Ciao amici. Ecco il mio piccolo contributo. Ambisco a tutti i bonus! Buona lettura!
L'oracolo di Halloween«Ma che roba è?» Nino si avvicina al computer di suo fratello Edo.
«Aspetta.» Edo si gira verso la porta. «Meglio chiudere, altrimenti qui entrano i soliti spioni.» Si ferma sulla soglia, lancia un’occhiata fuori dalla stanza e chiude: il frastuono della musica e del vociare dei ragazzi in salotto si attenua. «Bene. Adesso vediamo.»
Nino si volta a fissare lo schermo. L’animazione 3d mostra una piramide a gradoni, del tipo babilonese, con accanto una statua di uno strano animale col corpo di toro, le ali d'uccello e il viso umano. La statua regge in mano una lunga lapide con scritte piccolissime illuminate da una torcia infuocata. «Che c’è scritto? Non farmelo leggere tutto.»
Suo fratello si accarezza i peli ispidi della barba. «Sarebbe una specie di oracolo. Predice cosa ti succederà a Natale.» Mugugna. «Dice che le profezie si avverano sempre, ma che possono essere molto belle come terribili, e ti sfida a continuare.»
Nino scuote la testa. «Ma... cos’è, un sito internet?»
Edo stringe le labbra e schiocca la lingua. «A me sembra un applicativo web scritto con Unreal Engine, forse versione XI.»
«Dai. Non capisco niente di quella roba. Voglio sapere se l’hai trovato nel deep web.»
«Sì, sì, è il deep web.»
«Ah!» Sghignazza. «Vedrai quando dico alla mamma che vai di nuovo nei siti proibiti.»
«Provaci e ti butto fuori a calci. Se vuoi restare, non rompere. Ok?»
«Comunque...» Nino si aggiusta le corna di cartapesta: quegli affari non vogliono saperne di restare dritti. «Un sito che ti predice come sarà il Natale è proprio inutile; tanto sarà come ogni anno una palla mostruosa, con la mamma che litiga con la zia e tu che cerchi di farla ragionare.»
«No, io non ci sono a Natale.»
«Cosa?»
«Vado dalla Betty.» Ammicca. «Visto che da quando sono all’uni ci vediamo poco, mi ha invitato a casa sua. La mamma è d’accordo.»
Nino sbuffa. «Insomma quest’anno dovrò beccarmi tutto lo schifo da solo.»
«Smettila. A Natale si sta con la famiglia, è normale, no?»
«E tu, allora?»
La porta si spalanca, la musica scadente irrompe nella stanza. Entra un ragazzo vestito da Charlie Chaplin (con bombetta, testa ricciuta, baffetti e tutto il resto), assieme a una ragazza con delle finte orecchie appuntite.
Nino mette le mani avanti. «No, non entrate.»
Edo sospira. «Ormai il danno è fatto.» Indica la serratura della porta. «Gege, chiudi a chiave, per piacere. Non voglio che altri coglioncelli entrino qui.»
Charlie Chaplin scrolla le spalle. «Edo, sei proprio uno str-»
«Muoviti!»
Gege chiude la porta e Linda, col suo costume da elfa, si avvicina al pc.
Nino ha un tuffo al cuore. «Ciao Lin.»
Vestita a quel modo Linda sembra davvero una creatura celestiale. Occhi azzurri, capelli che paiono di seta, corpo sottile ma con curve abbondanti. Gli accarezza una spalla. «Gli Ainur hanno voluto che ci incontrassimo ancora, Balrog di Morgoth.» Nino sorride e annuisce, le sue corna di cartapesta oscillano pericolosamente. La ragazza si volta verso Edo. «Com’è che tu non sei vestito da niente?»
«Tutte boiate queste feste da americani.»
Nino ride. «Parli come il nonno. Sei proprio vecchio.»
«Guarda che dopo ti prendo a sberle.»
Gege raggiunge il gruppetto, si toglie il cappello e si inchina. «Sono oltremodo onorato di unirmi alla vostra compagnia, illustri gentlemen.»
Edo sbuffa. «Quello faceva film muti, quindi o rimani zitto anche tu oppure te ne vai.»
Linda si siede sul letto, Gege trascina una sedia e si mette dietro gli altri due. «Cos’è? Un gioco?»
Nino indica il fratello. «L’ha trovato Edo. Dovrebbe essere un sito che ti predice il futuro.»
«Fighissima la statua!»
Edo grugnisce. «Sì, sì, vero, grazie. Ma adesso silenzio. Ok? Se volete provare bene, altrimenti rimanete a guardare zitti.»
Muove il mouse su un lastrone di pietra col simbolo di un triangolo. Clicca.
La testa della statua si muove a fissarli oltre lo schermo. Nessuno fiata.
Una voce da baritono esce dalle casse del pc: «Ai tempi del regno di Ashur, l’Oracolo delle Lacrime prediceva il futuro ai mortali al prezzo di un pegno del loro sangue. Un giorno un uomo cercò con l’inganno di offrire il sangue di un capro, anziché il proprio. Le ombre non gradirono l’offesa.» Pausa, la luce delle torce aumenta. «Gli venne predetto che entro un anno avrebbe dominato dodicimila uomini. L’uomo visse dissoluto in attesa che la profezia si avverasse: incrementò le sue ricchezze, uccise e rubò più del solito. Mancando un solo giorno allo scadere dell’anno, aveva denaro sufficiente a comprare appena cento schiavi. Vagò nella notte di luna piena ad aspettare che il potere tanto agognato arrivasse, ma venne una tempesta e un fulmine lo uccise. Venne sepolto nella tomba di famiglia, la tomba più bella, in un cimitero con dodicimila lapidi.»
Nino sospira. «Che stupidaggine.»
La voce rimbomba nelle casse. «Scrivi il tuo nome e interroga la sorte.»
La lastra di pietra si muove a coprire il corpo da toro della statua. Un cursore lampeggia su un campo libero, con la didascalia
Nome e Cognome, luogo di nascita, data di nascita.
Edo sorride. «Ho capito. Qualche mona ha fatto questo sito per raccogliere illegalmente dati personali. Adesso metto un nome finto e vediamo.» Batte sulla tastiera e inserisce: “Pretoriano Bianco, Rocca di Montefeltro, 21/12/1990”.
Gege sghignazza. «Ma che nome hai messo?»
Nino si piega dalle risate. Un corno si stacca dalla testa, lo rimette a posto sperando che Linda non se ne accorga.
La voce della statua si fa più minacciosa. «Non prenderla alla leggera, straniero.» Il nome falso sulla lapide scompare. «Ricorda quanto accaduto al viaggiatore disonesto di Ashur.»
Il respiro di Nino si spezza, smette di dondolarsi dalla sedia. «Edo-»
«Taci.» Annuisce. «Ok, chiunque abbia programmato questo coso sa il fatto suo. Probabilmente ha già un database anagrafico dell’Italia e controlla che il nome che inserisci sia giusto. D’altronde il sito dell’ISTAT è facilissimo da sfondare.»
Linda si alza in piedi. «Non ci hai mica mai provato, vero?»
«Un mio compagno all’università dice di sì.» Si appoggia allo schienale della sedia. «Ma a Informatica gira gente strana.»
Gege si sfrega le mani. «Riproviamo?»
«Va bene.» Scrive: “Edoardo Francescon, Spilimbergo, 09/06/1999”.
La lapide scompare. La luce delle torce si spegne. Rimangono solo un bel cielo stellato con la sagoma della piramide. La voce enuncia: «A Natale riceverai in dono un gioiello d’oro.»
Linda sorride. «Bello! Magari succedesse a me.»
«In effetti è una predizione più adatta a te che a me.» Edo scuote la testa. «Che cagata.»
Le torce si riaccendono e la pietra col cursore è libera, in attesa di un nuovo nome.
«Posso provare?» La ragazza si sporge in avanti per scrivere alla tastiera. Nino assapora il suo profumo di shampoo al gelsomino, vorrebbe di affondare il naso tra i suoi capelli.
“Linda Furlan, Spilimbergo, 06/09/2006”
L’animazione si fa di nuovo buia, fino a quando la voce declama: «A Natale, troverai un amico che ti sarà sempre fedele.»
Linda inclina la testa sulla spalla, la punta dell’orecchio finto per poco non sfiora le labbra di Nino. «Ok, non male dai. Un amico in più è sempre una bella cosa.»
Gege afferra la tastiera con scatto felino.
Edo sbuffa. «Fa' piano, cretino.»
Le dita battono febbrili i tasti: “Gregorio Rovedo, Spilimbergo, 02/10/2006”. La voce non tarda a rombare dalle casse: «A Natale perderai molto sangue.»
Il ragazzo grugnisce. «Eddai.»
Tutti ridono. Un corno si stacca di nuovo dalla testa di Nino. Lo raccoglie e preme con forza nel suo supporto di ferro. Tocca a lui. “Giovanni Francescon, Spilimbergo, 10/01/2006”. «Entro le ore 24:00 del giorno di Natale, un tuo parente stretto morirà.»
Edo si tocca in mezzo alle gambe. «No, che palle.» Chiude la finestra del browser, il sito web scompare per lasciare spazio al desktop con la cascata di lettere e numeri verdi dal film di Matrix.
«Potevi aspettare ancora un momento, no?» Nino sbatte una mano sulla scrivania. «Non dirmi mica che ci credi!»
«Comunque queste cose portano sfiga.» Si alza in piedi. «Adesso basta, andate tutti fuori dalla mia camera. E fate meno casino, in salotto.»
Nino scarta il pacchetto regalo color crema e ne estrae un maglione di lana. Si sforza di sorridere nel modo più sincero. «Grazie zia.»
Zia Maria allarga la bocca da un orecchio all’altro, il sorriso le attraversa le guance cascanti e trasforma la sua faccia in un culo orizzontale. «Sono contenta che ti piaccia. La lana è di cachemire, calda e morbida.»
«Uao!» La mamma giunge portando sul tavolo un vassoio di patate arrosto, i suoi mille braccialetti suonano come i sonagli della slitta di Babbo Natale. «Il cachemire, ma quanto hai speso? Grazie.»
Nino getta il maglione su una sedia libera e lancia un’occhiata al nonno. La faccia rugosa gli fa l’occhiolino. «Bella roba, un maglione a uno della sua età. Per te era meglio il regalo che mi ha fatto tuo fratello l’anno scorso.»
Il papà ridacchia, la sua pancia oversize fa scricchiolare la fibbia della cintura. «Mi ricordo, che regalo toccante!»
La zia gira gli occhi marroni verso il papà. «Che cosa gli ha regalato?»
«Non te lo ricordi?»
«Chiedilo a me.» Il nonno si batte l’indice al petto. «Un abbonamento triennale a Penthouse! Con account web a profilazione anonima. Questa è roba utile.»
La zia si trasforma in una statua di sale, il suo viso sbuffa vapore bollente, come la testa di Majin Bu. Nino scoppia a ridere.
«Basta!» La mamma appoggia la teglia con verze e costine di maiale sul tavolo. «Proprio un esempio educativo, grazie papà.»
«Ma dai, far finta che al giorno d’oggi a quindici anni non si sappiano certe cose è ipocrisia.» Fa l’occhiolino a Nino, che si affretta ad abbassare lo sguardo. Si infila una cucchiaiata di brovada in bocca, l’aspro sapore delle rape macerate nella vinaccia è come un pugno sul naso. Edo gli dice sempre che se non la mangia non diventerà mai uomo.
«Dov’è la polenta?» Il nonno agita in aria un cucchiaio di legno come fosse la spada Excalibur. «Angela!»
La mamma fa capolino dalla cucina. «Non ho avuto tempo di farla, scusa. Se vuoi faccio adesso quella istantanea.»
Il nonno batte i pugni sul tavolo. «Ma che schifo, che schifo!»
La zia alza gli occhi al cielo. «Dai, guarda quanta roba che ti ha preparato. Ha fatto anche lo stinco di maiale, che ti piace.»
«Ma… con cosa lo mangio?» Stritola la tovaglia come se potesse spremerne fuori la polenta mancante.
Lo smartphone vibra nella tasca di Nino. Tuffo al cuore, un messaggio da Linda: “Guarda cosa mi ha portato quest’anno Babbo Natale”. Su whatsapp la foto della ragazza con in braccio un cagnolino. Il suo sorriso è perfetto, quant’è bella. Il cucciolo è di San Bernardo, pare un Beethovenino. Nino sospira: si immagina di stare con Linda davanti al fuoco del salotto, coi loro bambini che giocano e il cane dal pelo lungo adagiato sul tappeto.
“La profezia era giusta, lui sarà un amico fedele!” Nino legge il messaggio diverse volte, e scuote la testa. Solo una coincidenza. Risponde con tanti cuoricini e rimette il telefono in tasca.
«Giovannino.» Il faccione della mamma gli lancia sguardi da far impallidire Dracula. «Non usare il telefono a tavola.»
Nino sbuffa, una parolaccia gli si ferma tra i denti.
La mamma si siede a tavola, affonda una forchetta a raccogliere un po’ di verze. Fa per mettersela in bocca, ma viene interrotta dalla suoneria del suo cellulare: l’Alleluia di Haendel.
Il papà posa il coltello sul piatto. «Ma possibil' mai? Sempre con 'sti telefoni.»
«Spetta, è Edoardo.» Ci vogliono un paio di tentativi, ma alla fine la mamma riesce a trascinare il dito sullo schermo nel modo giusto e accettare la chiamata. «Ciao tesoro!»
«Salutalo!» Urla la zia con tono stizzito, di sicuro non le va giù che Edo a Natale sia dalla morosa.
«No... che bello!» La mamma ha un sorriso a trentadue denti. «Si sono regalati l’anello!»
«Cosa?» Il nonno si risveglia dal suo torpore. «Hanno fatto cosa?»
Nino si alza in piedi e tende la mano. «Passamelo!» La mamma non smette di annuire al vuoto col telefono attaccato all’orecchio.
«Mamma!»
«Va bene!» Allunga la mano di scatto, il clangore dei mille braccialetti è come lo sferragliare di un treno. Nino afferra lo smartphone. «Edo!»
“Che vuoi tu? Passami la mamma.”
«Che vuol dire che vi siete regalati l’anello?»
“Mannò, ha fatto tutto la Betty. Sono solo le fedine di fidanzamento, sono più sottili, non come le fedi matrimoniali.”
«Adesso mi viene il diabete. Però... pensavo...»
“Cosa?”
«Alla Linda hanno regalato un cane.»
Silenzio. “Ah. La profezia di Halloween...”
«Sì.» sospira. «Meglio se chiamo Gege.»
“Poi fammi sapere!”
Nino restituisce lo smartphone alla mamma. Guarda suo padre: le sue labbra sono strette in un ghigno, la testa pelata riluccica di piccole gocce di sudore causate dal riscaldamento troppo alto. «Tutto ok?»
Nino annuisce. Respira, l'odore della brovada gli riempie i polmoni. Si alza e spinge indietro la sedia.
Il papà raddrizza la schiena. «Dai, basta, mangiamo sì o no?»
«Solo un attimo.» Prende il cellulare e chiama Gege, l'altro risponde dopo pochi squilli. "Ciao! Buon Natale."
«Ehi, come stai?»
"Bene, perché?"
«Pensavo… non ti è capitato nulla di male? »
“Alludi a quella stupidaggine della profezia di Halloween?”
Nino sospira. «Scusa… lascia stare.»
"Sei un cretino, dai sentiamoci dopo, che se il pasticcio si raffredda mia madre mi ammazza."
Mette giù. Nino torna a tavola, tira la sedia, la mano gli trema un po'.
«Tutto bene?»
«Sì, sì, papà.»
«Ma lascialo stare.» Il nonno sbocconcella una costina di maiale, un po' di sugo gli cola dalla bocca. «Fatti i cazzi tuoi, Franco.»
Il papà sbuffa. «Ma va' in mona.»
«Franco, papà!» La mamma si copre gli occhi con la mano. «Almeno a Natale, per piacere.»
Nino mangia senza gusto, persino la verza cotta in aceto va giù senza fargli venire da vomitare. Il cuore gli dà calci in petto. Qual è la probabilità che si verifichino due coincidenze insieme?
Il pranzo va avanti in silenzio, rotto solo dalle chiacchere tra la mamma e la zia sulla bruttezza della pelliccia che la moglie del sindaco indossava alla messa del mattino. Alla volta del dolce, strudel profumato di cannella, il nonno si alza. «Angela, vado sul mio divano. Portami tutto lì, e anche un bicchierino di Slivovitz.»
«Sentilo.» Il papà sbuffa. «Il suo divano.»
Nino si alza e aiuta a sparecchiare. I suoi gesti sono meccanici, il pensiero altrove. Tra un piatto e l’altro, la mano tasta il telefono nella tasca, lo controlla, in attesa di qualcosa.
«Nino!» Il nonno agita la mano nella sua direzione. «Di’ a tua madre che mi porti la grappa.»
Dalla cucina, le voci si alzano. «Perché non vuoi fare il vaccino?» Sbraita la zia. «Ma scherzi?»
La voce della mamma. «Quella roba nel mio corpo non la voglio!»
«Te la prendi senza discutere! Vuoi che ti venga il covid? E non pensi a quelli che ti stanno attorno?»
Iniziano a litigare parlando in friulano. Nino sospira: se usano la loro lingua allora è una cosa seria.
Il nonno urla. «Il mio slivovitz! Non fatemi bestemmiare a Natale! E basta con le boiate sul coronavirus! Maria! Slivovitz!» Si allunga verso i soprammobili sul caminetto, aggrappa una piccola campanella e la suona dandoci dentro come un indemoniato.
La zia esce dalla cucina e viene verso il salotto, i suoi tacchi battono sul pavimento come un martello pneumatico. Regge un piccolo bicchiere colmo fino all’orlo di liquore trasparente. «Basta far confusione. To’, non soffocarti.»
Nino sospira, ogni anno la stessa storia. Cerca con lo sguardo di suo padre, ma non lo trova. Dev’essere scappato a fumare il suo toscano.
La tasca vibra: un messaggio. Le dita di Nino scavano nei pantaloni, quasi strappano la stoffa. Il messaggio è di Gege. Apre whatsapp e smette di respirare.
“Guarda cosa mi sono fatto con l'affettatrice.”
Il dito nella foto è solcato da un’enorme taglio, i lembi della ferita paiono le labbra insanguinate di un vampiro.
“Sono in ospedale, mi fanno i punti. La profezia era vera
“
Nino rimane a fissare un punto imprecisato tra la spalla del nonno e la brutta riproduzione dei girasoli di Van Gogh attaccata alla parete. Cerca di controllare il respiro, ma si accorge che l’aria non basta.
Corre fuori, sulla veranda. La brezza gelida gli entra nei vestiti e gli accarezza il petto con una mano ghiacciata. Prende un respiro profondo, ma tossisce: l’aria puzza di sigaro. «Papà?»
Pochi metri più in là, suo padre prende una boccata di fumo. Scrolla la cenere con uno scatto delle dita. «Cos’hai oggi? Sei strano, durante il pranzo sei sempre stato zitto.» La brace del sigaro luccica come un occhio ferino. «Sei arrabbiato per tuo fratello?»
Nino alza le sopracciglia. «Per cosa?»
«Perché non ha pranzato con noi.» Sorride. «State crescendo. So che presto dovrò beccarmi il Natale con tua zia e tuo nonno da solo, senza nemmeno te, ad aiutarmi.» Aspira un po’ di fumo e lo risputa fuori. «Poi mi ritroverò solo con tua madre, e i vecchi saremo noi. Chissà, se tu o tuo fratello ci inviterete mai a pranzo, un domani.» Ammicca. «Passa il tempo, veloce che nemmeno ce se ne accorge.»
Nino, non sa perché, ha le lacrime agli occhi. «Papà, ovvio che ti inviterò a pranzo, se mai mi sposerò.»
«Certo.» Sorride. «Dai, torna dentro, che ti becchi una polmonite.»
«Ok.»
«Scusa per il discorso un po’ così.» Alza le spalle. «Non so, una strana sensazione, come se il tempo fosse sempre meno.»
Nino si irrigidisce. Un brivido gli corre lungo la spina dorsale. Rientra in casa, prende il telefono e compone il numero di Edo.
“Wind, messaggio gratuito…” Butta giù. Il telefono del fratello è spento, che si sia dimenticato di caricarlo? Magari non ha portato il caricabatterie. Ci sarebbe il numero di Betty, ma… ha senso chiamarla? Non è che la sta facendo più grande di quello che è?
«Mona!» Il nonno lo chiama dal salotto. «Vieni un momento.»
Nino trascina i piedi fino al divano. Il viso rugoso del nonno pare fatto di carta appallottolata e poi stiracchiata alla bell'e meglio. Ha gli occhi azzurri, come quelli della mamma. Nino lo sa da sempre, ma è come se se ne accorgesse solo in quel momento. «Tutto bene nonno? Vuoi qualcosa?»
«Passare un po’ di tempo con te, hai impegni?»
Scuote la testa.
«Bene.» Il nonno si impettisce. «Come va a donne?»
«Cosa?»
«Hai quindici anni, no?»
«Sì. E tu? Ottantuno, vero?»
«Ne ho troppi. Scolta, non c’era quella ragazza lì, quella bellina... Linda?»
«Sì.»
«Quella, quella è giusta per te. Vai con quella.»
Nino sorride. Le lacrime gli gonfiano gli occhi. «Sai tutto, tu!»
Quanti sono passati dalla loro ultima partita di briscola? Lui era ancora un bambino piccolo. Il nonno si teneva gli assi da parte, e poi glieli dava da prendere appena poteva. Le partite finivano sempre con punteggi sbilanciati, almeno cento a dieci, o giù di lì. Lo faceva sempre vincere, perché voleva vederlo felice.
«Ti voglio bene, nonno.»
Il nonno alza le sopracciglia, le labbra gli tremano. «A-anche io.» Si asciuga una lacrima. «Ah! Nino, prometti che non diventerai vecchio.»
Ridono.
«Papà!» La zia corre fuori dalla cucina, regge in mano il giaccone. «Dai, andiamo a casa. Si è fatto tardi.»
«Ma che tardi! Saranno appena le cinque.»
«Su, che fa freddo e abbiamo da camminare un po’ per arrivare alla macchina.»
Il nonno appoggia i pugni sul divano, fa per alzarsi.
Nino si avvicina alla zia. «Per piacere.» Sospira. «Restate ancora un po’.»
Lei lo guarda, la faccia gonfia come quella di una rana. «Giovannino, tutto ok?»
Nino la fissa negli occhi, uguali a quelli di sua madre. Anche i capelli ondulati, tinti, con la ricrescita grigia in cima, sono proprio come quelli di sua madre. Sono sorelle. Chissà perché non ci aveva mai riflettuto prima. «Tutto ok.» Le si avvicina. L’abbraccia, il cardigan che indossa puzza di sudore e di fritto. «Grazie per il maglione, vedrai che lo metto.»
La zia esita, poi ricambia la stretta. «Certo.»
Si allontana e indossa il cappotto. Aiuta il nonno a indossare il suo.
Salutano. Passano dalla veranda, borbottano qualcosa al papà, sempre fermo a fumare con lo sguardo nel vuoto, e spariscono lungo il viale mal illuminato. Nino li fissa allontanarsi, in silenzio.
Siede vicino all’albero di Natale. Edo ancora non risponde al telefono. Betty dice che è partito da un bel po’. La mamma non è preoccupata, ma non sa niente della profezia, Nino non ha avuto il coraggio di dirglielo. Le luci dell’albero illuminano la stanza con colori sbagliati: verde, rosso, blu. Ad ogni riflesso sembra che il salotto penetri in un universo parallelo, dove esiste un solo colore alla volta.
Nino respira a fatica. I polmoni non vogliono saperne di assorbire l’ossigeno. Forse, se trattenesse il fiato fino a soffocare, allora la profezia si accontenterebbe della sua morte e non prenderebbe nessuno della famiglia. Ma sa che non funzionerebbe. La mamma, il papà, il nonno, la zia, o Edo. Uno di loro deve morire.
Nino si stringe le ginocchia al petto. Il viso solcato dalle lacrime. I genitori dormono, ormai. Non può accadergli nulla, a letto. O almeno spera. La zia e il nonno sono arrivati a casa da un bel po’. Ormai dormiranno anche loro.
Edo, però, ancora non c’è. Lui non risponde. Lui non è al sicuro.
E se avesse fatto un incidente? Se fosse caduto in un fosso, imprigionato tra lamiere infuocate? Di lui avrebbero ritrovato solo il cadavere cotto a puntino.
Gli viene da vomitare. Brividi. Si asciuga le lacrime.
Rumore di chiavi che girano nella serratura, la luce si accende. Nino si sveglia, fissa la porta dell’ingresso. Suo fratello sbuffa e lancia il cappotto sul divano. «Sei qui! Sei rimasto ad aspettarmi, mi fai commuovere.» Gli lancia un sorriso obliquo.
Edo si alza. Stringe i pugni, e lo abbraccia così forte che le loro costole scricchiolano le une sulle altre.
«Piano, mi soffochi!»
«Edo! Ero preoccupato. Dov’eri?»
«Dopo il pranzo dalla Betty sono andato da Canderan. C’erano anche Cibin e Rovedo. Era un po’ che non li vedevo.» Sospira. «Abbiamo bevuto un goccio.»
«Cretino.» Nino crolla sul cuscino del divano. «Bere e poi guidare! Sei un deficiente.» Le lacrime gli salgono agli occhi, le ricaccia indietro.
«Avevi paura che facessi un incidente? Per via della profezia?»
Nino rimane in silenzio. «Avevo paura che tu…» Deglutisce. «Allora, forse il nonno, o la zia. Lo sapremo domani.»
«No. Non succederà niente.»
«Manca solo la mia profezia, le altre si sono avverate.»
Edo si lascia cadere sul divano. Prende un respiro profondo. «Adesso calmo. Ok?» Lo guarda di traverso, scuote la testa. «Merda, ho bevuto troppo. Meglio se ti spiego tutto domani.»
«Cosa?»
Edo sbuffa. «Guarda, adesso non ho voglia.»
Nino gli si avvicina. «Di cosa?»
«Ok. Sono stato io.»
«A fare che?» Inclina la testa di lato. «Cosa?»
«La merda rosa!» Ride. «Scusa, la tua faccia fa troppo ridere.»
Nino fa un lento respiro. «Era tutto un lurido scherzo?»
Edo alza la mano, mostra l’anello al dito. «Eravamo già d’accordo su questo, da un bel po'. Se me l’avesse regalato senza avvertirmi, l’avrei buttato nel cesso.» Passa una mano sul viso sudaticcio. «Il cane non era di Linda, ma di sua cugina. Era contenta di mandarti quelle foto, il cane lo vuole veramente, e pensava di far sentire in colpa sua mamma, che invece non lo vuole.» Trattiene un rutto. «La ferita di Gege era finta. Una robetta che ha fatto coi trucchi di Halloween. L’idea è stata sua, non male per un mona come lui.» Lo fissa negli occhi e sorride. «Il sito non era vero, ma un gioco in Unreal Engine che sto preparando per un progetto con un compagno di corso. Ti è piaciuto quando ha risposto al nome sbagliato, come fosse viva? All’uni insegnano solo teoremi e cazzate, le robe divertenti le dobbiamo fare da soli, purtroppo.»
Nino si appoggia allo schienale. Stringe i pugni. Avrebbe voglia di prendere il fratello a botte, ma i muscoli sono spompati come un copertone bucato. «Perché?»
«Dimmi che non sei stato bene, oggi. Che non hai guardato tutto con occhi diversi.» Sorride. «Dai Nino, ho telefonato alla zia, ha pianto un’ora al telefono dicendo quanto sei un bravo ragazzo. In sottofondo sentivo il nonno urlare che vali cento a zero, rispetto a me, e poi la zia me l'ha passato, e ho parlato anche con lui. Mi ha detto di tutto perché a Natale vuole vedere tutti e due i suoi nipoti insieme... ma ha detto che capisce che passare la giornata con la patata era meglio che passarla con la zia.» Ride. «Lui sarà sempre il mio mito.»
Nino sorride. «Sì, è forte.»
«Lo sono tutti.» Allunga un braccio e gli afferra la spalla. «Me ne sono accorto adesso, che li vedo così poco. Ero come te, lo sai. Mi stavano sulle palle, con tutti quei litigi, le loro stupidaggini. La mamma e la zia che battibeccano sempre per le stesse cose, e il nonno che diventa sempre più maiale.» Sospira. «E il papà che si isola e fa discorsi strani, sul fatto che si diventa vecchi e robe simili.» Si fa serio. «Goditeli, tu che puoi.» Gli molla la spalla e mette il braccio lungo lo schienale del divano. «Hai ancora qualche anno, poi andrai via e crescerai anche tu.»
Nino fissa il vuoto, respira a fondo. «Sei uno stronzo.» Asciuga una lacrima con la manica. «Però ti voglio bene.»
Edo sorride e annuisce. «Anche io.» Gli dà un pugno sullo stomaco che gli fa sputare il fiato. «Ma non abituarti. Spero che il mio regalo di Natale ti sia piaciuto, mona.»
Edited by MentisKarakorum - 27/11/2021, 17:57