Tema VAMPIRI genere EROTICO
UN CAPODANNO FUORI DALL'ORDINARIO di Laura Palmoni
Erano appena le sette di sera, ma il sole era tramontato già da un po' e il bosco era immerso in un silenzio innaturale, a parte un fruscìo indistinto e il verso di qualche uccello notturno. Luc non era tipo da aver paura, ma era preoccupato per la piega che la faccenda stava prendendo. Passare la notte lì, al freddo, non era stata di certo tra le sue aspettative per quel capodanno. Al diavolo, Google maps stavolta aveva toppato alla grande. Il cottage affittato dai suoi amici non doveva essere lontano, ma la vegetazione selvaggia di quel bosco non segnalato si infittiva sempre di più e gli precludeva ogni possibilità di ritrovare la strada smarrita. E non c'era l'ombra di un'abitazione, non nelle vicinanze. Per completare quel quadro incredibile, il suo telefonino riportava totale assenza di rete, aveva male ai piedi e alla schiena. Anche il tempo non prometteva nulla di buono, l'impressione era che di lì a poco potesse iniziare a nevicare. Morto congelato la notte di capodanno, una notizia da prima pagina. Il suo innato pessimismo fu però felicemente deluso quando scorse una luce poco lontana. Poteva essere un fuoco, un accampamento, una baita di montagna. Magari proprio il cottage dei suoi amici! Questo bastò ad infondergli speranza, iniziò a camminare a passo spedito verso quel chiarore e tirò un sospiro di sollievo quando iniziò ad intravedere una serie di lampioni che costeggiavano un sentiero di pietre. Aveva l'aria di un tipico villino di montagna. Era salvo. Stava iniziando a nevicare, giusto in tempo. Si accostò al cancello, stava per cercare un campanello ma si accorse che era appena accostato, spinse ed entrò nel giardino. L'edificio era particolare, a due piani, con le mura imbiancate e coperte di edera rossa e verde che luccicava alla luce dei lampioni. Al secondo piano una fila di finestre tonde, il tetto che iniziava a imbiancarsi per la neve che ora scendeva copiosa, mentre il fumo usciva dal comignolo indicando, con sua grande felicità, che il caminetto era acceso. Raggiunse la porta, si attaccò al maniglione di pietra e bussò con tutta la forza che aveva. Una folata di vento gelato lo fece stringere nel giubbetto, proprio mentre l'uscio si apriva. «Buonasera.» Luc rimase paralizzato, non riuscì a rispondere. Un ragazzo alto se ne stava all'ingresso, capelli scuri, occhi lucenti, carnagione chiara e un corpo solido e muscoloso. Indossava una maglia aderente e leggera, poco indicata ad un abitante di montagna. Lo osservava con uno strano sorriso sulle labbra, come se lo conoscesse e non fosse affatto stupito di vederlo lì. Il suo sguardo non lo abbandonò un istante quando disse, semplicemente: «Sì?» «Cercavo... Il cottage di Valmora, ma non credo sia questo.» Lo sconosciuto scosse il capo. «No, infatti. Questa è Villa Bauer. Io sono il padrone di casa. Posso fare qualcosa per lei?» Di colpo Luc non aveva più freddo. Aveva il fiato corto e non solo per la lunga corsa nel bosco. La sua voce era paralizzata, stravolta dall'emozione mentre tentava di rispondere. Lo sguardo magnetico di quell'uomo gli aveva annebbiato la mente. «Allora mi sono perso» riuscì ad articolare. Il padrone di casa sorrise ancor più apertamente. La sua voce si fece più profonda mentre spalancava di più l'uscio. «Puoi entrare e riposarti un po', se vuoi, così mi racconti cosa ti è accaduto.» Luc si accorse di non aspettare altro. L'idea di scaldarsi e riordinare un po' le idee era quanto di più bello gli fosse capitato in quelle ultime ore. Accettò di buon grado. Il ragazzo si spostò quel poco da farlo passare e Luc fu costretto a sfiorargli il corpo caldo e a respirare il suo odore penetrante. L'interno era più buio di quanto Luc si fosse aspettato, il salone era spazioso e raffinato, le uniche luci erano quelle del camino acceso e della grande lampada accanto al divano. «Scusami, di solito amo la penombra, mi aiuta a riflettere» disse il ragazzo, accendendo la luce che subito inondò la stanza. Luc poté ammirarne lo splendore. Il pavimento era di marmo chiaro, lucente e con disegni floreali di grande pregio, forse più adatti ad una casa signorile che a un cottage di montagna, ma di sicuro colpivano per la bellezza. Un grande tappeto al centro sosteneva un tavolo lucido con piedi ad artiglio, sicuramente di legno nobile, davanti al camino un divano con soffici cuscini, due poltrone ai lati, pareti color crema che ospitavano quadri di paesaggi, uomini e donne importanti, forse non famosi ma sicuramente ricercati. Un enorme lampadario rifletteva la luce su cornici e specchi disseminati un po' tutto intorno. Uno spettacolo magnifico. «Che meraviglia» sussurrò Luc, sistemandosi meglio lo zaino sulla spalla. «Grazie» rispose l'uomo, sorridendo. «Purtroppo non ho il maggiordomo in questi giorni, è partito per le feste. Sono solo in casa e temo che non potrò servirti come si dovrebbe servire un ospite... Ma qualcosa da mangiare posso preparartelo io, finché riposi un po'.» «No, grazie» rifiutò Luc, più gentilmente che poté «ho degli amici che mi stanno aspettando, saranno in pensiero... Il mio cellulare non ha campo, se potessi fare una telefonata...» «Dove ti aspettano i tuoi amici?» «Hanno affittato un cottage qui vicino, ho la mappa ma... devo aver imboccato un'altra strada, ho attraversato un bosco che non avrebbe dovuto esserci » tirò fuori la cartina stampata e la porse al padrone di casa. Questi la prese tra le mani e la osservò un istante, poi scosse il capo. «Credo che tu sia parecchio lontano, vengo qui in vacanza da anni e conosco bene il posto. Non ci sono cottage nel raggio di venti chilometri.» «Venti chilometri? Ma è impossibile» disse Luc, disorientato. «Non credo di essermi allontanato tanto dal sentiero principale.» «Le stradine di montagna sono una trappola per i turisti, molti sentieri non sono segnalati dalle mappe» replicò l'altro, per poi aggiungere: «però, se vuoi, puoi telefonare ai tuoi amici, forse qualcuno può venire a prenderti.» Indicò un piccolo tavolino di legno su cui era appoggiato un apparecchio modello anni ottanta. Luc sorrise e ringraziò. «Posso mettere in carica il telefonino? Nel caso si decidesse a funzionare.» «Certo. Troverai una presa per la corrente vicino al telefono.» «Grazie» disse Luc, sorridendo. Ma fu un'amara sorpresa scoprire che neanche il fisso dava alcun segnale. «Merda» imprecò sottovoce. «Cosa?» «Niente, parlavo tra me... Il telefono deve essere isolato» passò la cornetta al padrone di casa, questi se lo portò all'orecchio. «Capita spesso da queste parti, mi spiace. Deve essere il tempo, si sta avvicinando una tormenta» alzò le spalle. «Credo che non potrai muoverti nelle prossime ore, a meno che tu non voglia provare lo stesso a raggiungere i tuoi amici... Ma temo che tu non abbia speranza di resistere là fuori.» Luc si dette dello stupido. Non poteva neanche raggiungere la macchina. L'aveva lasciata in paese, non aveva voluto rischiare di seguire quel sentiero stretto e impervio in auto, era sicuro di poter sopravvivere a due ore di salita a piedi. Non riusciva proprio a spiegarsi come avesse fatto a perdersi. «Credo sia il caso che mi presenti» sorrise l'uomo strappandolo ai suoi pensieri. «Mi chiamo Federic. Federic Volstainer. Piacere di averti come mio ospite, puoi trattenerti fino a quanto vorrai.» Luc tese la mano al giovane. Non seppe spiegarsi il perché, ma non si sentiva a disagio. Era affascinato da quel posto e lo avvolgeva una sensazione di sicurezza, ma era arrabbiato con sé stesso, con la sua stupidità. Si rassegnò, non poteva cambiare lo stato delle cose. «Ti ringrazio. Guarda, davvero, ti darò meno fastidio possibile e appena il tempo me lo consentirà me ne andrò.» «Non preoccuparti. Ti consiglio di cambiarti i vestiti umidi. Puoi farti un bagno caldo, non vorrei ti prendessi un malanno, intanto posso cucinare qualcosa.» Luc si schiarì la voce. «Non so... non vorrei disturbare.» «Nessun disturbo» Federic si passò una mano tra la folta chioma nera. «Sali al piano di sopra, la prima porta a destra è la stanza degli ospiti, scegli dei vestiti e distenditi un po'. Ti chiamo io quando il bagno è pronto.» Prima che avesse avuto tempo di protestare, l'uomo era salito di sopra. Luc non si sorprese del fatto che non fosse riuscito a dirgli di no, che non aveva importanza, che l'unica cosa che voleva era andarsene perché non era vero. Voleva restare lì. In quella strana casa, con quello strano personaggio. Ed era buffo, perché non riusciva a darsi una ragione precisa.
La stanza degli ospiti non deluse le aspettative di Luc. C'era un enorme letto di mogano al centro, un armadio enorme, due comodini ai lati del letto, una libreria ben fornita, un'elegante poltrona in tinta con le pareti verde chiaro. C'era anche uno scrittoio e una composizione di fiori rossi era stata appoggiata nell'angolo. Aprì l'armadio – c'erano più vestiti lì che in tutti gli armadi messi insieme dei componenti della sua famiglia – e scelse una camicia, un maglione e un paio di jeans. Federic era a occhio e croce più alto e muscoloso di quanto lo fosse lui, ma stranamente quei vestiti parevano essere della sua taglia. Li appoggiò su una sedia e si buttò sul letto, portandosi una mano sugli occhi. Era davvero stanco. «Il bagno è pronto, se vuoi.» Luc balzò a sedere sul letto. «Scusami» disse Federic «Non volevo spaventarti. Ho bussato, ma non rispondevi.» «Credo di essermi appisolato» si alzò e prese dalle mani dell'uomo l'accappatoio che gli porgeva. «Grazie. Mi spiace proprio crearti casini.» «Sono contento invece. È bello passare il capodanno con qualcuno» mentre parlava, la mano dell'uomo accarezzò la guancia di Luc. C'era qualcosa di indecifrabile in quello sguardo. In una situazione normale, Luc sarebbe quantomeno indietreggiato e corso via, ma quel frangente era del tutto nuovo, lo terrorizzava e allo stesso tempo lo stuzzicava. La mano di Federic scese sul suo petto, accarezzò la zona visibile sotto la camicia sbottonata. Scese più giù, si posò sui fianchi, sbottonò i jeans. Il respiro di Luc si era fatto corto. Federic tolse la mano e sorrise del suo turbamento. «Fai con comodo. Io preparo qualcosa per cena» gli sussurrò, prima di sparire silenziosamente come era venuto. Luc recuperò gradualmente la calma, ma faticava quasi a respirare. Quindi riallacciò i pantaloni e si avviò alla ricerca del bagno.
Il bagno era immenso, di una bellezza unica, come il resto della casa. Una parete di specchi rifletteva la luce delle plafoniere poste sulla parete difronte, l'acqua calda di una vasca sprigionava vapore e un profumo inebriante, sembrava di essere in una piscina termale. Affascinato ed esausto, Luc si spogliò degli abiti e si immerse nel caldo tepore di quel luogo paradisiaco. Non riusciva a rispondere a nessuna delle domande che gli si affacciavano in testa, non riusciva a pensare, a ragionare, l'unica cosa che importava era il tormento di quegli occhi fissi nei suoi, pochi minuti prima. Federic era bello. Indubbiamente era gay, non ci voleva molto a capirlo ed era altrettanto vero che lui non lo era. Almeno fino a quel momento. Adesso però qualcosa gli stava succedendo. Il tocco gelido di Federic sul suo petto, le labbra dolci e sensuali a pochi centimetri dalle sue, l'odore di terra bruciata dal sole e la voce calda... non riusciva a pensare. Aveva avuto un'erezione e se ci pensava ce l'aveva anche adesso. Non era normale. Chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro lo schienale della vasca. Una parte di lui avrebbe voluto restare lì per sempre, l'altra avrebbe voluto avere il coraggio di uscire da quella villa e scappare, anche a rischio di venire sepolto dalla tormenta. «Mi stai pensando, vero?» Quella voce lo fece sussultare. Fece per balzare in piedi ma due mani forti si posarono sulle sue spalle nude e lo costrinsero a tornare nell'abbraccio caldo dell'acqua. «Non muoverti» gli ordinò la voce. Era Federic. Non sapeva come, ma aveva sentito che lo chiamava. Il suo corpo rabbrividì di desiderio mentre sentiva le mani muoversi sulle sue spalle in un massaggio sensuale. Sentì il fiato del giovane farsi forte, le sue labbra avvicinarsi al suo collo. Sentì la sua lingua ruvida seguire il percorso della vena giubulare e non gli sfuggì il gemito di piacere mentre lo faceva. «Sei così arrendevole... e irresistibile. Ti stai chiedendo cosa voglio da te, vero? Nulla che tu non voglia, ma non ti nascondo che vorrei prenderti qui, adesso e intrappolarti dentro di me per sempre, mio giovane ospite.» Luc gemette quando le dita del ragazzo scesero lungo il suo torace e, trovati i capezzoli, li strinse con forza fino a fargli male. «Vuoi che ti baci?» Chiese Federic, inginocchiandosi davanti al suo volto. Luc era ipnotizzato. Disse di sì col capo. Avrebbe detto sì a qualunque cosa lui gli avesse chiesto in quel momento. Federic gli catturò la testa e lo attirò contro di sé con imprevista violenza. Le sue labbra avevano uno strano sapore, sapevano di mare ma anche di terra, erano morbide e frementi, colme di una passione trattenuta a fatica. Si abbandonò a quel bacio intenso, eccitato da quella furia. Non riusciva a capire perché non fosse in grado di resistergli, ma pensò che forse non ne aveva voglia. Era bello lasciarsi andare, bello essere in balìa di quello strano, eccitante sconosciuto. Ma proprio mentre era sul punto di arrendersi, ancora una volta Federic sollevò di scatto la testa e si rialzò. Luc aprì gli occhi lentamente, ancora perso nell'estasi di quel contatto. «Cosa...» «Finisci di fare il bagno. Io vedrò di combinare qualcosa per la cena» mormorò Federic. La sua voce aveva perso tutto il calore e la passione di poco prima. Luc cercò di riprendersi. Il vapore e il desiderio gli davano alla testa. «Federic...» «Ti aspetto di sotto. Poi se le linee torneranno a funzionare, potrai avvertire i tuoi amici.» Prima che Luc potesse replicare, il ragazzo lo aveva lasciato da solo. Luc rimase immobile per alcuni istanti, cercando di trovare una spiegazione logica a tutto quello che gli stava accadendo. Non la trovò, e allora sprofondò nell'acqua calda e profumata, chiudendo gli occhi, immaginando ancora le labbra di Federic che cercavano le sue.
Forse perse i sensi in quel bagno, perché quando riaprì gli occhi, Luc si trovò in camera, sdraiato sul letto, sprofondato tra i cuscini morbidi. Riconobbe il suo profumo, prepotente e misterioso. Indossava abiti puliti, ma non ricordava di essere arrivato fin lì, né di averli indossati. Si alzò, forse un po' troppo rapidamente perché si sentì mancare e dovette appoggiarsi al grande letto a baldacchino. Un brivido gli corse lungo la schiena quando ricordò quel che era accaduto in bagno. Si mosse verso l'uscio, lo aprì e si ritrovo nel corridoio appena illuminato. Intravide la scalinata e scese con cautela, temendo che le gambe potessero tradirlo. Arrivò nel soggiorno e sgranò gli occhi per la sorpresa. Il tavolo era apparecchiato e c'era di tutto: carne, verdure, frutta e dolci d'ogni genere. C'era un grande candelabro al centro, tre tipi di bicchieri, posate d'argento, brocche di vino e tutto quello che una persona affamata avrebbe voluto trovare in tavola. Federic gli indicava di sedersi e fece un perfetto inchino per accompagnare il suo invito. Luc gli si avvicinò, scrutò attento i tratti di quel volto: gli zigomi alti, il naso diritto, la bocca carnosa straordinariamente sensuale. E quegli occhi intensi, quasi dorati, che lo fissavano come se volessero strappargli via ogni pensiero. «Siediti, ora. E mangia qualcosa.» Luc deglutì e annuì. Prese posto a tavola e Federic gli si accomodò difronte. Luc iniziò a servirsi, mentre l'altro si limitava ad osservarlo, le mani allacciate sotto il mento, lo sguardo divertito. «Tu... non mangi?» Chiese Luc, mentre tagliava grossi pezzi di carne al sangue. Federic si limitò a far cenno di no col capo, mentre uno strano desiderio gli si faceva largo nello sguardo. Luc era disposto a giurare che non era quella succulenta bistecca a fargli gola. «Parlami dei tuoi amici.» «Mmmhh» Luc finì di masticare un pezzo di pane «sono ex compagni di liceo, per lo più. Molti di loro non li vedo da anni. Abbiamo deciso di passare il capodanno insieme» si voltò, in cerca del grande orologio da parete che aveva visto appeso al suo arrivo. Segnava le tre. Ma quanto diavolo aveva dormito? «Ormai saranno tutti ubriachi» sorrise. «Ti dispiace così tanto?» «Cosa?» «Di non essere stato con loro a festeggiare.» Luc alzò le spalle. «Non molto. A parte Marco, con gli altri non ho un gran rapporto. Li conosco, ma finisce lì.» «Marco è il tuo ragazzo?» vide gli occhi di Federic farsi cupi mentre lo chiedeva. Luc non poté non pensare che fosse geloso. «No, no, guarda che ti sbagli. Io non sono...» «Non sei cosa?» «Non... sono... non mi piacciono i ragazzi» balbettò. «No? Che strano... poco fa, in bagno, non hai dato quest'impressione.» «Beh.. solitamente no.» «Solitamente? Quindi qualcosa, ora, è cambiato» ribatté Federic, con malcelata malizia. Luc arrossì. Continuava a fissare quegli occhi enigmatici, tenendo in mano il coltello, nell'intento di tagliare una fetta di arrosto. E non seppe spiegarsi come, il manico gli scivolò dalla mano e andò a ferire l'altra. Cacciò un grido soffocato, al contempo Federic era balzato in piedi. Se lo ritrovò accanto, mentre gli afferrava la mano con una ferocia inaudita, il volto pallido come un lenzuolo. Prima che potesse protestare, attirò il palmo contro alla sua bocca. Lo osservò mentre si portava la ferita alle labbra, leccava il suo sangue e quindi succhiava dal piccolo taglio. Luc si spaventò, cercò di tirar via la mano, ma Federic gli catturò il polso e lo costrinse a guardarlo negli occhi. «Guardami, Luc» e lui lo guardò. Aveva occhi che sembravano fuoco. Sentì l'odore del sangue e questo lo eccitò oltremisura. «Ti piace quello che vedi?» «Sì» rispose Luc, semplicemente. Federic gli appoggiò le mani sui fianchi. Luc si sentì mancare. Non si pose domande a cui non avrebbe saputo dare risposta, sapeva solo che quell'uomo era l'unico in grado di soddisfare un bisogno, un desiderio che non aveva mai provato prima. Non si oppose quando lo costrinse ad alzarsi e se lo tirò contro, la sua schiena aderiva perfettamente al suo petto caldo, lo lasciò fare mentre gli accarezzava il collo, le spalle e l' eccitazione e il desiderio aumentarono quando lo sentì ansimare forte. «Sei così caldo» gli sussurrò Federic all'orecchio, prima di morderglielo delicatamente. Le sue mani continuavano a giocare col suo petto, poi a stringergli con prepotenza i fianchi, finché non si affrettarono fin sotto la cintura. Luc capì di non poter più andare avanti così. Doveva fare o dire qualcosa altrimenti sarebbe impazzito. Piegò il collo da un lato e sorprese lo stesso Federic quando gridò, in preda al desiderio: «Fallo adesso, ti prego!» Lo sentì chiaramente sussultare a quella richiesta, ma fu subito accontentato. Federic obbedì con un grido soffocato, succhiò con forza la pelle sensibile del collo. Luc si sentì volare, sospeso in bilico sull'orlo di un baratro. Sapeva di poter salire ancora più in alto ma che poi la caduta poteva essere rovinosa e mortale. Ma non gli importava. «Portami con te... adesso! Per favore» Federic s'irrigidì e lo morse. Luc fu investito da una scarica di piacere, il sangue fluì dentro di lui ad incredibile velocità e un grido disumano gli salì in gola. Era estasi quella che sentiva... O forse agonia. Non voleva sapere. Non voleva più svegliarsi. Non voleva più tornare. Il soggiorno attorno a loro era sbiadito, le luci erano soffuse, la vista annebbiata. «Devo lasciarti andare» la voce di Federic gli arrivava da molto lontano. Era ancora avvinghiato a lui, gli succhiava via la linfa vitale ma non gli importava. Gli avrebbe dato la vita in cambio di un solo altro attimo di piacere.
Si svegliò di colpo. I suoi occhi vagarono nell'oscurità, finché la luce inondò la stanza, costringendolo a schermarsi gli occhi. Nella sua testa c'era il vuoto, si sentiva stanco e irrequieto. Immagini confuse gli attraversavano la mente, aveva freddo, fame, la bocca asciutta, quasi avesse attraversato un deserto sotto il sole cocente. «Finalmente ti sei svegliato, ci stavamo preoccupando.» Luc girò lo sguardo. Il volto preoccupato di Lorenzo gli riportò alla mente frammenti di qualcosa vissuto di recente. Forse i suoi occhi, che vagamente gli ricordavano quelli di lui. «Si può sapere cosa ti è successo, dannazione? Ci hai fatto prendere un colpo!» Giorgio, un altro suo amico. Luc era stordito, non riusciva a capire nulla, man mano che i ricordi riaffioravano era consapevole che non sarebbe dovuto essere lì. «Non so di cosa...» «Abbiamo sentito bussare alla porta, abbiamo aperto e tu eri a terra, tra la neve» spiegò Lorenzo. «Con questa tormenta tutti i telefoni sono bloccati, non potevamo neanche chiamare un dottore.» «Dov'è Federic?» Chiese Luc, con un nodo in gola. I due amici si guardarono stupiti, quindi Lorenzo si girò verso di lui. «Chi?» Luc fece un gesto con la mano, come a dire che non aveva importanza. «Ma tu pensa se devo passare capodanno a farti da infermiere... Invece di farmi una sana scopata. C'è un'amica di Giorgio, di sotto, che non aspetta altro» guardò l'orologio. «Dai, tirati su, fra un'ora è mezzanotte, almeno salutiamolo questo anno di merda!» Mezzanotte? Lo lasciarono da solo. Luc aprì la finestra, gli girava la testa. La neve aveva ricoperto la terra, era abbagliante sotto i riflessi della luna. Non era possibile. Quella era stata senza dubbio la notte più pazzesca della sua vita e adesso veniva a sapere che forse era stato solo tutto un sogno. Le sensazioni provate, il brivido caldo che lo aveva avvolto, quello sguardo ammaliante e il piacere si era impossessato di lui quando... Interruppe i suoi pensieri e corse nel bagno. Si guardò allo specchio e ciò che vide lo impressionò. Era bianco come un cadavere, profonde occhiaie gli solcavano il viso. Girò la testa da un lato e osservò attentamente il collo, finché scoprì due fori irregolari, simili al morso di un animale. E di colpo apparve lui, alle sue spalle, riflesso nello specchio. Si girò ed era ancora lì, per lui. Chiuse gli occhi e lo lasciò fare quando gli passò la lingua sul collo e dopo aver sussurrato parole incomprensibili lo morse di nuovo. E tornò nuovamente quel piacere immenso, doloroso eppure inebriante. Vide la morte negli occhi ma non aveva paura e quando il suo freddo abbraccio lo circondò, si senti appagato. Non contava nient'altro.
Quando tornò in sé, in quella notte lunga e piena di emozioni, la finestra era ancora aperta e lontano gli arrivò il suono di una campana. Tre rintocchi, per la precisione. Lugubri. Freddi come schiocchi di dita del diavolo. Aveva braccia e gambe che sembravano pietra, ma ugualmente riuscì a rialzarsi da terra. Si toccò il collo dolorante, sentiva gli occhi pesanti, faticava a camminare. Al piano di sotto dovevano essere parecchio fatti, non si udiva alcun rumore. Cercò di chiamare Lorenzo, Lisa e gli altri suoi amici ma non riusciva a parlare. Aprì la porta. Le luci erano accese. Trovò il primo corpo riverso sulle scale a chiocciola. Una ragazza dai capelli biondi, il viso schiacciato contro il legno color mogano, in una pozza di sangue. L'altro cadavere era in fondo alla scalinata. Era Lorenzo, con gli occhi di fuori e il volto incavato. Aveva due grossi fori sul collo, ben visibili e il petto squarciato. Si portò una mano alla bocca, sconvolto dall'orrore. Gli altri corpi erano nel soggiorno. Tutti morti. A terra, sulle poltrone, esangui. Marco aveva persino ancora il bicchiere in mano e un'espressione di sconcertante beatitudine stampata sul volto. Luc indietreggiò. Un odore forte gli salì nelle narici. L'odore del sangue. Era ovunque, poteva sentirlo addosso, scendere dalle pareti, salire dal pavimento. Lo sentiva in bocca. Dolciastro, caldo, inebriante. Irrinunciabile. Ormai era la sua vita. Si aggirò nella stanza come un fantasma, consumato da emozioni che ora non possedeva più. Si sentiva divorato, trasformato da qualcosa che ancora lavorava dentro di lui, implacabilmente. Nessuna possibilità di ritorno, si avviava perso un'insana follia. Cadde a terra, seduto, ed esplose in una fragorosa risata mentre tutto gli sembrava finalmente chiaro. Era stato cibo per un'immortale, aveva desiderato quello che ora era diventato, la sua vita terrena era conclusa e adesso ecco che gliene veniva offerta un'altra. Ed era meravigliosa, dopotutto. Si alzò. Gettò un ultimo sguardo ai cadaveri, senza tradire alcuna emozione. Pietà, e perché mai? Forse qualcuno ne aveva avuta per lui? Le lacrime svelavano i suoi reali pensieri mentre afferrava l'attizzatoio del camino ormai spento e saliva lentamente le scale. Non era troppo tardi. Non aveva potuto salvare i suoi amici, ma poteva mettere la parola fine a quell'abominio e risparmiare altri innocenti. Non avrebbe più visto Federic, né avrebbe provato mai più quelle meravigliose sensazioni di poche ore fa, ma nulla aveva più importanza. Lo aveva abbandonato lì, non gli serviva più. E senza non poteva vivere. Si ritrovò sul tetto. La tempesta di neve si era calmata, la coltre bianca era ormai ghiacciata sotto di lui. Puntò l'attizzatoio contro il suo cuore, mentre con sguardo fermo e indecifrabile si apprestava all'ultimo volo. E si sentì libero, felice, anche quando la punta di ferro gli trapassò il petto, lasciandolo moribondo sulla neve resa scarlatta dal suo sangue maledetto. E anche allora, non smise mai di sorridere.
Il commissario si sollevò dal corpo semi congelato ancora adagiato sulla neve. Fece cenno agli uomini dell'ambulanza di portarlo via. Che razza di giornata! Due giorni per ritrovare quel gruppo di ragazzi di cui si erano perse le tracce e poi scoprire che erano tutti morti ammazzati. Forse proprio dal loro amico, con cui avrebbero dovuto festeggiare l'ultimo dell'anno. Roba da matti! «Abbiamo caricato tutti i corpi, commissario, possiamo andare.» «Sì sì, questo posto fa impressione. Quelli della scientifica avranno un bel lavoro, stavolta.» «I ragazzi sono stati tutti identificati dalle famiglie, mancava solo uno all'appello, Luca Marelli, abbiamo trovato lo zaino con i documenti tra le rovine di villa Bauer, a tre chilometri da qui.» «Cazzo ci faceva in quel vecchio rudere?» «Non lo so signore» rispose il poliziotto. Il commissario decise che quel giorno ne aveva abbastanza di misteri. Un ragazzo parte per festeggiare il capodanno con gli amici e prima li uccide tutti poi si ammazza gettandosi nel vuoto e trafiggendosi il cuore con un attizzatoio. E in che modo, poi, aveva ucciso i suoi compagni? Probabilmente prima drogandoli tutti e poi dissanguandoli uno ad uno. O almeno così sembrava dai primi rilievi. Da non credere. Si sfregò le mani per il freddo. Era proprio ora di tornare in paese e magari farsi una birra al calduccio. Per dimenticare quell'assurda storia e mettersi nelle mani di Dio. Se esisteva, un Dio.
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