica: svelarci la nostra natura più selvaggia.”
Tiro un pugno allo stipite della porta. “Qualsiasi essere umano avrebbe agito così!”
Le nocche mi bruciano.
Djerun abbassa lo sguardo. “Ne siamo sicuri?”
Porta dei mocassini di pelle marrone. E pensare che l'ultima volta che l'ho visto gli volevo trovare un nuovo paio di scarpe...
“Quanto ci è costato, reverendo? Quanto ci è costato sopravvivere? Questa è la pena più grande che ci ha inflitto il generale, una vita nel rimorso.”
Mi asciugo una lacrima con il bordo della camicia. “Le colpe dei nostri padri non avrebbero dovuto ricadere su di noi.”
Djerun mi afferra le spalle con entrambe le mani. “Ci siamo quasi, reverendo. Manca solo un anno all'espiazione. I cent'anni della memoria indetti a Norimberga sono finalmente giunti al termine. Il nostro popolo tornerà a sorridere e i giovani non saranno più destinati all'anno della mietitura.”
Rinsaldo la presa sul pomello del bastone. “Sono passati sessant'anni da quell'anno maledetto, eppure mi sembra di non aver mai lasciato il campo. Djerun, in fondo lo sai anche tu, questa vendetta si potrà dire conclusa solo quando anche tutti i sopravvissuti saranno morti.”
Djerun si rimette il cappello. “Forse è così, ma l'importante è che a questa vendetta non ne segua un'altra. Dobbiamo dare il buon esempio, reverendo, rivolgiamo le nostre preghiere a Dio e spezziamo questa dannata catena d'odio.”
Sorrido. “Hai ragione. Deve essere questa la nostra missione, ora.”
Mi porge una mano. La stringo forte.
“Addio, reverendo. Sappia che ai miei occhi rimarrà sempre il giovane prete che dispensava speranza all'inferno.”
“Grazie Djerun, grazie. Addio!”


* * *


“Interrompiamo le trasmissioni per riportare una notizia dell'ultimo momento.”
Richiudo il libro e alzo lo sguardo. Sullo schermo è comparsa una giornalista bionda sotto un ombrelllo, alle sue spalle un affacciandersi di pompieri, paramedici e poliziotti.
La luce delle sirene si riflette sul volto della ragazza. “Eccoci qui, davanti alla sede della Lega di difesa ebraica, dove poco fa è stata lanciato l'allarme alle forze dell'ordine. Dalle prime indiscrezioni sembra che vi sia stato un attentato ai danni delle più alte sfere politiche del movimento. Erano riuniti oggi in consiglio per il resoconto del centesimo e ultimo anno della Memoria, quando dall'impianto di areazione è fuoriuscito uno strano gas. Ad accorgersene alcuni segretari, che hanno visto il gas diffondersi dalle porte della sala. Ecco possiamo vedere...”
La giornalista si scosta e lascia intravedere l'ingresso della struttura, oltre il quale vanno e vengono operatori in maschera e tuta antigas “gli operatori che si stanno adoperando per trarre in salvo eventuali sopravvissuti nella struttura. Purtroppo non giungono buono notizie dalla sala del consiglio, dove pare che il gas abbia ucciso tutti i presenti. Tra le vittime più illustri, il generale Dann, presidente della Lega ormai da trent'anni...”
È fatta.
Spengo la televisione.
Lascio la poltrona e raggiungo la scrivania. La luce chiara del primo pomeriggio permea dalla finestra.
La scatola, in legno lucido, è sopra ad alcune scartoffie. La lancetta del contatore dell'umidità è fissa su settanta percento.
L'apro.
Eccoti qua. Il sigaro è ancora lì ad aspettarmi. Lo ha fatto per sessant'anni.
Lo porto alla bocca. Lo tengo lì per qualche secondo, ne assoporo il gusto. Accendo. Faccio un tiro profondo, espiro e mando una nube densa a coprire la vista della finestra.
Montecristo. Non ci poteva essere sigaro più adatto ad una giornata come questa.
Aveva proprio buon gusto, il generale.
Bacio l'anello all'indice: la svastica luccica.
Con me al comando, il neonato Partito Nazionalsocialista trionferà sul mondo intero.
 
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view post Posted on 25/3/2021, 19:24
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Cari amici di penna, ecco il mio umile contributo per questo mese: massacratelo più che potete! A presto!
PS: ambisco a tutti i bonus.


In Fondo al Mar / In Fondo al Mar



Il livello dell’acqua sale e raggiunge la mia gola. Come diavolo ci sono finito qui?
Ok. Iniziamo da capo.
Mi chiamo Matthias, sono un ingegnere geotermico, e odio il mare. Strano a dirsi, ma tutto quello che ha a che fare con la fauna della barriera corallina, mi fa una paura fottuta. Gli strizzacervelli danno un nome alla mia condizione: cnidarofobia, la paura di tutto quello che vive sul fondale marino.
Tutto è iniziato quando ero piccolo. Io e i miei genitori andavamo sempre in vacanza al mare. Io l’adoravo, mi piaceva sguazzare nelle acque calde dell’oceano e amavo immergermi con la maschera a contemplare tutto quello che strisciava sul fondale; ma un giorno la mia vita è cambiata. In mare vivono esseri strani, alieni, che con noi non hanno niente a che fare: animali più simili a piante, o a gusci pieni di roba molliccia, e comunque ricoperti di aculei. Ci sono anche cose che a prima vista sembrano sacchetti di nylon, e con quelli c’è poco da scherzare. Insomma, quel giorno, durante una delle mie immersioni, ho visto una caravella portoghese. Non è raro che in Australia quelle porcherie sguazzino libere, raminghe e vagabonde; sono simili a meduse, anche se appartengono a una specie diversa, comunque hanno tentacoli lunghissimi, che possono arrivare a decine di metri, e se ti beccano si può anche morire. Ok, è raro, ma può succedere. Insomma, di colpo la schiena inizia bruciarmi, come se mi stessi rotolando sui carboni ardenti. Risultato? Tre mesi di ospedale, steso a pancia in giù col culo per aria, che anche le lenzuola erano come carta vetrata.
Così è iniziato tutto: a furia di vedermi frignare i miei genitori hanno perso le speranze di convincermi a fare di nuovo un bagno in mare, e da quella volta ho iniziato a frequentare gli psicologi.
Fa ridere, vero? Specie se si considera la piega che ha preso il mondo negli anni successivi, con la migrazione subacquea. Quando era il nostro turno di trasferirci a New Sidney, mia moglie era raggiante: vivere sott’acqua, diceva, era un’esperienza di vita nuova, qualcosa come andare sulla Luna. Essendo io ingegnere, le alte sfere ci hanno anche concesso qualche agevolazione: un appartamento più grande, stipendi più alti, assistenza sanitaria gratuita.. quelle piccole cose che per loro sono nulla, ma per chi ha è sposato e vorrebbe avere bambini è tutto. Così ci siamo trasferiti.
Diciamocelo, sapermi chiuso in un ventre di metallo con fuori l’inferno, non è che mi faccia piacere, ma la convinzione che le paratie sono belle spesse mi ha sempre aiutato ad andare avanti. E poi cosa non si fa, per la propria famiglia? L’alternativa era restare a vivere in un lurido scantinato a Melbourne, con sessanta gradi all’ombra, e passare le giornate ad aspettare nelle file chilometriche per la distribuzione dell’acqua. Almeno, qui sotto, il problema dell’acqua non c’è mai stato. I depuratori sono una meraviglia: sai che goduria è farsi una doccia calda? Poi l’acqua con cui ti lavi è, anche se piena di minerali, pure ottima da bere.
Dicevo che sono un ingegnere specializzato in impianti geotermici. Le città subacquee vanno avanti così: con l’energia che la Madre Terra regala a chi se la prende dai fondali vulcanici dove, infatti, l’acqua dell’oceano è bollente: basta metterci un tubo sopra et voilà, energia elettrica gratis per tutti. Ok, non è proprio così facile, altrimenti l’università non servirebbe a un fico secco, però il concetto è quello.
New Sidney si sviluppa sul fondale oceanico, a centoventi metri, e una delle sue centrali geotermiche è sottoterra, a trenta metri o giù di lì. Il casino è che, qualche volta, possono esserci i terremoti. Avrete senza dubbio sentito parlare degli tsunami, be’, proprio loro. Sul fondale non è che si sentano troppo e, comunque, New Sidney è costruita con tecniche antisismiche; però, una volta su un milione, le misure di sicurezza possono andare a farsi fottere tutte nello stesso momento: ecco cosa succede quando la nostra Madre Terra, che ci regala il suo prezioso mestruo caldo, sanguina un po’ troppo.
Insomma, eravamo tranquilli alla centrale, quand’ecco che tutti gli strumenti iniziano a cinguettare all’unisono. Diciamocelo, visto che sono un nuovo arrivato mi hanno messo di turno con gli sfigati, di notte, quando la richiesta di energia è al minimo. E va bene, saremo stati anche degli scappati di casa alle prime armi, però vorrei vedere chi, nella nostra situazione, si sarebbe comportato meglio di noi.
L’esplosione ci ha fatti tutti saltare a correre verso l’ascensore di emergenza, lasciandoci dietro gli strumenti che friggevano inondati dalla lava. Gli allarmi mi spaccavano le orecchie, le luci rosse intermittenti erano da attacco epilettico e i miei colleghi si calcavano nello stretto corridoio come topi che abbandonano la nave. Non sono un eroe, lo so: solo nei momenti di vera emergenza si scopre quanto si è coraggiosi.
Arrivato di sopra, ho notato che i colleghi giunti per primi avevano fatto partire tutte le capsule di evacuazione. Qualcuno aveva anche aperto il boccaporto di emergenza sul pavimento e mancava qualche tuta da palombaro. Così ho capito: per salvarmi avrei dovuto saltare sul fondale e percorrere a piedi il tragitto fino alla città. La lava stava fondendo la stazione, che sarebbe collassata in pochi minuti.
Senza pensarci troppo mi sono infilato nella prima tuta a disposizione, ho attaccato per bene il casco avvitando i bulloni fino a sentirli stridere sulle loro guide, ho caricato le bombole sulle spalle e poi mi sono avvicinato al boccaporto sul pavimento. Il mare zampillava dall’apertura e allagava tutta la stanza, sintomo che la stazione stava perdendo pressione. Ho guardato dentro il mare, ho visto il fondale e mi sono bloccato. La testa ha iniziato a girarmi e il petto a comprimersi.
I coralli, i dannati coralli si vedevano bene, con tutti i loro colori velenosi: rosso, viola, arancio.. colori cattivi, psichedelici, radioattivi.
Ed eccomi qua, adesso, attaccato alla ringhiera, con l’acqua alla gola. Devo fare un salto e correre verso la salvezza. Tutto trema, il livello dell’acqua sta raggiungendo il soffitto. Il cuore in petto batte così forte che prima o poi mi scapperà fuori dalla gabbia toracica.
Qui si mette male: il soffitto si avvicina, il mare sta schiacciando la stanza.
Mi tuffo, tocco il fondo. Le luci della centrale si spengono. Sono immerso nel nero: è come se il buio sia uno stato della materia. Mi circonda, lo posso toccare. Provo ad accendere la torcia elettrica sul casco. Meno male che hanno pensato a tutto, quando hanno progettato queste tute. Giro l'interruttore e un cono di luce illumina l’esterno della stazione. Mi muovo. Devo scappare, prima che la struttura mi schiacci. L’acqua è calda, la sento anche attraverso la tuta. Qualcosa scricchiola sotto i miei piedi. So cos’è, ma un problema alla volta: adesso devo allontanarmi il più possibile. Mi trascino in avanti, i piedi affondano fino alle caviglie, mi volto: la struttura accartocciata giace sul fondo del mare, bollicine d’aria brulicano tutt’intorno. Non so se è l’acqua che sta bollendo o l’atmosfera artificiale della stazione che si disperde in mare.
Per il momento sono fuori pericolo. Alzo il polso e guardo il quadrante con la lancetta del livello dell’aria. Ne avrò per circa un paio d’ore. Basterà?
Ora arriva la parte più difficile. Illumino i miei piedi. Gli stivali sono affondati in un groviglio organico di coralli. Il cuore riprende a battermi forte. Tentacoli sottili come lingue fameliche danzano sulle mie caviglie, strutture calcificate simili a mille zampette di insetto si contorcono ad avvolgermi i piedi. Alzo la luce, il cono illumina il mare. Milioni di piccoli globuli galleggiano di fronte ai miei occhi. So cosa sono: sono immerso nello sperma dei coralli. Mi viene da vomitare. Inghiotto saliva, se vomito nella tuta è la fine. I suoni del fondale che attraversano il casco mi martellano i timpani: schiocchi e fruscii continui. Cosa diavolo produce questi rumori? Meglio non saperlo.
Occhiata al livello d’aria: merda! Come ha fatto a scendere così tanto in pochi minuti? Deve essere il mio respiro affannoso. Se non mi calmo va a finire che soffoco. Un passo avanti. Il piede affonda, mi sembra di camminare sui cracker. Respiro profondo. Coraggio, un passetto alla volta. Illumino il fondale: un globo verdastro ricoperto di buchi sta a una decina di metri davanti a me, poi i coralli si fanno più alti, come in una foresta. Cazzo, non potrò evitare di guardarli a lungo, presto ce li avrò tutt’intorno. E va bene, sia! Altro passo, affondo, scricchiolii. Raggiungo il globo: è cosparso di peli verdastri che danzano sospesi verso l’alto. Le strutture ramificate mi arrivano ormai al petto, dovrò farmi strada tra loro fino a raggiungere la città. Fisso lo spazio davanti a me, le luci di New Sidney ci sono e non sono troppo lontane, devo solo arrivarci.
Sto ansimando. Non va bene. Devo regolare la respirazione.
Filamenti ricoperti di vermi mi toccano la tuta e al mio passaggio si ritirano dentro i tubi di calcare. Altro conato di vomito. Sfioro una struttura simile a un cervello eradicato dal suo cranio e mi ritrovo in uno spiazzo libero. Sulla sabbia sono adagiate un paio di stelle marine, i loro cinque tentacoli sono ricoperti di aculei e alghe. Per fortuna non si stanno muovendo; quelle dita pelose fanno schifo anche da ferme, figuriamoci se si mettono a camminare. Più in là, alveoli fiammeggianti serpeggiano in alto seguendo ramificazioni nodose dall’apparenza fragile, ma letali quanto le zanne di un cobra. Mi basta un colpo per rovesciarle e farmi strada, ma al solo pensiero di toccarle mi sento morire. Torturo il quadrante del livello dell’aria, sono a metà scorta. Devo calmarmi, manca ancora un bel po’ di cammino prima di arrivare alla città.
Avanti, un passo dopo l’altro. Sfioro gli alberi di calcare, i miei piedi affondano su qualcosa di molliccio, non voglio sapere cosa. Avanti, avanti. Il braccio tocca e manda in frantumi un ramo color porpora.
Aspetta: com’era quella canzone? C’era un cartone animato, vecchio di più di cent’anni, ambientato proprio sul fondale marino: la Sirenetta. Il granchio cantava così, a un certo punto:

In fondo al mar,
ce la spassiamo,
in fondo al mar,



la melodia mi rilassa. Ok.

In fondo al mar,
in fondo al mar,
ce la spassiamo
ta-ta-ta-taa



Sì, funziona. Un riccio di mare grosso come un pallone mi sbarra la strada, gli dò un calcio. Gli aculei si spargono sul fondale e il globo nudo sparisce tra un grumo di anemoni di mare. Sorrido: sì, ce la posso fare.
Cosa sono questi? Merda. Cavallucci marini che mi svolazzano di fronte al casco. Le alette battono così forte che sembrano formare un unico ammasso pulsante. Il tentacolo della coda è arricciato in una spirale e, sui corpi rossastri, un fitto manto di peli ricciuti danza nella corrente. Mi si forma un nodo alla gola. Come si può pensare che questi esseri siano carini? Aspetta, cosa faceva il cavalluccio marino in quel film? Sì! Era il paggio di corte: se ne andava in giro con una trombetta a irritare tutti con la sua vocina squillante. Sorrido e sferzo l’acqua con una manata, gli esseri di fronte al mio casco spariscono fuori dal cono di luce. Così! Avanti!
Ta-ta-ta-taa.. In fondo al mar, in fondo al mar.
La mia voce trema: la luce della torcia mostra una nuvola lattiginosa che si libra sopra a un cespuglio di anemoni di mare. Nella nuvola pulsano una miriade di cuori. Un intricato reticolo di tentacoli brulica trasportato dalla corrente.
Meduse.
Il cuore mi scoppia in petto, tutti i miei muscoli sono pietrificati. Non riesco a muovermi. La nuvola avanza, mi avvolge. I filamenti si spalmano sul vetro del casco. La mascella mi duole: sto stringendo i denti così forte che la radice scricchiola nelle gengive. Calma.
In fondo al mar! In fondo al mar!
Devo andare! Devo muovermi: un passo, un altro. Agito le braccia ma quelle merdacce sono troppe. Se non avessi la tuta dello scafandro la mia pelle cadrebbe a pezzi, arsa da fiamme inestinguibili. Mi faccio strada, i miei guanti urtano i coralli, le strutture si rompono in mille pezzi. Ancora meduse, non finiscono più! Occhiata al livello d’aria: quasi in riserva.
Respira piano! Respira piano! Ok, l’acqua è sgombra, non ci sono più meduse. Abbasso lo sguardo: dei grossi cordoni bitorzoluti mi circondano il petto. Mi giro: i cordoni si portano dietro due buste di plastica con venature bluastre.
Brividi. Spalanco la bocca. Sono caravelle portoghesi!
Scatto in avanti, provo a correre, ma le mie gambe incespicano bloccate dall’attrito dell’acqua. Cado. Il mio casco affonda in anemoni rossi come pomodori, il vetro spiaccica qualcosa di spugnoso. Tossisco. Il liquido del mio stomaco risale l’esofago.
No. Lo ricaccio indietro.
Pianto i guanti a terra e mi rimetto in piedi. Una macchia di materia scura appiccicata sul vetro mi blocca la visuale. Mi volto, i sacchetti sono ancora lì, la loro superficie raggrinzita è attraversata dalla luce: non smettono di pulsare.
Un momento.. non sono caravelle portoghesi, quelle stanno a filo d’acqua: queste schifezze che mi stanno attaccate al culo sono semplici meduse. Prendo un respiro profondo. Passo il guanto sul petto, gratto, sfrego, ma i fili mollicci non si spezzano. E va bene! Me le trascinerò dietro, come fossero paracadute viventi. Un passo, un altro. Il livello dell’aria è basso, la lancetta tocca il fondo del quadrante. Presto perderò conoscenza.
In fondo al mar! Ce la spassiamo! In fondo al mar!
Una luce è vicina. Sono quasi arrivato! L’aria nel casco è calda, puzza di sudore e piscio. Una lucetta lampeggia sul polso. Sono quasi a secco. Magari se mi fermo a riposare un secondo, a riprendere le forze… No! Non posso fermarmi.
Ecco la paratia, batto il metallo col pugno. Aprite! Nulla. Non ce la faccio più.
Mi siedo sul fondo con la schiena appoggiata al muro. Affondo in un groviglio di scheletri calcarei. Colpisco con la nuca il metallo.
Aprite, per l’amor di Dio.
Le meduse allacciate alla mia tuta mi galleggiano davanti. Si avvicinano. Pulsano alla luce della torcia.
Cado all’indietro, mi fanno entrare!
Mi trascino dentro alla camera stagna, la porta si chiude di fronte a me. Il livello dell’acqua si abbassa e le buste mollicce si afflosciano sul pavimento. Si muovono ancora, rantolano per terra e strisciano una sull’altra. Schifose merdacce!
Un tecnico si avvicina, dice qualcosa che non capisco. Armeggia coi bulloni e mi sfila il casco. Prendo un respiro profondo: l’aria è buona, fresca, pulita.
Il viso dell’uomo, ricoperto da una folta peluria, mi sorride.
«Non si preoccupi, è in salvo adesso.»
Alzo il braccio, cui sono aggrovigliati altri tentacoli lattiginosi. Il tizio fa un balzo all’indietro.
«Faccia attenzione, le meduse pungono anche da morte!»
Rido, apro la bocca per ribattere, ma la sola cosa che mi esce è: «In fondo al mar! In fondo al mar! Ah che fortuna, vivere insieme, in fondo al mar!»
Le sopracciglia dell’uomo si inarcano, arriccia le labbra e scuote la testa.
Socchiudo gli occhi: ho proprio bisogno di una vacanza. «Mi dica, dove ci troviamo?»
«Sezione 81/7: reparto di studi zoologici. Lei da dove viene?»
«Centrale 24. C’è stato un incidente, abbiamo evacuato.»
L’uomo annuisce. «Certo. Ecco cos’erano quelle scosse. Niente di grave spero.»
Sorrido e scuoto la testa. «Senta, ho avuto una nottataccia. Voglio tornare a casa.»
«Certo. Ora l’aiuto e poi le mostro la via.»
Mi fa uscire dallo scafandro, mi porge una tuta da lavoro e mi indica un lavandino. Mi risciacquo il viso e mi siedo su una panca a riprendere fiato. Il tecnico attende paziente, il suo viso peloso sorride divertito. Mi porge delle pantofole di gomma, le indosso e mi rimetto in piedi.
Mi conduce in un ampio salone ben illuminato. Ci sono piante ornamentali e pareti di vetro. Poster colorati mostrano disegni di coralli e meduse. Un fiotto caldo mi si rimescola nello stomaco. Inghiottisco saliva.
Il tecnico indica intorno a noi. «Peccato sia capitato qui di notte, il fondale è ben visibile quando c’è luce.»
Rido. «Proprio un vero peccato, da mettersi a piangere.»
L’uomo sorride. «Però, una piccola consolazione c’è.» Mi fa l’occhiolino. «Il tunnel d’uscita è chiuso per lavori, quindi per raggiungere la fermata del treno dovrà per forza percorrere la nostra piscina interattiva.»
«Come?»
«Sì. E le dirò di più! La piscina è la nostra attrazione principale.»
Faccio un respiro profondo, spalanco gli occhi. «Scusi, proprio non me la sento. Non c’è un’altra via?»
«Be’, è notte, e i lavori importanti li pianificano a queste ore perché le attrazioni sono chiuse.» Fa spallucce. «Si tratta solo di un centinaio di metri, poi potrà salire su un mezzo fino alla città.» Mi mette una mano sulla spalla. «Non si preoccupi, l’esperienza della piscina è molto piacevole.»
Stringo i pugni. «Non ho proprio voglia di rimettermi lo scafandro.»
Ride. «Ma quale scafandro, l’acqua è poco profonda.» I suoi occhi scintillano. «In più è tiepida e profumata con sali naturali. Tutto è perfetto per nuotarci in costume da bagno.» Ha lo sguardo perso nel vuoto. «La luce nella stanza è tenue e c’è anche una musica dolce, per massimizzare l’esperienza.»
Musica dolce. Sospiro. «E, cosa c’è nell’acqua?»
Allarga la bocca in un sorriso giocondo. «Un banco di meduse geneticamente modificate: enormi, innocue e socievoli. I bambini adorano accarezzarle.»
Stavolta non riesco a trattenermi. Gli vomito sulle scarpe.
 
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view post Posted on 27/3/2021, 14:12
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Custode di Ryelh
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CITAZIONE (truemet @ 23/3/2021, 10:21) 
Ciao a tutti.
Sono un nuovo iscritto, mi piacerebbe partecipare allo skannatoio.
Essendo un dilettante non so che giudizi costruttivi potrò dare agli altri, se non un "mi è/non mi è piaciuto perché".
Ho fatto un po' di pratica con i precedenti racconti, non ne ho tirato fuori molto, ma ci proverò.

Tu commenta e non pensarci. Sono cose che imparerai con il tempo e facendoti Skannare. ^_^

CITAZIONE (Nazareno Marzetti @ 25/3/2021, 11:47) 
CITAZIONE (White Pretorian 2.0 @ 20/3/2021, 18:20) 
Come sta andando gentaglia? A che punto siete con i vostri lavori? Non vorrete costringermi a inseguirvi con un (metaforico... o forse no...) scudiscio?

Io sono fuori tempo massimo e talmente stressato che manco riesco a mettermi a scrivere due parole in fila.

Non hai scritto ancora nulla? Sennò, se li altri sono d'accordo potremmo dare una proroga.
 
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89 replies since 28/2/2021, 21:42   2427 views
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