Amen.
La classifica e i miei commenti sono dettati dal puro gusto personale, come i vostri, senza alcuna pretesa di obiettività.
Ora vado a riposarmi sennò mi viene una tendinite.
Nazareno Marzetti
L’enigma del lupo
Tema centrato. L’idea del lupo, un virus da computer che invade la psiche è carina. Mi sarebbe però piaciuto vedere qualcosa di più su questa entità e anche sull’idea dello Stato pontificio che ottiene potere.
Le descrizioni non mi sono piaciute. Oltre ad essere stereotipate sono di un minimalismo indifendibile. Sembra che il personaggio si muova in un mondo di cartapesta. Io ad Ancona non ci sono mai stato e per tutto il tempo sono riuscito a visualizzare pochissimo.
Ora: questa cosa la puoi fare se sei Milan Kundera, quindi riesci a creare un contesto in cui è la psicologia stessa dei tuoi personaggi e l’indagine dell’esistenza che vuoi fare a richiedere che ci sia una penna leggera. Ma nel tuo caso, nel caso di un personaggio così piatto, come un guscio vuoto che si muove su dei binari al servizio del signor “colpo di scena”, non c’è motivo di essere così avaro di dettagli. Arrivi addirittura a descrivere un bosco semplicemente come “un fitto bosco”.
La penuria di dettagli si estende appunto anche alla vita interiore del protagonista. Non c’è nessun conflitto interno interessante che mi spinga ad andare avanti nel racconto, è un desiderio di riscatto troppo generico, che non si declina in un conflitto più unico nel modo in cui il pdv se lo rappresenta. Mi spiego meglio: se l’unica cosa a tenere in piedi una narrazione è il mistero, almeno per me, non funziona. Ho bisogno che l’autore mi dimostri, in poche pagine, di avere un occhio interessante sull’essere umano, altrimenti è come bere una zuppa allungata con l’acqua del rubinetto.
Ovviamente con caratterizzato non intendo complesso, si può caratterizzare bene un personaggio anche se è una persona semplice.
“Voleva solo un paio di soldati cibernetici” Questo è una minuzia, ma contribuisce a rendere vacuo il protagonista. La cibernetica è la materia che studia i sistemi. Soldato cibernetico non significa nulla. L’uso del termine con l’accezione che ne dai tu è una deformazione nata nella cultura pop. Se il tuo personaggio è uno studente di protesi bioniche è poco credibile che usi termini così volgari e imprecisi per descrivere qualcosa per la quale dovrebbe avere infinitamente più competenza. Non è nulla di grave, ma si poteva evitare.
L’idea di rendere il protagonista quadrupede è carina, peccato che l’esecuzione non mi abbia convinto. Mi sono sentito troppo esterno al suo corpo, mancava qualsivoglia feedback tattile o propriocettivo che rendesse interessante l’esperienza. Sarò strano io, ma per me le sensazioni diverse dalla vista sono fondamentali.
“Due passi e si trovò immerso nei BOSCHI che separavano il polo universitario torrette dal quartiere posatora.
Non avendo controllo sul busto, corse a quattro zampe, completamente nudo, finché i suoni delle sirene non furono inghiottiti dai sottili rumori del BOSCO. Solo a quel punto si rialzò. La testa prese a pulsare e per un attimo temette di perdere l’equilibrio. Iniziò a camminare attraverso il BOSCO. Un BOSCO fitto e abbandonato a se stesso”
Avevo capito che stava camminando in un bosco già la prima volta che lo avevi scritto.
Ci sono anche problemi nella descrizione delle reazioni dei personaggi secondari e nei dialoghi:
“Ammirando gli arti robotici” Come fa il protagonista a dire che Giulia li sta ammirando? È il suo pdv o di Giulia?
Ma soprattutto: anche ammesso che in quella società sia normale farsi trapianti bionici, com’è possibile che abbia una reazione così pacata nel vedere il suo amico così trasformato? Per installare le protesi non è necessaria l’amputazione degli arti? E non batte ciglio? Ma poi, chi è Giulia? Non mi sembra venga introdotta prima del loro incontro, il personaggio dice semplicemente “da qui posso raggiungere la casa di Giulia”, perché non aggiungere un fraseggio interiore che ci avrebbe permesso di capire chi era e perché voleva raggiungerla? Capisco che il narratore esterno possa scegliere a piacimento quando sottrarre informazioni che dovremmo avere essendo dentro il punto di vista del pdv, ma non capisco perché farlo in questo momento.
Forse mi sono perso qualcosa io.
“Un braccio scattò, ma Rodolfo riuscì a bloccarlo a metà del suo tragitto verso il collo della ragazza. «Ti do un paio di giorni, poi sparerò a vista, chiaro?»”
Non soltanto qui non vediamo la reazione della ragazza a una “close to death experience”, ma non capisco come sia possibile che lei si senta così serena nel farlo dormire a casa propria dopo una cosa del genere. Che rapporto c’è tra loro due? Siamo sicuri che sia solo un’amica e non una compagna d’armi, bombarola anarchica brigatista?
Bastava poco, anche una linea di dialogo che facesse capire la ragione del loro legame, una promessa, un debito… qualcosa.
“entrambi avevano perso interesse nel combattimento e si limitavano a mantenere le prese” un altro cambio di pdv non necessario.
I dialoghi mancano di sottotesto, ovvero il non detto e l’indicibile, è tutto troppo didascalico. Hanno solo il ruolo di spiegare cose, e non di essere uno scalpello per far emergere il conflitto del protagonista in modo interessante o le psicologie degli interlocutori.
Il personaggio di Giulia sembra messo lì solo per allungare il brodo. La sensazione generale è che sia l’npc di un brutto videogioco di ruolo.
L’incontro con Venazio non è migliore: parla come se fossero dentro lo scontro di un battle shonen, spiegando ogni mossa che ha intenzione di fare. Mancava solo che uno dei due urlasse “Rasengan!” prima di colpire.
È tutto troppo finto. Se fosse stato un racconto per preadolescenti sarebbe andato bene, ma vista la violenza delle scene iniziali direi che non era quello l’intento.
Stesso discorso vale per le scene d’azione, mancano di mordente e di interiorità del pdv. Non fanno risuonare il suo modo personale di viverle, sono meri riempitivi.
Non capisco poi perché tu abbia scelto come antagonista finale Venazio. Voglio dire: che c’entra tutta questa roba sull’andare o non andare in guerra col conflitto interno del protagonista? Il racconto non parlava di quello fino a un secondo prima. L’ho riletto altre due volte e non sono riuscito a trovare un filo conduttore che unisse, nelle tematiche, il lupo, il riscatto e la scelta dell’antagonista. Non riesco a cogliere il collante che tiene insieme la vicenda. Tutta la roba sul lupo e il movimento a quattro zampe è buttata lì a caso solo perché fa figo, non viene usata perché quell’istinto selvaggio seduce il protagonista o perché il tema è il libero arbitrio o che altro.
Boh, non ci ho capito molto. Magari proverò a rileggerlo ancora.
David Galligani
Una giornata di merda
La scena di sesso è convincente, specie come hai reso la paura della prestazione con una bella donna. Mi sono sentito in ansia anch’io!
Bello anche il modo in cui hai reso i movimenti disinvolti e meccanici del diavolo, gli conferisce un guizzo interessante.
Manca completamente l’elemento cyberpunk.
Anche qui ci sono troppi pochi stimoli tattili, di temperatura e di movimento. I pugni di Daniel sembrano di polistirolo. Ripeto, nessuno è obbligato a mettere questi dettagli, ma per me sono importanti. Nella scena di sesso li hai già resi meglio.
Ho trovato un po’ troppe espressioni ambigue: “un po’ come esortazione e un po’ come esclamazione”, “un po’ in un istintivo gesto di protezione o d’imbarazzo”, “si sfilò gli abiti quasi con rabbia”. Invece di rendere più preciso quello che prova il protagonista non fanno che appannarlo. Ma poi perché dovrebbe essere “quasi arrabbiato”? Dopo quello che gli è successo dovrebbe essere incazzato nero, senza quasi.
L’idea di un tipo che perde l’anima e smette di provare emozioni mi ha ricordato un episodio dei Simpson in cui succede la stessa cosa a Bart. Personalmente faccio fatica a provare interesse o empatia per cose di questo tipo. Anche perché nell’episodio dei Simpson era fatto meglio: il protagonista nel tuo racconto non ha nessuno strumento per impedire la perdita delle emozioni, e quindi non è colpa sua se uccide la vecchia senza più i freni inibitori dell’empatia. Se avesse rinunciato alla sua anima di proposito avrebbe avuto senso, ma non ha avuto scelta: le emozioni le ha perse per via di una pura aggressione, non le ha scambiate. È solo una vittima, e quindi manca tutta l’ambiguità che è fondamentale nella letteratura.
Inoltre, manca qualsivoglia caratterizzazione che renda unico il modo in cui il protagonista vive questo dramma. Nel senso che avresti potuto sostituirlo con qualunque altra psicologia e non sarebbe cambiato nulla. L’intera poetica del racconto sarebbe rimasta integra.
Sa tutto molto di già visto (il finale dove cade in ginocchio ed esclama “cosa ho fatto!” ormai è praticamente un meme come l’esclamazione “Si può fare!”) e il conflitto tra bene e male è stilizzato al punto da far invidia a una lezione di catechismo. Peccato perché la religione cristiana è molto complessa, e mi sarebbe piaciuto veder messo in scena un personaggio avente un modo originale di rapportarsi a un dilemma del genere.
L’idea di usare la sua passione per la musica jazz e rock per mostrare la perdita di emozioni funziona, anche se un po’ vaga. Ma per il resto del racconto il modo in cui descrivi la perdita di emozioni nel protagonista manca di autorialità. Usi troppe frasi fatte “La bellezza aveva lasciato la sua vita”, “aveva un buco al posto del cuore”, “Un vuoto al posto dell’anima”, “ormai privo di sogni ed emozioni”. Se scegli di usare il narratore esterno, hai nelle tue mani uno strumento formidabile per descrivere gli stati interiori del personaggio, che però, a parer mio, hai sprecato. Forse ti piaceranno le poesie di Alda Merini.
“Si sentí alquanto ridicolo. E ipocrita” come fa a sentirsi ridicolo e ipocrita se non può più provare emozioni? Una sensazione di fastidio con quella situazione avrebbe senso se il protagonista potesse ancora soffrire e provare imbarazzo, ma non può più.
I dialoghi non sono brillanti, ma neanche terribili, non fanno emergere nulla di particolare della psicologia del protagonista o dei suoi conflitti interiori, ma almeno sono credibili, infinitamente migliori di quelli da cartone animato degli anni novanta del racconto sul “lupo virus”. Forse avrei solo evitato la frase “Io sono Satana”, non so, il fatto che il diavolo in persona si presenti in quel modo, così di botto, fa un po’ sorridere.
Bella la scena dello strangolamento della vecchia, molto Dostoevskij, in particolare mi è piaciuta la precisazione sul tempo necessario ad uccidere una persona strangolandola.
Alexandra Fisher
Lezione di demonologia
Credo che qualcosa sia andato storto con i corsivi. Ci sono parti di narrato scritte in corsivo che seguono i pensieri diretti. Hai anche usato il corsivo per fare descrizioni “c’era e non c’era più”. Ti consiglio di usare il corsivo per indicare una cosa sola per tutto il racconto. Se lo si usa per i pensieri diretti, meglio usarlo per quelli e basta.
Mi è piaciuto il discorso sullo scambio fatto dalla professoressa.
“Andò in bagno e poi passò in salotto: sul tavolo c’era la bottiglia piena di un liquido trasparente nel quale nuotava una piccola scultura di metallo nero a forma di lupo dalle fauci spalancate.” Avrei preferito che l’avessi descritta la prima volta che l’ha vista.
Ho dovuto rileggere il tuo racconto svariare volte per capire cosa stava succedendo.
Non capisco il punto di tutto il dialogo tra la protagonista e la collega. Se non serve a creare conflitto o a far emergere il tema del tuo racconto o a dare informazioni, perché ce lo hai messo? Non potevi semplicemente fa sì che la protagonista avesse già il numero? A che serve tutto quello scambio di battute e convenevoli per farselo ridare?
Se l’intera idea del tuo racconto si basa sull’usare la “caccia al tesoro” come elemento di intrattenimento, allora dovresti elaborare una ricerca che sia avvincente e che metta in luce i tratti di personalità della protagonista. Un dialogo basato su scambi di cortesie con la dirimpettaia per ricevere un numero e chiamare la nonna non è il massimo.
Non riesco a capire cosa mi sfugga in quel dialogo. La protagonista vede una donna misteriosa che le ruba la borsa, poi vede Martha a casa sua e le chiede il numero della nonna, che è la stessa persona che possiede Shatzi, quindi la vecchia della sera prima. Però Ute la conosce già, ma la cerca comunque e scopre che lavora all’università. Non capisco. Lo sto rileggendo ma è come se mi mancassero dei pezzi.
Ma poi Ute non aveva perso la borsa? Perché ci rovista dentro? Se aveva una borsa di riserva avresti dovuto dirlo prima.
Non sono riuscito a empatizzare con la protagonista per via del modo in cui hai gestito le sue reazioni nei confronti della perdita della borsa. Non so, mi sono sembrate un po’ caricaturali. Inoltre il non sapere cosa ci fosse dentro non ha aiutato.
Mentiskarakorum
Non è sempre bello ciò che piace
Manca molto il fraseggio interiore del protagonista. Certe descrizioni non sono filtrate, come se venissero impresse sulla pagina da uno sguardo neutro.
Fred scaraventò la bottiglia in fondo alla stanza: esplosione di vetri. «Eddai, sono uno onesto, io.»
Mark grugnì. «E io sono Paperino.»
Molto cliché questo scambio di battute, ma in generale l’intero scambio con l’hacker è un po’ banale.
Mark è un po’ uno stereotipo su due gambe, manca solo che tu gli metta come coprotagonista un androide precisino ed è fatta. Il fatto che sia uno stupido non è molto credibile visto il lavoro che fa. Forse lo hai fatto per renderlo più vulnerabile, ma sembra forzato. Il fatto che non capisca nulla neanche degli avatar virtuali è ancora più difficile da credere.
Mi sono sempre piaciute le realtà virtuali. La tua mi ha ricordato un po’ Summer wars di Hasano e Ready player one, quindi nulla di nuovo, ma funziona.
Mi è piaciuto come hai reso l’analisi della scritta NIZIN, arguto.
L’idea di passare dalla terza alla prima persona funziona solo in un senso, quando si mette il jack, nella parte finale del racconto mi ha fatto storcere il naso. Ci ho messo un po’ a capire che non era un ricordo e che la scena si stava svolgendo dopo, visto il passaggio dal presente al passato e il cambio di pdv: troppa roba tutta insieme.
Il colpo di scena che alla fine il cattivo è il compagno del poliziotto era pure molto prevedibile. È il finale della Tela del ragno e di tanti altri thriller.
Abbiamo avuto un’idea abbastanza simile, almeno nei lineamenti di trama. Non che ci sia da stupirsi: il numero di storie di vittime di qualche gruppo criminale che devono trovare/vendicare la moglie o la figlia è immenso.
Anche se non ho trovato spunti originali nella tua storia e una poetica interessante, mi ha comunque divertito e intrattenuto molto. Se fossi riuscito collegare il concetto di snuff movie con la vita interiore del personaggio sarebbe stato ancora meglio.
Truemet
Dispositivo cerebrale mobile
Ci sono diversi punti in cui violi i principi di narrativa immersiva non mostrando cosa vede il protagonista. Ad esempio quando vede per la prima volta il braccio bionico, e limiti a dirci che lo riconosce, oppure quando ricorda dell’incidente, che però a noi lettori è precluso. Ci sono tanti altri punti in cui violi questi principi, a volte mostrando i pensieri che precedono le percezioni sensoriali, ma non ho la pazienza di elencarteli tutti.
L’intera idea del tuo racconto è incentrata sul DCM, ma al punto tale che il 90% delle cose che accadono sono scuse per far vedere ai lettori come funziona la tecnologia del mondo che hai pensato. È troppo poco per tenere accesa la mia attenzione e i personaggi sono troppo piatti.
Punti tutto sulla sparatoria finale e il colpo di scena, ma il resto del racconto l’ho trovato un po’ debole.
Non ho ben capito perché lui uccida Jessica. Serve per farci capire che in realtà è un sociopatico? Ma poi, se volevano sostituirlo con un clone, perché non l’hanno ucciso? Perché si risveglia in un vicolo? Dice di aver avuto un incidente, ma non mi è chiara la dinamica.
Per il resto il tuo racconto è scritto meglio di molti altri.
Andrea Furlan
I lupi stanno arrivando
Il tuo racconto è a mani basse il migliore. Il personaggio cattura l’interesse, è un ubriacone disperato come quello del racconto di Mentis, ma caratterizzato molto meglio.
“Mi rialzo zoppicando, il ginocchio che cede ad ogni passo. Cammino lentamente, distratto” che il suo incedere fosse lento era chiaro dalla frase precedente, l’avverbio è superfluo.
“Dietro alla Moschea poi c’era il parco giochi, il bac à sable, dove portavamo sempre Ana e Xavier da piccoli”
frasi come questa suonano un po’ come se stesse parlando ai lettori più che a se stesso, magari alterandone un po’ la struttura frasale sarebbe sembrata più verosimile.
“Lacrime si mescolano alla pioggia” “Ricordi dolorosi di una vita finita” Un po’ cliché queste espressioni, so che puoi fare di meglio.
La risoluzione l’ho trovata un po’ troppo rapida, mi sarebbe piaciuto vedere delle fasi più graduali, in particolare al tuo posto avrei approfondito di più il rapporto con l’IA: gli scambi di battute tra i due sono troppo incentrati sul bisogno di scoprire cosa sta succedendo, mi sarebbe piaciuto vederli usati per caratterizzare meglio entrambi i personaggi. Anche considerando che è un’IA rudimentale, forse senza particolare personalità, sarebbe stato interessante vedere un tentativo maggiore da parte di Jesus di umanizzarla.
Lo stile è efficace, ricalca appieno la psiche esausta del personaggio, forse a volte sfoci un po’ troppo nella retorica, facendoci uscire da cosa è credibile lui possa pensare nel qui ed ora, ma tutto sommato funziona bene.
1) I lupi sono arrivati
2) Non è sempre bello ciò che piace
3) Dispositivo cerebrale mobile
4) Una giornata di merda
5) L'enigma del lupo
6) Lezioni di demonologia