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Skannatoio Giugno 2022, Born in blood 2: the retourn

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shanda06
view post Posted on 10/6/2022, 07:45 by: shanda06

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LA STANZA SIGILLATA

Di Alexandra Fischer

Racc. min 5000 car max 35000

Specifiche
Tema scritto con il sangue (scritta o disegno volontari)


Specifiche facoltative

Venuto al mondo (nascita vera e propria)

Sennò, dov’è il bello? (il sangue deve essere umano)

Il ritorno (un elemento, luogo, personaggio o frase di inizio storia deve tornare nel finale)


La donna portava una tunica grigia con una cintura alla quale era appeso un grimaldello. Si fermò di scatto di fronte alla colonna di legno bianco ornata a motivi di pesci azzurri. «Esci subito di lì.»
Una figuretta esile le obbedì: indossava una tuta piena di tasche ricamate e teneva le mani dietro la schiena.
La donna più anziana si girò verso di lei e annusò nella sua direzione: «Non credere che solo perché sono cieca non sia in grado di trovare gli intrusi.»
La ragazzina dominò la paura di quegli occhi dalle pupille bianche fissi nei suoi; strinse il coltello, fece un respiro e le spiegò: «Io non lo sono. Mi trovo qui per entrare nella Stanza Sigillata.»
La donna rise a gola spiegata, tirando indietro la testa: «Sapessi in quante ci hanno provato prima di te. Io sono una delle fortunate a essermela cavata.»
La ragazzina ribatté: «Non so i motivi delle altre, ma io devo riportare il suo occupante al mio villaggio. Stanno succedendo guai a non finire. Abbiamo perso l’ultimo raccolto e ci restano le sementi per l’anno prossimo. Il bestiame è fuggito e la gente ha cominciato a uccidersi a vicenda. Sono stata costretta a fuggire dopo aver origliato una discussione fra i miei genitori e i miei fratelli. Mi hanno chiamata mostro alato e volevano uccidermi. Così sono passata dall’Oracolo ed eccomi qui.»
La donna sibilò: «Ho vissuto qualcosa del genere prima di te. Si chiama Alito di Follia, ma questo non prova il fatto che potresti mentire».
Nandèra si indignò: «Che motivo avrei?»
La donna usò un tono triste: «Tenere per te il potere racchiuso nella Stanza Sigillata, è una tentazione che ho avuto anch’io.»
Nandèra ricorse all’autocontrollo: «Io voglio servire il villaggio. Passo la maggior parte del tempo con l’Oracolo, anche se ricevo offerte e visite da parenti e amici. No, ricevevo.»
La donna mugugnò soddisfatta: «Questo lo sa solo la Fanciulla dell’Oracolo. Avvicinati.»
La donna le tastò i capelli raccolti in una treccia, la tuta ricamata: «Uhm, è la moda di Vyvernio, da dove vengo pure io.»
La ragazzina le domandò: «E allora perché siete vestita così, Madre Soave? Come mai avete una cuffia che vi aderisce alla testa?»
La donna ritirò le mani e rise ancora più forte scoprendo una fila rada di denti ingialliti: «Addirittura le espressioni di cortesia. Ma chiamami pure Hàzula», si lisciò la veste. «Quanto a questo vestito, beh, fa parte del mio incarico, ma non ho avuto modo di vederlo. Tu come ti chiami?»
La ragazzina esitò: «Non posso dirlo», sentiva il sangue martellarle le tempie al ricordo delle istruzioni dell’Oracolo del villaggio. Un vento gelido si era levato dalla statua di metallo crepata in più punti e uno spirito ne era uscito fuori, identico alla statua.
Nandèra, molti vorranno sapere chi sei, ma tu devi tacerlo, altrimenti l’Alito della Follia ti seguirà.
Hàzula le sussurrò: «Ah, le credenze di Vyvernio. Mai dire il proprio nome a chi ha visto gli spiriti, o gli dèi. D’accordo, allora per me sarai la Piccola. Avanti, ti porto davanti alla Stanza Sigillata e poi dovrai cavartela da te.» Le fece cenno di seguirla lungo una fila di porte chiuse fatte di lastre trasparenti. Nandèra le osservò con la coda dell’occhio: c’era una sfilza di guerrieri dalle armature di metallo rosso congelati in gesti di combattimento, una spada sollevata, una fromboliera rimasta a mezz’aria, una freccia incoccata che non avrebbe mai raggiunto il bersaglio. I volti contratti nello spasmo e coperti di sudore le fecero escludere l’ipotesi di statue e la presenza di serrature nelle porte glielo confermò.
Hazùla si accorse della sua curiosità: «Ebbene sì. Faccio la carceriera di questi guerrieri. Sono finiti così per colpa mia. Tentai di farsi aiutare da loro per forzare la porta. La casta sacerdotale ci fece punire come vedi», il volto si contrasse nell’espressione di chi si ricorda di colpo di una questione urgente. «A proposito, non ti ha fermata alcun sacerdote, vero?»
Nandèra ricordò la propria entrata nella costruzione ad arco, la corsa precipitosa lungo gli scalini di basalto e le molte stanze aperte, dalle porte di legno profumato. C’erano uomini e donne seduti a occhi chiusi su cuscini posti nel mezzo di stanze arredate con tavolini e incensieri. Lei stessa era rimasta stordita da quegli effluvi ma era proseguita tastoni lungo le stanze affrescate con il motivo dell’Oracolo: un bambino dalla testa rasata, la carnagione azzurra e gli occhi bianchi vestito con una tunica dalle maniche larghe decorata con un pesce blu scuro dalle ali di farfalla. Pareva correre lungo le pareti e incoraggiarla a proseguire.
Hàzula la riprese: «Ho capito, vuoi nascondermi qualcosa.»
Nandèra si affrettò a replicare: «No, ho visto il corpo sacerdotale immerso nella meditazione.»
Hàzula si fregò le mani. «Meno male. Vuol dire che il tuo arrivo è servito a qualcosa. Li hai fermati prima che la follia dilagasse presso di loro.»
Nandèra la guardò incuriosita: «Come? Io non ho poteri.»
Hàzula annuì: «L’innocenza lo è. Eccoci arrivate.»
Nandèra si avvicinò alla porta di legno blu rivestita di mattonelle bianche decorate a motivi di farfalle dalle ali cristalline e i corpi squamosi. Notò che solo una mattonella era rimasta bianca e si trovava là dove ci sarebbe dovuta essere la serratura. Un odore di selvatico filtrava dalla porta seguito da una serie di pianti. Esitò.
Hàzula le diede uno spintone. «Avanti. Fai quello che devi. Quella porta non si aprirà da sola.»
Nandèra la sentì allontanarsi con un tintinnio di grimaldelli ma rimase impassibile. La prova riguardava solo lei: tirò fuori il coltello e si tagliò il palmo sinistro, lo appoggiò alla mattonella, che lo assorbì dopo che lei ebbe scritto il proprio nome.
La parete scorse via e Nandèra entrò nella Stanza Sigillata orientandosi grazie alla luce proveniente da una finestra circolare nel soffitto. La trovò simile a quella lasciata nel villaggio: pareti rivestite di legno marrone scuro, una predella, un tavolino sul quale era disteso l’Oracolo bambino, solo che in questo caso si trattava di una creatura in carne e ossa, proprio come l’animale che ornava il petto della statua.
La creatura aveva la bocca sporca di sangue e una luce gelida negli occhi. Volò verso di lei.
Nandèra si girò verso il riquadro della stanza, rimpiangendo di essere sola. Aveva svolto tutto secondo le istruzioni incise sulle lastre del pavimento della Casa dell’Oracolo. Si girò di scatto quando si sentì sfiorare la testa dalle ali gelide di farfalla. Il pesce le si parò di fronte agitando le ali grandi come la mano di un uomo e avevano movimenti ipnotici. Nandèra abbassò lo sguardo e vide comparire sul pavimento le stesse lastre del villaggio con le istruzioni. Sentì un rumore di passi alle sue spalle, ma non osò voltarsi. Lo fece solo quando una mano la indusse a farlo. Si ritrovò a fissare il volto olivastro e gli occhi dorati dell’Oracolo bambino, il quale le sorrise: «Grazie per avermi aiutato a nascere.» Aveva una chioma biondo platino fermata da uno spillone di metallo nero ornato da un minuscolo pesce ad ali spiegate.
Nandèra ripensò alle ultime lastre sulle quali aveva meditato. La illuminarono sull’accaduto: era nato un nuovo Oracolo perché quello vecchio si era indebolito.
Nandèra piegò la schiena per omaggiarlo e vide la creatura pesce volargli in circolo intorno alla testa.
Distolse lo sguardo.
L’Oracolo bambino se ne accorse: «Apprezzo il tuo rispetto. Posso dirti che di qui in avanti ci sarà un’epoca di benessere grazie a te. Torna al villaggio e ti io aspetterò. Certo, non con questo aspetto», le toccò il palmo ferito. Nandèra sentì la ferita rimarginarsi e quando lui ritirò la mano si guardò il palmo, tornato integro.
L’Oracolo bambino le tese la mano: «Il coltello.»
Lei glielo consegnò, lui si sfilò lo spillone dal capo e lasciò ricadere i capelli.
Nandèra lo prese.
L’Oracolo bambino le indicò la porta: «Ora va.»
La ragazzina uscì e udì la parete richiudersi dietro di lei. Si mise lo spillone fra i capelli e corse nel corridoio e sentì la voce di Hàzula, più giovanile. «Ci vedo.»
Corse verso di lei e la vide, sempre in grembiule ma senza più il grimaldello. Hàzula l’abbracciò: «Ce l’hai fatta.»
Nandèra sentì le porte aprirsi e i passi dei guerrieri che si allontanavano ridendo lungo il corridoio dalle pareti ornate con la nuova effigie dell’Oracolo bambino.
Hàzula la prese per mano e la condusse al cospetto dei sacerdoti assiepatisi intorno all’uscita del palazzo. Il più anziano di loro le sorrise e la toccò in fronte.
Nandèra si risvegliò nel tempio di Vyvernio sotto il sorriso della statua intatta dell’Oracolo bambino.
 
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