Eccomi, come promesso, con il mio pezzo... sperando non sia l'ultimo o ci salta tutto
Michelino il credulone
Mi esplode la testa.
Mi esplode la fottuta testa.
Non ce la faccio più.
Le luci intermittenti dell’albero, tutte quelle versioni trash di
Jingle Bells, i pupazzetti di Babbo Natale appesi ai balconi.
Odio il Natale.
Sono quasi ventiquattr'ore che non dormo.
Non ce la faccio più.
Mi raddrizzo sulla sedia, ma vorrei sdraiarmi. Se solo riuscissi a chiudere gli occhi. Se li chiudo rivedo tutto: anche le luci intermittenti del cazzo di albero, quelle merda di canzoncine e quei pupazzetti ridicoli.
Mi infilo un dito nel naso, intanto che nessuno mi vede. Attacco la caccola che mi occupa quasi tutto il polpastrello sotto la sedia.
La schiena mi fa male. Speriamo finisca presto questa agonia: non ce la faccio più.
La signora torna, mi sembra agitata, anche se fa finta di niente. Si sistema la gonna, si siede di fronte a me e apre un quadernetto. Sembra quello della prof di italiano, solo che lei ce l’ha nero, mentre questa ce l’ha marrone. Prende una biro dalla borsa. Meno male che non è entrata mentre mi scaccolavo. Che figura di merda che avrei fatto. Chissà se la Laura ha già parlato. Ricky di sicuro, quello non si tiene neanche la piscia.
“Rieccomi, Ludovico, ora possiamo continuare", la dottoressa si mette i capelli dietro l’orecchio come fa anche la Laura quando è in imbarazzo.
“Procediamo da dove ci siamo fermati, ma prima dimmi come stai”, spinge con l’indice gli occhiali contro il naso.
“Sto come poco fa, dottoressa”, il mio tono le sembrerà scocciato e attaccherà con le sue mille domande, ma sono solo sfinito. Vorrei non dover pensare a questa brutta storia.
“Vuoi provare a definire come ti senti?”, accavalla le gambe, secondo me è nervosa.
“Mi sento stanco, mi fa male la schiena e non ho voglia di andare avanti a pensarci, non vorrei pensarci mai più”, lo dico fingendo quasi indifferenza. Vorrei solo svegliarmi da questo incubo.
“Va bene, Ludovico, ti chiedo un ultimo sforzo e poi potrai riposare, vedrai”, si pizzica il naso, secondo me lo fa quando mente, ma non sono mica un detective come quelli delle serie tv, quindi cazzo ne so.
“Dove eri la notte della Vigilia di Natale?”, ripete le stesse domande da ore.
“Ero a casa dei miei nonni con i miei zii e i miei cugini, come tutti gli anni, ma questo gliel’ho già detto”, non ci voglio pensare a questa cazzo di vigilia di Natale.
Non ci voglio più pensare all’altra notte.
“Ascoltami, Ludovico, lo so che questo è un momento difficile per te, credimi, ma devi fidarti: è l’ultimo sforzo”, mentre parla non posso fare a meno di notare il pezzo di candito che le è rimasto sull’incisivo. Probabilmente nella pausa si è mangiata una fetta di panettone che ha portato quel ciccione che è entrato prima. Mi disturba, ma non riesco a fare a meno di guardarlo. Mi sono sempre chiesto cosa cazzo ci mettano a fare i canditi nei panettoni che non piacciono a nessuno. Solo Michelino se li mangia da quando lo zio Gigio gli ha fatto credere che se mangi i canditi sarai muscoloso come Batman. Lui ci è cascato come sempre e se li caccia in bocca come fossero Tic Tac.
“Dunque, eri dai tuoi nonni con gli zii e i cugini… come si è svolta la serata?”, si appunta due stronzate sul quadernetto. Secondo me non ha scritto niente che c'entri davvero con me o il resto della storia, magari un appunto per la spesa tipo “comprare uova”, così per fingere che ci sia qualcosa da segnarsi.
Gliel'ho già raccontato due volte, ma capisco che se non parlo questa tortura non finirà più. Raccolgo il fiato e l'ultimo soffio di energia che mi è rimasto.
"Io, mia sorella Laura e la mamma siamo arrivati verso le sei per dare una mano a preparare. Io ho aiutato il nonno a fare la polenta. Il papà è arrivato dopo il lavoro, per le otto, tipo. I miei cugini più piccoli e qualche zio erano già in casa ad aiutare i nonni. Giulia e i suoi sono arrivati dopo perché aveva il saggio di danza". Mentre racconto cerco di non rivisualizzare troppo le scene, se mi capita di farlo mi sento lo stomaco in un frullatore e mi viene l'urto del vomito.
"Prendi tempo, respira se ne hai bisogno, non c'è fretta" mi dice la dottoressa mentre cambia la gamba accavallata.
"Ti chiedo però di essere più preciso, e di specificare di nuovo tutti i nomi, anche se me li hai già detti". Riabbassa lo sguardo sul quadernetto e lo sfoglia.
"Va bene", dico con sforzo.
"I miei nonni sono la Adelaide e il Tino, mia mamma si chiama Anna e mio papà Marco. I cugini che erano già lì sono il Michelino, il Riccardo e la Elena, che però ha solo due anni e sta poco con noi. I loro genitori sono lo zio Gio, cioè Giovanni, e la zia Valentina. Poi c'era lo zio Gigio, che chiamiamo" sento il frullatore nella pancia "...che chiamavamo così per distinguerlo dallo zio Gio, ma si chiama, chiamava Giorgio. Lui non ha figli e stava tanto tempo con noi nipoti" mi interrompo. Mi viene da sboccare.
"Respira… I genitori di Giulia come si chiamano?" mi chiede con tono pacato la dottoressa.
"Monica e Andrea. E sono arrivati verso le nove e mezza, noi li abbiamo aspettati per la cena, ma abbiamo iniziato a fare l'aperitivo".
“E poi, come è andata avanti la serata?”, si appunta ancora qualcosa sul quadernetto e non alza nemmeno lo sguardo mentre continua il suo interrogatorio.
“Niente, solito. Sono arrivati anche la Giu e i suoi, abbiamo mangiato quello che le ho già detto e poi abbiamo iniziato a giocare ai giochi da tavolo, ma ci siamo rotti subito. Abbiamo fatto qualche partita a briscola col nonno, ma ci stava venendo sonno… Si moriva di noia e allora abbiamo chiesto allo zio Gigio di raccontarci le storie dell’orrore come aveva fatto a Halloween”, mi fermo di colpo. Una serie di immagini sfilano rapide nella mia testa. La dottoressa alza lo sguardo e abbassa gli occhiali, guardandomi come fanno gli adulti quando non capiscono cosa sta succedendo.
“Prendi pure il tempo che ti serve, non c’è fretta”, appoggia la biro dentro il quadernetto e lo chiude.
Mi punta il suo sguardo verde e inquisitore addosso. Mi prende un’ansia strana e non riesco più a pensare.
"Cosa è successo dopo? Se non perdi i pezzi e racconti tutto quello che sai è l'ultima volta che te lo chiediamo, te lo prometto", prosegue con tono rassicurante.
Respiro profondamente e riparto.
"Siamo andati tutti nella vecchia camera dello zio Gigio. Per tutti intendo noi nipoti, non tutti tutti. Nulla, lo zio ha acceso delle candele e ci siamo seduti sul pavimento" mentre racconto non sono più lí, nello studio con la dottoressa che ha i canditi sui denti, ma torno nella cameretta dello zio Gigio e mi sembra di rivivere tutto…
"Mi viene la paura se spegniamo tutto!", il Riccardo mi si attacca alla gamba tremante.
"La magia delle storie si triplica con la giusta atmosfera e per questa, fidati, servono il buio e le candele", lo rassicura lo zio Gigio appena prima di allontanare l'accendino dallo stoppino.
"Che storia ci racconti oggi zio?", il Michelino è già seduto sul pavimento, le gambe incrociate, gli occhi di chi sta per vedere qualcosa di eccezionale. “Vai avanti con quella di Halloween? Dai, zio ti prego, era una figata!”, Giulia lo dice sfregandosi le mani eccitata. “Sì, dai zio”, Riccardo rincara la dose stringendomi ancora di più la gamba.
“Va bene ragazzi, ma avete abbastanza coraggio?”. È sempre teatrale lo zio quando sta per raccontare le sue storie, ma mi piace soprattutto per questo. Nel frattempo succedono cose, le rivedo sfumate, confuse. Sento un trapano nella testa.
Lo zio inizia a raccontare la storia, la voce bassa e profonda, quasi un sussurro:
”Moltissimo tempo fa, il fabbro del paese era un uomo rude e un po’ antipatico, chiamato Giacomo il burbero, ed era solito ubriacarsi. Si riempiva di alcool come un babà e diventava intrattabile. In passato aveva avuto una sua fucina e, per un breve periodo, anche una fidanzata, ma, proprio a causa di quel suo brutto vizio, non s’era tenuto niente per più di un mese, né il lavoro, né la ragazza. Poi finisce che una sera, Giacomo è come al solito nella locanda quando incontra un tizio strano che gli dice di essere il diavolo. Dopo una lunga conversazione, il diavolo sta quasi riuscendo a impossessarsi dell’anima di Giacomo. L’uomo è ubriaco perso, ma il suo desiderio di alcool non è ancora pienamente appagato, così propone al Diavolo un affare: se il demonio si fosse trasformato in una moneta che gli permettesse un’ultima bevuta, in cambio avrebbe avuto la sua anima. Il vino intontisce anche gli uomini più intelligenti, ma l’astuzia di Giacomo non si era di certo esaurita in quei bicchieri. Il diavolo accettò e si trasformò in una moneta.Allora Giacomo ripose la moneta nel suo borsello, accanto a una croce d’argento, così che il diavolo non potesse tornare nella sua forma originaria. Il demonio scongiurò Giacomo di liberarlo e, in cambio, gli giurò che non si sarebbe preso la sua anima nei successivi dieci anni. Trascorso questo tempo, il diavolo si ripresentò. Il fabbro, tuttavia, che ne sapeva una più del suo avversario, gli chiese di cogliere una mela da un albero prima di prendersi la sua anima. Egli aveva astutamente inciso una croce sul tronco, e così aveva fregato il demonio una seconda volta. Il diavolo, anche se molto stizzito, si rese conto che avrebbe dovuto barattare: in cambio della propria libertà avrebbe risparmiato il furbetto dalla dannazione eterna. Giacomo proseguì così la sua vita da balordo, commettendo le peggio cose. Una volta morto, gli venne rifiutato l’accesso al Paradiso perché ne aveva combinate troppe. Il problema è che una volta arrivato all’inferno il diavolo lo caccia ricordandogli il patto stipulato anni prima. È così che Giacomo rimane fregato, a vagare sulla Terra da morto in eterno. Giacomo non sapeva come muoversi nel buio, così chiese al suo nemico fidato un tizzone ardente proveniente direttamente dagli inferi, intagliò una zucca cercando di replicarvi il suo ghigno malefico e usò quello strano strumento come lanterna. Da allora Giacomo non smise di vagare su questa Terra con la zucca in mano. Si dice che abbia ucciso una moltitudine di bambini e ne abbia mangiato il cuore. Egli annuncia il suo arrivo tramite la luce della zucca e il tintinnio di una campanella che porta con sè per intimorire i malcapitati. I pochi testimoni ancora vivi parlano di una risata cavernosa, quasi satanica. Giacomo non può essere ucciso da chiunque, perché è immortale, in teoria, ma alcuni narrano che verrà sulla Terra un prescelto capace di liberarlo dal patto uccidendolo e ponendo finalmente fine a tutte queste morti”.
Un bombardamento di immagini colpisce la mia memoria: rivedo, nitide e terrorizzate, tutte le facce dei miei cugini. Su quella dello zio Gigio, invece, si espande un ghigno compiaciuto, ma è la sola. Gli occhi blu di Michelino mi penetrano dentro. Risento quella sensazione di merda allo stomaco.
La voce della dottoressa mi sveglia e ritorno nel suo studio. Riprendo coscienza di essere in quel cazzo di ufficio. Non vorrei essere qui. Per un istante penso ai miei compagni di scuola: saranno tutti nelle loro case a festeggiare il Natale. Sono il solito sfigato.
“Ludovico, stai bene? Hai bisogno di un bicchiere d’acqua?”, la voce della donna vibra. Penso sia preoccupata davvero.
“No, grazie. Me ne voglio andare. La prego, non ce la faccio più!”, non lo dico deciso come vorrei, ma si sente che sono stanco.
“Lo so, Ludovico. Quando arriviamo a questo punto per te inizia sempre il peggio, però, te ne prego, tieni duro… è importante”, mi sfiora il ginocchio.
Respiro.
Mi esplode la testa.
Ho un frullatore nello stomaco, la voce dello zio Gigio in testa, gli occhi di Michele conficcati nel cervello.
Potrei sboccare, ma ingoio l’acido che mi sento in bocca, respiro e ricomincio.
“Poi stavamo tornando di là per mangiare il panettone”, continuo.
“Di là dove?”, mi chiede aprendo nuovamente il suo quadernetto del cazzo.
“In sala, con gli altri, ma poi lo zio Gigio ha fermato me e la Laura perchè gli è venuta quell’idea di merda”, di nuovo l’acido in bocca. Deglutisco ancora.
“E nulla… Io sono andato a prendere i collant della nonna e la Laura ha recuperato la zucca di Halloween che i nonni avevano sistemato in cantina e la campanella che la nonna usava per far finta che fosse arrivata Santa Lucia. Intanto lo zio Gigio si è infilato dei vecchi vestiti da lavoro del nonno. L’idea era fare uno scherzo, va bene, uno scherzo un po’ del cazzo, ma visto che gli altri erano tutti spaventati a morte… e poi lo zio Gigio faceva spesso cose così. Quando ha finito di vestirsi, gli ho passato i collant di nonna. Li ha tagliati e se ne è ficcato uno in testa: era irriconoscibile con quel naso schiacciato. Poi si è messo il cappello del nonno, ha preso in mano la campanella e la zucca che gli ha portato la Laura, ha acceso la candela dentro ed è uscito dal garage”, non riesco più a guardare la dottoressa negli occhi. Mi fisso le Timberland che sono ancora un po’ bagnate sul fondo.
Deglutisco.
Respiro.
Riprendo.
“Quando lo zio Gigio si avvicina alla finestra, alla zia Valentina è venuto un mezzo infarto, ma ha capito subito che era una delle trovate cretine di suo fratello. Alla fine lei lo conosce da sempre, lo sa che è… era uno così”. Mi esplode fuori il cuore.
Deglutisco.
Respiro.
Riprendo.
“La zia Vale sta per ridere ma si ferma. Quando il Michelino e il Riccardo lo vedono iniziano a urlare e scappano fuori dalla sala”.
“Scusami se ti interrompo, Ludovico, poi ti lascio proseguire, perdonami. Eravate tutti in sala?”, mette il tappo alla bic, anche se mi chiedo perchè visto che lo toglierà a breve.
Chiudo gli occhi e mi ripeto in testa quello che ci siamo detti.
“No, lo zio Gio, cioè lo zio Giovanni, il papà del Michele, del Riccardo e della Elena, non c’era, era in bagno”, riapro gli occhi, “vado avanti”.
L’ultimo sforzo Ludo.
“Niente, dicevo che allora lo zio Gigio è entrato in casa e, scuotendo continuamente la campanella, ha iniziato a chiamare i miei cuginetti per nome… Faceva una di quelle voci gutturali che sa fare lui e li chiamava. Aveva anche spento le luci per spaventarli di più. Noi guardavamo dalla porta della sala, lui era nell’anticamera con la luce spenta. Faceva davvero spavento, soprattutto con la luce che usciva dalla zucca riflessa sull’albero. Le lucine di Natale lo illuminavano abbastanza da far vedere la sua figura, ma non abbastanza da far capire che era lo zio Gigio e poi”, richiudo gli occhi. Cerco le esatte parole. Non sbagliarne una, cazzo. Ludo, stai concentrato. L’hai promesso. Anzi, peggio l’hai giurato.
“...e poi si è accesa la luce e abbiamo visto lo zio Gio con in mano il fucile del nonno”, un’immagine precisa mi si apre nella testa: vedo il Michelino, sulle scale, che punta il fucile verso lo zio. Dietro di lui il Riccardo che urla cose che ora non ricordo proprio.
“Noi abbiamo urlato che era tutto uno scherzo, ma lo zio aveva già sparato. Poi non ricordo niente, se non lo zio Gigio per terra, sul pavimento, e una macchia di sangue che si espande sempre di più. Ho visto appena la sua faccia praticamente esplosa perchè poi ho vomitato e i miei mi hanno portato via, poi c’è solo un gran casino… Non so dirle altro, dottoressa”. Lo stomaco, la testa, le mie viscere sono un tutt’uno. Sento una morsa dentro, che mi stringe. Ho il cuore che mi pulsa fortissimo nelle tempie.
Rivedo lo zio Gio e la zia Valentina che urlano, risento Michelino che grida gioioso, inconsapevole: “Sono il prescelto! Sono il prescelto! Ho ucciso Giacomo il burbero”. Rivedo mia nonna stordita da quel frastuono, mia madre che scuote mio nonno e gli domanda cosa cazzo ci facesse un fucile carico in camera sua.
Poi buio.
Di nuovo noi in sala, con il cadavere dello zio di là, a qualche metro di distanza. Lo zio Gio che piange ma ci spiega che c’è una sola cosa da fare e ci fa giurare uno a uno che questa sarà la nostra versione.
“Non ricordo altro, dopo mio zio Giovanni che, scambiando suo cognato per un ladro, gli spara in faccia”.
“Grazie, Ludovico… mi rendo conto che per te sia davvero difficile. Siamo a posto così”, chiude, spero per sempre, quel suo quadernetto del cazzo e mi accompagna alla porta.
Dalla strada sento qualcuno che canta, stonato,
We Wish You a Merry Christmas e io mi sento uno schifo.
Ho ancora gli occhi blu di mio cugino Michele piantati in testa.
Edited by Shanghai Kid - 30/11/2021, 15:37