Eccolo.
Due precisazioni e due scuse in merito al pezzo.
Quando cominciai a scrivere mi vennero in mente un sacco di idee per questa storia.
Mi piace il pretesto, mi piacciono i personaggi e sono di casa con l'ambientazione, per cui , convinto di essere buttato fuori al secondo turno da miss. Leggeri ho continuato a buttare carne al fuoco con l'intenzione, o almeno il proposito
, di continuare a scrivere per conto mio. Invece
quella fedifraga ha dato bidone. Che fare quindi?
Ho optato per lasciare in sospeso molti punti con il proposito di non fermarmi qui, e di fare di questa racconto praticamente soltanto il "pilota". Se piace andrò avanti in separata sede.
I migliori auguri al mio avversario e buona lettura.
LA CAÌDA Di David Galligani
«Gomez si è suicidato, papá?»
Rodriguez trangugiò in fretta la tazzina di caffè. Non era un argomento del quale avesse voglia di discutere, e meno che mai la mattina a colazione,
«Sì amore mio, così sembra» rispose alla figlia.
«Aveva un dolore così grande dentro da non avere più voglia di vivere?»
«Non lo so, può essere. Non si può sapere cosa passa nella mente delle persone. Non sono cose a cui una ragazzina dovrebbe pensare, Ana.»
«Non capisco le persone che si uccidono. La trovo una cosa da vigliacchi... A me piacerebbe tanto vivere, invece sono su una sedia a rotelle e morirò presto.»
«Non dire queste cose!» esclamò Rodriguez.
«Ma papà, è vero perché ti arrabbi.» rispose Ana con la massima tranquillità.
«Scusa, non mi sono arrabbiato, è che non voglio che tu pensi queste cose. Devo scappare al lavoro adesso amore. Ci vediamo stasera» Rodriguez accarezzò la testa della figlia, poi le dette un bacio e uscì di fretta.
Entrò in auto, chiuse lo sportello, e cominciò a piangere.
Alla stazione i colleghi avevano i musi lunghi e l'atmosfera era tesa. Il “suicidio” di Gomez aveva sconvolto un po' tutti.
Rodriguez entrò con la testa bassa: aveva ancora gli occhi rossi per il pianto, e non voleva che nessuno lo notasse.
Sentire sua figlia parlare con la massima naturalezza e tranquillità della propria malattia e della sua morte gli spezzava il cuore. Non sono il genere di cose a cui dovrebbe pensare un'adolescente. Sopratutto non dovrebbe pensare alla morte con tutta quella serenità.
“Ma forse... con le cure adatte, chissà” pensava. Sperava.
Ad un certo punto si sentì afferrare per la manica. Si girò, era il Commissario: perso nei suoi pensieri non lo aveva sentito arrivare.
«Vieni con me Marc» gli disse « Ce ne andiamo a prendere un caffè al bar, invece che alla merdosa macchinetta»
Rodriguez sorrise.
«Se andiamo al bar dei cinesi, è facile che sia ancora peggio»
Il Commissario notò gli occhi rossi di pianto, ne fraintese la causa, e gli dette una pacca sulla spalla.
«Siamo tutti a pezzi oggi... Chi se lo sarebbe aspettato da Gomez?» disse «Facciamo due passi fino alla Rambla del Raval, va'. E alle brutte mi prendo un
carajillo invece di un caffè.»
Per qualche minuto i due camminarono in silenzio, poi il Commissario prese la parola.
«Ne avevi avuto qualche sentore Rodriguez?»
Marc ci pensò su un secondo prima di rispondere.
«In realtà Commissario... io e Gomez avevamo avuto una discussione recentemente» disse.
«Cioè? Spiegati meglio» chiese il Commissario soffermandosi sulla porta del bar.
«Beh sediamoci, le racconto.»
I due entrarono e presero posto.
Il bar era un locale tranquillo, con l'arredamento in legno scuro e i tavolini rotondi in marmo.
Il Commissario si levò il cappotto e lo appoggiò sullo schienale della sedia. Rodriguez fece un cenno alla cameriera, una bella ragazza sudamericana con molti tatuaggi e le trecce alla Pocahontas. Con un po' di fortuna tra una decina di minuti sarebbe venuta a prendere l'ordinazione, la celerità non era uno dei pregi del posto.
«L'altro giorno mi aveva dato buca alla soffiata su Laszlo, e la scusa non mi aveva convinto per niente» cominciò Rodriguez «E non era la prima volta...»
Poi fece una pausa.
«Che vuoi dire?»
«Che penso che fosse al servizio di Laszlo,
jefe. Ecco quello che voglio dire.»
Il Commissario rimase di ghiaccio.
«Ma ne sei sicuro? Hai delle prove?»
Rodriguez fece un cenno negativo con la testa.
«No, prove non ne ho, avevo solo il sospetto... un forte sospetto. E quando l'affrontai riguardo a questo argomento non mi convinse per nulla. Avrei indagato, ma poi...insomma... il suicidio mi pare una conferma.»
Il Commissario rimase in silenzio, pensoso. Finalmente arrivò la cameriera e i due ordinarono i loro caffè.
«Quello che dici è molto grave. Dobbiamo indagare, non c'è altro modo. Certo che se le indagini confermassero la tua teoria... beh... sarebbe un duro colpo per tutti. Come se Gomez morisse due volte.»
Rodriguez sperava vivamente che le indagini lo potessero confermare. In questo modo il suicidio sarebbe stato senz'altro credibile. E Laszlo avrebbe avuto ancora più bisogno di lui.
«Due agenti morti o scomparsi in una settimana. E in entrambi i casi c'è di mezzo quel figlio di puttana di Laszlo» disse «È veramente ora di metterci un freno»
Rodriguez assentì con il capo.
“In entrambi i casi il colpevole sono io.” pensò “E la cosa sembra appena iniziata”.
Doveva infatti ancora manomettere le prove a carico di Demidov, uno dei luogotenenti di Laszlo.
In questi ultimi giorni la richiesta era stata ripetuta più volte, e Laszlo si era anche interessato alla morte di Gomez.
Anche lui sembrava, almeno per adesso, credere all'ipotesi del suicidio.
Presi i caffè i due fecero ritorno al Commissariato.
Poco dopo Rodriguez salutò il Commissario e si diresse verso il magazzino dove erano custodite tutte le prove.
Al banco c'era il vecchio e panciuto Martinez. Oramai quasi in pensione passava gli ultimi anni di servizio seduto a guardarsi film in una piccola televisione portatile che teneva sotto la scrivania, e controllando chi entrava e usciva dal magazzino. Dietro di lui un parete a rete metallica dava accesso al magazzino.
Quando vide Rodriguez non poté far a meno di fare una faccia triste.
«Ciao Marc, condoglianze per Gomez...» disse.
«Grazie, Martinez»
«Che posso fare per te?»
«Beh senti, ti vorrei chiedere un favore...»
«Spara»
«Lo so che non è un caso mio, e che non è permesso, ma...»
«Ma?»
«...Mi faresti mica passare a dare un'occhiata alle prove del caso Gomez? Senza farmi firmare il registro, dato che io non sono assegnato al caso, essendo stato il suo partner e per via del legame emotivo...»
«Non posso ASSOLUTAMENTE farlo, lo sai.» rispose Martinez «Mi gioco la pensione. Quello che potrei fare...» continuò sorridendo sotto i baffi «È andare al bagno cinque minuti, lasciando la porta aperta.»
«Sei un amico!» lo ringraziò Rodriguez.
«Figurati, mi pare il minimo in questo caso. Però solo cinque minuti, non uno di più. Quando torno devo trovarti dall'altra parte del banco!»
«Contaci»
Martinez, uscì dal gabbiotto, strizzò l'occhio a Rodriguez e si diresse verso il bagno.
Rodriguez si precipitò dentro lo stanzone.
C'erano centinaia di scaffali con migliaia e migliaia di scatole in ordine alfabetico.
Rodriguez si lanciò alla ricerca dello scaffale giusto:
«AA. AB... » via via leggeva i cartellini che gli si presentavano davanti.
Un minuto, due minuti.
Accelerò.
“DE! Eccolo” pensò.
Apri frettolosamente la scatola, scorrendo nel modo più veloce possibile il contenuto, finché non vide un ritratto.
Lesse le didascalie
“Identikit fornito dalla vittima bla bla bla... Perfetto!”
L'accusa si basava sul riconoscimento di Demidov da parte di una delle sue vittime che aveva fornito l'identikit alla polizia.
Niente identikit, niente accusa.
Rodriguez appallottolò il foglio e se lo mise in tasca.
Tre minuti e mezzo.
“Forse ce la faccio” penso.
Uno, due, quattro,dieci scaffali: DO-DU... GA...GO.
C'erano tantissimi Gomez, in effetti è uno dei cognomi più diffusi in Spagna e nei paesi dell'America Latina.
«Juan Gomez Llorente» bisbigliò quando l'ebbe trovato.
Aprì la scatola, vi dette un occhiata. E richiuse.
Quattro minuti e cinquanta secondi.
Corse verso l'uscita, sperando che Martinez non fosse stato puntuale.
Martinez non era ancora rientrato, ma c'era qualcuno appoggiato di spalle al bancone. Rodriguez non lo poté riconoscere perché gli stava dando la schiena.
«Me cago ne la virgen!» bestemmiò sotto voce. Evidentemente qualcuno che aveva bisogno di accedere al locale aveva preceduto Martinez.
“E ora?” pensò. “Potrei fare finta di niente, a meno che quando firmi il registro non noti che la mia firma non c'è... E se collega il fatto che Martinez era fuori mi mette in un be casino.”
In quel mentre Martinez fece ritorno.
Vide il nuovo arrivato, intravide la sagoma di Rodriguez e rimase un po' incerto sul da farsi.
«Martinez, si vede che invecchi eh? Hai lasciato anche la porta aperta!»
Dalla voce Rodriguez riconobbe Borja, un puntiglioso rompipalle.
«Ah si? Ero andato un attimo in bagno... Sai con l'età quando scappa, scappa.»
«Eh ho capito, ma pensa se qualcuno si fosse introdotto nel magazzino!»
«Qualcuno chi? Qualche sbirro come te, vuoi dire?»
«Si ma le regole...»
«”Si ma” ora chiudo tranquillo»
Martinez si avvicinò alla porta e dette una mandata in un senso, e l'altra nel contrario. Vide Rodriguez nell'ombra e gli fece l'occhiolino.
«Visto? Fatto! E ora vado a prendere un caffè, sai che?»
«Ma come? Ma io ho bisogno di...»
«Decidi , o vieni con me alla macchinetta e il caffè te l'offro io, o aspetti qui. E magari mi metto anche a chiacchierare con qualcuno. Lo sai come siamo noi vecchi!»
Borja rise. «Certo sei un bel soggetto!
Anda, vamonos.»
Rodriguez ringraziò di tutto cuore Martinez, si ripromise di offrirgli diverse
cervezas alla prima occasione, e appena vide i due girarono l'angolo, girò la maniglia e uscì.
Quello che aveva visto nello scatolone di Gomez non gli era piaciuto. Anzi, non gli era piaciuto quello che NON aveva visto. Era stata solo un'occhiata fugace, ma aveva avuto conferma di quello che temeva: non c'era la giacca di Gomez.
E se non c'era, poteva essere soltanto per una ragione: ce l'aveva la scientifica.
Se si fossero messi a fare i puntigliosi, a lavorare a regola d'arte, a fare le cose come nei film americani, avrebbero scoperto che le macchie di sangue lasciata sulla giacca non erano coerenti con quelle di un suicidio.
Rodriguez contava sul fatto che normalmente il lavoro viene fatto in maniera approssimativa, solo che normalmente il morto non è un poliziotto.
Per un attimo l'ansia si impadronì di lui, ma si calmò quasi immediatamente. Dopo tutto non c'era ragione che lo collegassero al fatto, anzi.
L'unico che avrebbe potuto sospettare qualcosa era Laszlo.
Rodriguez uscì dal commissariato, e si diresse verso Paseo de Colòn. Passando davanti a dei contenitori per il riciclo dei rifiuti, prese l'identikit di Demidov e lo gettò in quello della carta.
Poi prese
l'altro cellulare e chiamò l'unico numero in memoria.
«
Buenos Dìas, sbirro» rispose la voce di Laszlo.
«
Buenos Dìas. Ho fatto quello che hai chiesto.»
«Ahahaha
Buen trabajo Rodriguez. Noi due abbiamo un futuro insieme.»
Rodriguez riattaccò con un ghigno.
“Io ho un futuro, ma non con te” si disse.
Aveva pensato a lungo ai suoi problemi.
Aveva bisogno che Laszlo non potesse ricattarlo e aveva bisogno di molti soldi.
Alla polizia non poteva andare.
Come si dice? Una volta in ballo... tanto vale ballare.
Di buon umore passò oltre la statua di Colombo, passo il ponte che portava alle discoteche del Mare Magnum e proseguì lungo il molo del porto.
La giornata era bella, e il posto era pieno di turisti nordici dalla pelle arrossata, di gente in pattini che rompeva le palle ai passanti con inutili acrobazie e di corridori in vari look e taglie.
Proseguì un poco oltre, dove erano ormeggiati tutti gli yacht dei ricconi.
Ne cercava uno in particolare. Che oramai quelli come lui fossero tutti a Barcellona non era un mistero per nessuno, tanto valeva trarne qualche profitto.
Si accese una sigaretta. Per qualche misteriosa ragione si sentiva più duro con la cicca in bocca, certi stereotipi sono duri a morire.
Trovò la barca che cercava. Quanto cazzo era lunga, diciotto, venti metri?
Sul pontile c'era un enorme armadio di guardia.
Rodriguez tirò fuori il distintivo, fresco di promozione.
«Ispettore Rodriguez, non mi rompere i coglioni e portami da lui»
Beh, in realtà era ancora sub ispettore, ma sub ispettore non è una qualifica che incuta molto rispetto.
L'energumeno fece per aprire bocca, ma Rodriguez lo interruppe.
«So che è qui, non sono in veste ufficiale.»
La guardia disse qualcosa in un radio microfono e poi Rodriguez venne fatto passare.
Sul ponte un ciccione peloso uscì da una piscina e si mise un accappatoio che una ragazza con la metà dei suoi anni gli porgeva. Poi si sedette su una sdraio e si versò con esagerata calma un bicchiere whisky.
«Che vuole?» disse infine con tono arrogante.
Rodriguez fece un cenno con la testa indicando l'energumeno e la ragazza.
Bastò un cenno della mano e i due rimasero soli.
«Quindi?»
«Quindi io sono il sub ispettore Rodriguez dei Mossos d'Esquadra. Ho ucciso un agente e Laszlo ne ha il cadavere, con cui mi ricatta. Lo voglio morto senza che i sospetti cadano su di me. Collaborerò allo smantellamento della sua organizzazione, su cui indago da anni. E voglio parte dei suoi affari. A cambio offro la mia collaborazione e la mia protezione, presenti e future.»
Don Calogero fece un cenno di approvazione e indicò una sdraio.
«Parliamone» disse.