Forum Scrittori e Lettori di Horror Giallo Fantastico

Posts written by shanda06

view post Posted: 3/9/2022, 13:43 Skannatoio Agosto - Settembre 2022 - Lo Skannatoio
Ciao, White Pretorian, te ne sono infinitamente grata.
view post Posted: 19/8/2022, 15:54 Skannatoio Agosto - Settembre 2022 - Lo Skannatoio
MIN 5000 CAR MAX 35000
SPECIFICHE SKANNATOIO SETTEMBRE
NEED (VENDETTA) esempio di Truby
DESIDERE (DIVENTARE LEADER) esempio di Truby
SPECIFICHE FACOLTATIVE: NUOVELLE CUISINE Preparazione di un piatto

CENA DA BRIVIDO
Di Alexandra Fischer


Lily premette il tasto Play e la registrazione partì: la cantina di famiglia con le rastrelliere per i vini bianchi, le mensole che ospitavano i vini rossi, e, in un angolo, le scatole dei nuovi arrivi appariva così vicina da poterla toccare. L’ultima inquadratura riguardava l’angolo degustazione, con vassoio collocato su una botte, sedie ai lati. Lily rivide il padre: in divisa blu, con il taste-vin appeso al collo mentre schioccava la lingua nel degustare il vino prima di versarlo nel bicchiere dell’uomo seduto.
Lily mise in pausa e si rivolse all’uomo accanto a lei: − Come vede, si tratta proprio di Petrino.
− Il noto critico enogastronomico, ma perché?
− Concorrenza, dottor Molteni. Guardi bene l’ingrandimento dell’etichetta della bottiglia.
− È un Porto rosso, ma non ne ho mai sentito parlare.
Lily aggrottò la fronte. − Certo che no, è una nuova produzione, molto ambita in vista del banchetto del 17 aprile. Un omaggio alla fondazione della sede dell’ONAV qui a Rossinia. Immagino vorrà vedere il resto −, mandò avanti la registrazione e rivisse la notte in cui la serie di raffiche l’aveva buttata giù dal letto.
− Impressionante – osservò il Dottor Molteni davanti alla serie di bottiglie di lusso che saltavano in aria come in un tiro a segno.
− Già. Mio padre ne morì. Infarto, ma si vedeva già sul lastrico. Capisce? Io cercai di convincerlo che c’era ancora speranza. Niente da fare. Fu tutto inutile mostrargli le casse che avevo salvato il giorno prima.
Molteni approvò con un cenno del capo: − Bene. Mossa astuta. Posso chiederle da dove le venne?
− Non mi erano piaciute le chiacchiere dei miei a tavola. Mio padre tendeva a vedere solo il lato buono delle persone. Io capii che invece c’erano delle invidie per il ristorante di mia madre. Fu alla cena della settimana scorsa nella sede dell’ONAV. So distinguere le parole dalle espressioni facciali. Molti di quei colleghi di mia madre avrebbero distrutto volentieri le provviste del ristorante se non l’intero locale.
− Perché non lo fecero?
− Mia madre aveva capito con chi aveva a che fare e creò tutta una serie di allarmi, m quelle carogne credono di aver vinto. Un banchetto senza i vini che ricalcano lo spirito dell’ONAV è monco, capisce?
Molteni si aggiustò gli occhiali. – Qui entro in scena io.
− Esatto. Vede, alcuni piatti ricalcano la cucina edoardiana del 1912, altri invece rappresentano l’innovazione. Mia madre diceva sempre di percepire lo spirito degli inventori delle ricette mentre cucinava. E io credo non fosse solo un modo di dire. Fra i cuochi ci furono anche un paio di nostri parenti.
− Non lo metto in dubbio, ma io mi considero un bibliotecario appassionato di vini e buona cucina.
− Sì, ma che riceve visite dall’aldilà. Come spiega i disegni e le lettere eseguiti a porte chiuse? Mia madre ne è ancora impressionata oggi. Quella ricetta di aspic al rum con la panna inventata dal mio prozio era incompleta quando lui morì. La grafia corrisponde e la porta dello studio era chiusa a chiave.
Molteni allargò le braccia. – Lo ignoro persino io e mi chiedo come mai mi abbia chiamato qui.
− Vendetta. Ha visto anche lei nel filmato chi c’era. Petrino è quello con la coscienza più sporca. Posso pagarla.
− Non voglio denaro. Il mio compenso è stato assaggiare il miglior aspic al rum della mia vita. Spero che sua madre, al banchetto replichi lo stesso successo.
− Mi dispiace, dovrò sostituirla io. Ha avuto un crollo psichico, le è rimasto solo il tempo di menzionarla. L’ha definita un amico dei fantasmi.
Molteni sorrise: − In realtà, secondo la parapsicologia, sarei una specie di catalizzatore. Senta, farò quello che posso per aiutarla, ma non le garantisco nulla.
Lily gli strinse la mano: − Alla peggio, basterà la sua presenza a far vergognare quegli individui.
Molteni annuì e si congedò da lei.





Lily preparò il menù avvalendosi dell’aiuto di un paio di stagisti della scuola alberghiera. Uscì dalla cucina dopo essersi assicurata che la preparazione dei piatti andasse per il meglio e stampò il menù a uso degli invitati:

Fettine di maiale freddo alla salsa rubra con spezie
Flan di cardo con salsa alla fonduta valdostana
Consommé di anitra al Porto
Anitra con patate e verdure e riduzione al Porto
Gelato al limone con zenzero
Gamberetti fritti alle nocciole con carciofi
Budino al cioccolato con biscotti e salsa alle fragole

Sorrise di trionfo. I cartoncini azzurri con la scritta per esteso dell’ONAV: Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vinicoli e il taste-vin, che da piccola era il suo giocattolo preferito per via della catenella e del piattino di metallo con le bolle, risaltavano in tutto il loro splendore. La scritta era rossa e bianca, a simboleggiare i vini, il taste-vin metà color argento, metà color oro, a rappresentare il livello di bravura dei degustatori. Suo padre era arrivato all’oro. Lily strinse i pugni all’idea del taste-vin chiuso nella vetrinetta di casa. E ancora più all’idea di sua madre, persa in un mondo tutto suo. Tornò in cucina per il controllo finale per dominare il dolore.


Lily entrò nella sala e diede il benvenuto ai membri dell’ONAV scortandoli al tavolo più grande del locale, una ventina di coperti.
Petrini le tese la mano sbalordito: − Ma, siamo in diciannove. Aspettiamo un altro ospite?
Lily ricambiò la stretta con un sorriso spontaneo: − Non posso anticiparle nulla, si accomodi, intanto.
Petrini si sedette, imitato dagli altri membri dell’ONAV, una decina di persone in tutto. Prese il menù, collocato sul piatto sopra a un tovagliolo. – Idea simpatica, avere un ricordo della serata.
Lily vide con soddisfazione che la fronte gli si era imperlata di sudore alla vista delle bottiglie sul tavolo. Ed era impallidito alla vista del sommelier alle prese con l’apertura e la degustazione della prima bottiglia. Aveva assaggiato il primo sorso versatogli dal sommelier guardando avanti a sé con gli occhi sgranati.
Molteni, seduto accanto a lui, aveva accettato il vino a sua volta con un sorriso, dopodiché lo aveva fatto rigirare in bocca, deglutito, e fatto uno schiocco del palato. – Ottimo, il signor Giovanni sa quel che fa.
− Faceva, vorrà dire?
− No, è seduto di fronte a lei.
Petrini guardò la sedia vuota e fece un cenno di diniego con il capo.
Molteni lo incalzò, mentre gli ospiti chiacchieravano fra loro di produzioni vinicole e di enogastronomia. – Suvvia, è l’occasione giusta di dimenticare il passato.
Petrini lo guardò allibito, mentre il gusto del Porto gli si disfaceva in bocca con una nota amara. Sussultò al tintinnio dei vassoi all’arrivo degli antipasti freddi e notò che di fronte a lui era seduta la proprietaria di un’enoteca con annessa libreria. Cercò con lo sguardo Giovanni Rossello e lo vide alla destra di lei solo dopo diversi tentativi: la vista gli si era appannata. – Che scherzo è questo, Molteni?
− Nessuno. Giovanni sta facendo tutto da solo. Gliel’ho detto, vuole parlarle.
− Io no −. Petrini cominciò a gustare l’antipasto. L’arrivo di Lily lo costrinse a fermarsi a metà. Il sapore deciso della salsa al pomodoro e aceto unito alle spezie divenne per lui come un assaggio d’inferno. Bevve un sorso di Porto. – Signorina Rossello, complimenti. Ottimo inizio.
− Sono felice che le piaccia. Vede, ho preparato tutto con quello che sono riuscita a salvare dalla cantina di mio padre.
Lily si girò all’apertura delle porte della cucina: − Si gusti pure il resto del menù. L’ho preparato apposta per lei.
Petrini gustò il flan di cardo con un certo sollievo: un sapore di verdure morbide e formaggio che lo riportava all’infanzia.
Il consommé invece risuonò come un’accusa e per poco non gli andò di traverso. Rivolse occhiate di vergogna agli altri commensali e ricevette una pacca sulla schiena da Molteni, il quale gli indicò Giovanni: − Non lo faccia stare peggio di così. Vede da lei quanto ci tiene a un buon voto al ristorante.
Petrini si riprese: − Certo, sarà così. Sono curioso di assaggiare le altre portate −, assaggiò l’anitra con cautela, quasi fosse stata avvelenata. Si gettò sul sorbetto con sollievo, come pure sui gamberetti e il dolce. Gli facevano ripensare a lontane estati nelle quali il suo gusto si affinava, ma toccò il bicchiere di Porto sempre meno. A tavolo libero, tirò fuori di borsa il computer portatile e approfittò del wi-fi del ristorante per inviare la recensione alla rivista enogastronomica. Spense l’apparecchiatura quando Lily gli si avvicinò: − Un pasto da dieci.
Lei gli sibilò: − Questo non cancella le bottiglie rotte, la morte di crepacuore di mio padre, seduto di fronte a lei.
Petrini rimase impassibile e tirò fuori lo smartphone, sul quale cominciò a scrivere qualche nota frenetica. Rivolse di nuovo la sua attenzione a lei: − Si ricomponga, l’ONAV ci sta guardando. E io ignoro di quali bottiglie rotte stia parlando −, distolse lo sguardo e Giovanni si alzò dalla sedia e gli sfiorò il petto prima di scomparire.
Molteni fu il primo a chiamare i soccorsi e rimase in ospedale accanto a Petrini. Diede la notizia a Lily poche ore dopo, raggiungendola a casa: − Salvo, ma non potrà più lavorare. Mi sembra una degna vendetta. Le pare?
− Non mia.
− Invece sì. Fu lei a scegliere i piatti, alcuni ispirati all’ultima cena del Titanic.
− Se lo meritava. Io ho la certezza che fu lui a distruggere le bottiglie.
Molteni annuì.
Lily rimase fredda: − Questo non mi ridarà mio padre, né guarirà mia madre, ma almeno, ho salvato il ristorante. Inviò l’articolo in tempo prima di ammalarsi, capisce?
Molteni le sorrise: − Certo. Fu un grande professionista fino all’ultimo. Ma, detto, fra noi, era una grande carogna quando voleva.
− La ringrazio dell’aiuto.
− Non deve, io sono venuto qui come gourmet. Suo padre si è appena alzato dalla sedia ed è orgoglioso di lei.
Lily sentì l’aroma del dopobarba del padre e un lieve spostamento d’aria: vendetta era fatta.
view post Posted: 7/8/2022, 12:06 Skannatoio Agosto - Settembre 2022 - Lo Skannatoio
Ciao, White Pretorian, vedrò cosa posso fare.
view post Posted: 1/8/2022, 17:22 Skannatoio Giugno 2022 - Lo Skannatoio
Ciao, White Pretorian, ti prometto che terrò conto del contrasto narrativo nelle prossime storie e baderò alla forma e alla tecnica, per evitare i problemi che mi hai citato.
view post Posted: 3/7/2022, 15:43 Skannatoio Giugno 2022 - Lo Skannatoio
Ciao, Gargaros, mi sconforta leggere una dichiarazione del genere. Io credo sia un periodo brutto destinato a passare e a farti tornare a scrivere. E' un talento che comunque hai e si imporrà su tutte le difficoltà che puoi avere.
view post Posted: 2/7/2022, 18:34 Skannatoio Giugno 2022 - Lo Skannatoio
E’ un ottimo racconto. Hai migliorato dov’era già valido. La contrapposizione fra l’ansia di Marco e la gelida efficienza dei due medici è resa nei gesti, nelle parole, e nei pensieri. Sì, è una grande prova di narrativa immersiva. L’avvenimento soprannaturale dei numeri sugli occhi del piccolo ora conferisce ulteriore potenza alla narrazione perché è anche unito al gestaccio di lui ed è molto bello il finale con la perplessità dell’infermiera.
Attenzione:
ti riporto la parola corretta:
Si riaccovaccia e allunga indice e medio.
A carico della trama, avrei introdotto da subito il cognome Ferrari di uno dei medici.
Fatte queste modifiche, puoi presentarlo alla prova di idoneità.
view post Posted: 1/7/2022, 15:42 Skannatoio Giugno 2022 - Lo Skannatoio
Ciao, Mikeluzz,
sei stato generoso nel commento. In effetti avrei dovuto specificare tramite un flashback il ricordo della sala da parte della carceriera cieca e farle toccare prima la ragazzina per poi magari commentarne la magrezza. Il resto delle parti che ballano credo sia proprio per via di un punto di vista onnisciente. Sì, avrei potuto provare a rendere a turno quelli della cieca e della ragazza, con i dovuti stacchi, ma sono molto difficili nello spazio di un racconto, tuttavia, non è detto che non li tenterò in avvenire.
view post Posted: 1/7/2022, 15:33 Skannatoio Giugno 2022 - Lo Skannatoio
Buon pomeriggio, ecco il mio commento:

LACRIMA ROSSA di Michele Carlo Calci

La storia è molto ben scritta a partire dall’ammirevole precisione nell’elencare le specifiche, tutte rispettate. C’è tutta l’ansia del padre alle prese con la preoccupazione per la salute del figlio appena nato, contrapposta alla gelida efficienza dei medici. Qui la tensione si avverte eccome, proprio come la calura diffusa nella camera per via del guasto all’aria condizionata comunicato dall’infermiera. Anche il personaggio della moglie de protagonista è reso molto bene. Dalla tenerezza materna si passa al terrore. Le lacrime di sangue sono davvero inquietanti.

Attenzione:
con un’ancata libero lo spazio da quell’incapace.
Frase corretta: con un colpo d’anca libero lo spazio da quell’incapace
A carico della trama: perché non specifichi la parola scritta negli occhi del bambino? Il Lettore rimane con un senso di incompiutezza. Il finale non ne avrebbe risentito affatto.
view post Posted: 1/7/2022, 15:16 Skannatoio Giugno 2022 - Lo Skannatoio
Ciao, White Pretorian, per me va bene.
view post Posted: 10/6/2022, 07:45 Skannatoio Giugno 2022 - Lo Skannatoio
LA STANZA SIGILLATA

Di Alexandra Fischer

Racc. min 5000 car max 35000

Specifiche
Tema scritto con il sangue (scritta o disegno volontari)


Specifiche facoltative

Venuto al mondo (nascita vera e propria)

Sennò, dov’è il bello? (il sangue deve essere umano)

Il ritorno (un elemento, luogo, personaggio o frase di inizio storia deve tornare nel finale)


La donna portava una tunica grigia con una cintura alla quale era appeso un grimaldello. Si fermò di scatto di fronte alla colonna di legno bianco ornata a motivi di pesci azzurri. «Esci subito di lì.»
Una figuretta esile le obbedì: indossava una tuta piena di tasche ricamate e teneva le mani dietro la schiena.
La donna più anziana si girò verso di lei e annusò nella sua direzione: «Non credere che solo perché sono cieca non sia in grado di trovare gli intrusi.»
La ragazzina dominò la paura di quegli occhi dalle pupille bianche fissi nei suoi; strinse il coltello, fece un respiro e le spiegò: «Io non lo sono. Mi trovo qui per entrare nella Stanza Sigillata.»
La donna rise a gola spiegata, tirando indietro la testa: «Sapessi in quante ci hanno provato prima di te. Io sono una delle fortunate a essermela cavata.»
La ragazzina ribatté: «Non so i motivi delle altre, ma io devo riportare il suo occupante al mio villaggio. Stanno succedendo guai a non finire. Abbiamo perso l’ultimo raccolto e ci restano le sementi per l’anno prossimo. Il bestiame è fuggito e la gente ha cominciato a uccidersi a vicenda. Sono stata costretta a fuggire dopo aver origliato una discussione fra i miei genitori e i miei fratelli. Mi hanno chiamata mostro alato e volevano uccidermi. Così sono passata dall’Oracolo ed eccomi qui.»
La donna sibilò: «Ho vissuto qualcosa del genere prima di te. Si chiama Alito di Follia, ma questo non prova il fatto che potresti mentire».
Nandèra si indignò: «Che motivo avrei?»
La donna usò un tono triste: «Tenere per te il potere racchiuso nella Stanza Sigillata, è una tentazione che ho avuto anch’io.»
Nandèra ricorse all’autocontrollo: «Io voglio servire il villaggio. Passo la maggior parte del tempo con l’Oracolo, anche se ricevo offerte e visite da parenti e amici. No, ricevevo.»
La donna mugugnò soddisfatta: «Questo lo sa solo la Fanciulla dell’Oracolo. Avvicinati.»
La donna le tastò i capelli raccolti in una treccia, la tuta ricamata: «Uhm, è la moda di Vyvernio, da dove vengo pure io.»
La ragazzina le domandò: «E allora perché siete vestita così, Madre Soave? Come mai avete una cuffia che vi aderisce alla testa?»
La donna ritirò le mani e rise ancora più forte scoprendo una fila rada di denti ingialliti: «Addirittura le espressioni di cortesia. Ma chiamami pure Hàzula», si lisciò la veste. «Quanto a questo vestito, beh, fa parte del mio incarico, ma non ho avuto modo di vederlo. Tu come ti chiami?»
La ragazzina esitò: «Non posso dirlo», sentiva il sangue martellarle le tempie al ricordo delle istruzioni dell’Oracolo del villaggio. Un vento gelido si era levato dalla statua di metallo crepata in più punti e uno spirito ne era uscito fuori, identico alla statua.
Nandèra, molti vorranno sapere chi sei, ma tu devi tacerlo, altrimenti l’Alito della Follia ti seguirà.
Hàzula le sussurrò: «Ah, le credenze di Vyvernio. Mai dire il proprio nome a chi ha visto gli spiriti, o gli dèi. D’accordo, allora per me sarai la Piccola. Avanti, ti porto davanti alla Stanza Sigillata e poi dovrai cavartela da te.» Le fece cenno di seguirla lungo una fila di porte chiuse fatte di lastre trasparenti. Nandèra le osservò con la coda dell’occhio: c’era una sfilza di guerrieri dalle armature di metallo rosso congelati in gesti di combattimento, una spada sollevata, una fromboliera rimasta a mezz’aria, una freccia incoccata che non avrebbe mai raggiunto il bersaglio. I volti contratti nello spasmo e coperti di sudore le fecero escludere l’ipotesi di statue e la presenza di serrature nelle porte glielo confermò.
Hazùla si accorse della sua curiosità: «Ebbene sì. Faccio la carceriera di questi guerrieri. Sono finiti così per colpa mia. Tentai di farsi aiutare da loro per forzare la porta. La casta sacerdotale ci fece punire come vedi», il volto si contrasse nell’espressione di chi si ricorda di colpo di una questione urgente. «A proposito, non ti ha fermata alcun sacerdote, vero?»
Nandèra ricordò la propria entrata nella costruzione ad arco, la corsa precipitosa lungo gli scalini di basalto e le molte stanze aperte, dalle porte di legno profumato. C’erano uomini e donne seduti a occhi chiusi su cuscini posti nel mezzo di stanze arredate con tavolini e incensieri. Lei stessa era rimasta stordita da quegli effluvi ma era proseguita tastoni lungo le stanze affrescate con il motivo dell’Oracolo: un bambino dalla testa rasata, la carnagione azzurra e gli occhi bianchi vestito con una tunica dalle maniche larghe decorata con un pesce blu scuro dalle ali di farfalla. Pareva correre lungo le pareti e incoraggiarla a proseguire.
Hàzula la riprese: «Ho capito, vuoi nascondermi qualcosa.»
Nandèra si affrettò a replicare: «No, ho visto il corpo sacerdotale immerso nella meditazione.»
Hàzula si fregò le mani. «Meno male. Vuol dire che il tuo arrivo è servito a qualcosa. Li hai fermati prima che la follia dilagasse presso di loro.»
Nandèra la guardò incuriosita: «Come? Io non ho poteri.»
Hàzula annuì: «L’innocenza lo è. Eccoci arrivate.»
Nandèra si avvicinò alla porta di legno blu rivestita di mattonelle bianche decorate a motivi di farfalle dalle ali cristalline e i corpi squamosi. Notò che solo una mattonella era rimasta bianca e si trovava là dove ci sarebbe dovuta essere la serratura. Un odore di selvatico filtrava dalla porta seguito da una serie di pianti. Esitò.
Hàzula le diede uno spintone. «Avanti. Fai quello che devi. Quella porta non si aprirà da sola.»
Nandèra la sentì allontanarsi con un tintinnio di grimaldelli ma rimase impassibile. La prova riguardava solo lei: tirò fuori il coltello e si tagliò il palmo sinistro, lo appoggiò alla mattonella, che lo assorbì dopo che lei ebbe scritto il proprio nome.
La parete scorse via e Nandèra entrò nella Stanza Sigillata orientandosi grazie alla luce proveniente da una finestra circolare nel soffitto. La trovò simile a quella lasciata nel villaggio: pareti rivestite di legno marrone scuro, una predella, un tavolino sul quale era disteso l’Oracolo bambino, solo che in questo caso si trattava di una creatura in carne e ossa, proprio come l’animale che ornava il petto della statua.
La creatura aveva la bocca sporca di sangue e una luce gelida negli occhi. Volò verso di lei.
Nandèra si girò verso il riquadro della stanza, rimpiangendo di essere sola. Aveva svolto tutto secondo le istruzioni incise sulle lastre del pavimento della Casa dell’Oracolo. Si girò di scatto quando si sentì sfiorare la testa dalle ali gelide di farfalla. Il pesce le si parò di fronte agitando le ali grandi come la mano di un uomo e avevano movimenti ipnotici. Nandèra abbassò lo sguardo e vide comparire sul pavimento le stesse lastre del villaggio con le istruzioni. Sentì un rumore di passi alle sue spalle, ma non osò voltarsi. Lo fece solo quando una mano la indusse a farlo. Si ritrovò a fissare il volto olivastro e gli occhi dorati dell’Oracolo bambino, il quale le sorrise: «Grazie per avermi aiutato a nascere.» Aveva una chioma biondo platino fermata da uno spillone di metallo nero ornato da un minuscolo pesce ad ali spiegate.
Nandèra ripensò alle ultime lastre sulle quali aveva meditato. La illuminarono sull’accaduto: era nato un nuovo Oracolo perché quello vecchio si era indebolito.
Nandèra piegò la schiena per omaggiarlo e vide la creatura pesce volargli in circolo intorno alla testa.
Distolse lo sguardo.
L’Oracolo bambino se ne accorse: «Apprezzo il tuo rispetto. Posso dirti che di qui in avanti ci sarà un’epoca di benessere grazie a te. Torna al villaggio e ti io aspetterò. Certo, non con questo aspetto», le toccò il palmo ferito. Nandèra sentì la ferita rimarginarsi e quando lui ritirò la mano si guardò il palmo, tornato integro.
L’Oracolo bambino le tese la mano: «Il coltello.»
Lei glielo consegnò, lui si sfilò lo spillone dal capo e lasciò ricadere i capelli.
Nandèra lo prese.
L’Oracolo bambino le indicò la porta: «Ora va.»
La ragazzina uscì e udì la parete richiudersi dietro di lei. Si mise lo spillone fra i capelli e corse nel corridoio e sentì la voce di Hàzula, più giovanile. «Ci vedo.»
Corse verso di lei e la vide, sempre in grembiule ma senza più il grimaldello. Hàzula l’abbracciò: «Ce l’hai fatta.»
Nandèra sentì le porte aprirsi e i passi dei guerrieri che si allontanavano ridendo lungo il corridoio dalle pareti ornate con la nuova effigie dell’Oracolo bambino.
Hàzula la prese per mano e la condusse al cospetto dei sacerdoti assiepatisi intorno all’uscita del palazzo. Il più anziano di loro le sorrise e la toccò in fronte.
Nandèra si risvegliò nel tempio di Vyvernio sotto il sorriso della statua intatta dell’Oracolo bambino.
view post Posted: 8/6/2022, 15:42 Skannatoio Giugno 2022 - Lo Skannatoio
Ciao, White Pretorian, vedrò cosa posso fare. Bellissime le specifiche.
view post Posted: 1/5/2022, 15:18 Skannatoio Aprile - Maggio 2022 - Lo Skannatoio
Pardon, White Pretorian sarà per la prossima volta.
Gargaros, non c'è nulla di drammatico. Spero di migliorare nei prossimi testi. Ohibò.
view post Posted: 18/2/2022, 18:33 Skannatoio Novembre - Dicembre 2021 - Lo Skannatoio
Ciao, White Pretorian, vedrò di aggiustare le cose. Nuovo anno, nuovi propositi.
view post Posted: 6/2/2022, 10:59 Skannatoio Gennaio-Febbraio 2022 - Lo Skannatoio
SPECIFICHE FACOLTATIVE:
I DONI DEI MAGI (protagonista che riceve regalo inaspettato che influenzerà il corso della storia)
STRAGE DEGLI INNOCENTI (nel racconto un innocente dovrà soffrire)
Ho scelto entrambe le specifiche

Lunghezza minima: 5000 caratteri, massima 35.000

No.
L’eco della parola ruggita era chiaro nella notte punteggiata di stelle, e il giovane si risvegliò, vedendo davanti a sé la creatura che le aveva pronunciate: un demone dal corpo umano ma dalla testa di cinghiale e dalla borsa trasparente piena di stelle dorate e argentee che spargeva verso il cielo con gli stessi gesti di un contadino con la semina. Il giovane notò che le stelle attecchivano nel cielo, sbocciavano come fontane d’oro e d’argento, spargevano profumi di cannella e menta che ritempravano il suo spirito.
Il demone cinghiale si volse verso il giovane rannicchiato in un angolo del pavimento: «Su, Arminio, basta con quello sguardo impaurito, ora non avrai di che annoiarti.»
Arminio indietreggiò e, disorientato dal proprio riflesso sul pavimento a specchio, andò a sbattere contro una scatola di cartone dalla quale salì un rumore di metallo; la vide con la coda dell’occhio e saltò all’indietro, come se avesse sfiorato una vipera.
Il demone rise: «Io non farei così davanti a un regalo tutto per me. Aprilo.»
Arminio riconobbe il disegno della città antica di Norimberga, con il palazzo dell’imperatore, le case che lo circondavano, i laboratori dei giocattolai e degli incisori vissuti nel cinquecento; pensò al fratellino Marcus: «Vorrei tornare a casa e condividerlo con Marcus. Riportami da lui.»
Il demone gli indicò il pavimento dalle piastrelle azzurre ornate comete multicolori, la grande arcata priva di soffitto dove lui disseminava le stelle. «Ti pare che ci sia posto per un mocciosetto come lui? No, io ti ho scelto come modello per la mia opera, e ora poserai senza tante storie.»
Arminio grattò via il nastro adesivo della scatola e vi trovò vino alla fragola, cioccolatini ripieni alla crema di latte e fondenti rivestiti di un foglio d’oro commestibile, oltre che di pasta da spalmare al salmone affumicato e pane alla zucca. «Tu mi hai fatto questi doni per convincermi a restare?»
Il demone guardò la scatola: «No, non io». Soffiò dalle narici. «Chiunque sia, però, ti chiederà un prezzo in cambio. Posa la scatola e resta seduto.»
Arminio protestò: «Ti vedo spargere stelle fuori dalla porta, ma ti mancano pennelli e matite, come mi ritrarrai?»
Il demone cinghiale ridacchiò: «Ovunque io voglia. Tu sarai la prossima costellazione nel cielo e anche un ornamento del mio laboratorio.» Gli indicò la parete accanto a sé: «Ora è nera.» Mise la mano nella bisaccia e sparse alcune stelle, le quali si disposero nel creare i contorni di una figura umana.
Arminio si ribellò: «Perché io? Non ti ho chiesto di venire qui.»
Il demone cinghiale prese un rotolo di stoffa e glielo mostrò: due guerrieri dagli elmi e le armature d’oro camminavano sotto un cielo stellato, il più forte sorreggeva il più debole ed entrambi avevano armi e corazze macchiate di sangue: «Ecco cosa è successo nella tua vita precedente. Moristi per colpa di tuo fratello. Comandava il vostro esercito e diede un ordine sbagliato.»
Il demone cinghiale ritirò il rotolo di stoffa e gli mostrò la foto di un demone uguale a lui intento a raccogliere scintille sotto un cielo stellato: «Sono io, eh già, noi demoni siamo più longevi di voi umani. Vi seguiamo nelle vostre reincarnazioni. Questo sono io mentre permetto a tua bisnonna di vincere il premio per il miglior portacenere. Fu nel 1924, lo chiamarono il Respiro della Notte.»
Arminio guardò la foto in bianco e nero del demone, mentre soffiava stelle in una scodella, e ripensò al posacenere blu, dalle bolle bianche identiche alle stelle di un cielo invernale e al muso di cinghiale che accompagnava lo svolazzo della firma della bisnonna nell’ingiallito biglietto accompagnatorio. Si vergognò del suo stesso desiderio di fare parte di quel mondo.
Tutti quei ricordi lo fecero stare male, soprattutto alla luce della morte della bisnonna, avvenuta all’età di cinquantaquattro anni: «Vuoi dire che ogni cosa ha un prezzo in termini di longevità?»
Il demone cinghiale ridacchiò: «Proprio così. Resta fermo sul pavimento. Ora ti farò il secondo ritratto. Non sia mai che manco di crearmi una copia per la bottega.» Prese una lastra di vetro e cominciò a disseminarla con le stesse stelle usate per la costellazione.
Arminio sentì il freddo del pavimento, sete e fame lo morsero: «Lasciami tornare indietro. Io non posso vivere qui.»
Il demone cinghiale lanciò manciate di polvere di stelle senza girarsi: «Hai i cioccolatini. Il cibo salato, il vino. Usali.»
Arminio aprì la scatola verde e aspirò il profumo di cioccolato, alcool, pane fresco e carne: «Dovrò pagare in anni di vita, immagino.»
Il demone cinghiale rise: «No, ma cosa vai a pensare? Semmai, potrai rifarti dei dispetti di tuo fratello Marcus. Con la scusa che è il minore, ti ha reso la vita un inferno.»
Arminio fece un balzo all’indietro come se la scatola fosse stata un coccodrillo.
Il demone cinghiale si sedette accanto alla scatola e la controllò: «C’è mancato poco che l’ammaccassi, e sarebbe stato un vero peccato. Vedi, ogni cioccolatino che mangerai, ogni porzione di crema salata che ti spalmerai sul pane, per non parlare dei sorsi di vino, saranno un piacere in più unito a quello della vendetta.»
Arminio scoccò un’occhiata severa al demone cinghiale: «Insomma, io mi godrò queste delizie e mio fratello soffrirà.» Si trascinò carponi verso la scatola, ne chiuse il coperchio. Alzò lo sguardo per osservare le reazioni del demone cinghiale, ma questi si era messo a spargere stelle sulla lastra.
Arminio tornò strisciando al suo posto, ma sbottò: «Allora poserò e resterò digiuno.»
Il demone cinghiale si girò verso di lui e rise: «Vedremo. Posare costa sforzo.»
Arminio si aggrappò alla scatola: «Come possono un cioccolatino, una tartina, un sorso di vino, far soffrire mio fratello?»
Il demone cinghiale sbuffò: «Ogni volta che ne assaggerai qualcuno, gli farai pagare certi vecchi torti.»
Arminio protestò: «Solo perché in una vita precedente mi fece morire in guerra?»
Il demone cinghiale sparse altre stelle sulla lastra di vetro: «Veramente, è per difenderti da quello che potrebbe combinarti nella prossima.»
Arminio sentì il pavimento freddo, il profumo del cibo e del vino, il vento gelido che proveniva dalle arcate, vide la costellazione creata dal demone muoversi in un vortice di stelle ancora instabile: «Non mi dirai che sono in vita. Dai.»
Il demone cinghiale sghignazzò: «Certo, altrimenti, come mai ti vorrei in salute a scapito di Marcus?»
Arminio digrignò i denti: «Come sai tante cose di me e su di lui?»
Il demone cinghiale usò un tono annoiato: «Resta fermo o mi rovinerai la posa. Ecco, così. Bravo. Lo so perché hai toccato il posacenere e visto la foto.»
Arminio distolse lo sguardo dal pane, dalle creme salate e dal vino alla ciliegia, malgrado i brontolii allo stomaco e il freddo che entrava dall’edificio privo di una porta. Si guardò intorno: il tetto di cristallo bianco, le pareti nere, il pavimento a specchio, il riquadro che dava sul cielo pieno di stelle vorticanti: possibile che non ci fosse una via di fuga?
Il demone cinghiale pestò uno zoccolo: «Più fermo, ho detto. Piuttosto, fai una pausa per rifocillarti.»
Arminio si irrigidì. «Dove siamo? Nel mondo del posacenere di mia bisnonna?»
Il demone cinghiale sistemò le stelle con l’agilità di dita da orafo: «No, quello creato da lei è una porta nella quale sei entrato.»
Arminio tirò indietro lo stomaco. «E come?»
Il demone sistemò l’ultima stella, rimase immobile per lunghi istanti di fronte alla figura luminosa, grugnì e si volse verso Arminio: «L’odio verso se stessi è una chiave potente per mondi come questo.»
Arminio digrignò i denti, si strinse nei vestiti, provato dalla corrente gelida. «Io non odio me stesso.»
Il demone cinghiale ridacchiò: «Oh, sì. Hai capito di valere meno di tuo fratello Marcus agli occhi dei tuoi genitori, tutte le loro lodi rivolte a te sono ipocrite. Pensaci bene: a cosa servono la pazienza e la lealtà? Fu lo stesso anche per tua bisnonna con tua prozia.»
Arminio si irrigidì nella posa seduta, alzò il mento, ma il profumo che proveniva dalla scatola di cioccolatini lo distrasse.
Il demone cinghiale sparse qualche altra stella, aggiustò i contorni della figura e si voltò verso di lui. «Avanti, serviti pure. Un po’ di cioccolato non assassinerà tuo fratello.»
Arminio, con le mani che gli tremavano, prese un cioccolatino bianco, con un motivo di fiori dai petali rossi: il ripieno di crema al latte e liquore di lamponi gli fece dimenticare il freddo e per un attimo si sentì a casa, all’epoca delle feste. Rimpianse la sua stanza piena di aeroplanini costruiti con ogni cura. Si chiese cosa ne fosse delle riviste di modellismo, delle vernici, dei pezzi da assemblare, delle vernici e delle colle. La sua mente li vedeva con un’acutezza che non si sarebbe mai aspettato. E notò anche il particolare della mano di suo fratello Marcus su uno Stukas, ridotto in pezzi. Mangiò il cioccolatino bianco decorato con la ciliegia e il kirsch del ripieno gli scese per la gola con un piacere inebriante: vide il fratello portarsi la mano alla guancia subito dopo l’episodio dello Stukas e subito dopo gli comparve davanti il fratello mentre si dibatteva sulla poltrona del dentista.
Arminio si spalmò una tartina di fegato di cervo, si versò del vino di fragole; il demone cinghiale sogghignò: «Vedo che ci hai preso gusto.»
Arminio gustò il pasto e ripensò alla ricerca di botanica che aveva stampato dal computer e alla sua sorpresa nel vederla ricoperta di scarabocchi fatti con i pastelli: a poca distanza, Marcus lo guardava con un’espressione estasiata e le mani sporche di colore. Arminio aveva deglutito, lottato contro l’impulso di prendere a ceffoni il fratello, il quale gli aveva sussurrato: «Ho anche messo il giardino di casa, contento?» Arminio si era dato la colpa di aver dimenticato di chiudere a chiave la porta della propria stanza, ma fu ben contento di sentire gridare Marcus quando si era chiuso il dito in mezzo e aveva gridato per via dell’unghia rotta dell’indice.
Arminio assaggiò la crema al salmone accompagnata dal vino al mirtillo nero e ricordò quando Marcus aveva usato con Betti il nome di Beate. E la caduta di lui dalle scale di legno coperte di cera, seguita dalla frattura scomposta al braccio destro. Lui ne era rimasto contento: per colpa di lui aveva perso due ragazze, ma a lui non sarebbe mai tornata l’efficienza dal braccio con il quale aveva compiuto la maggior parte delle azioni quotidiane. Sorrise.
Il demone cinghiale lo imitò. «So chi sei, il degno erede di tua bisnonna, così fine, superiore alla sorella minore. Ti leggo nella mente a ogni boccone e sorsata. Tu odi tuo fratello, beh, sappi che ogni sua sofferenza è vera, ma per colpa sua.»
Arminio posò scatola e bottiglia, le mani gli tremavano: «Io non voglio il suo male, anche se certo, rivelare una piccola avventura alla mia ragazza non mi ha fatto bene, per tacere del resto.» Rivolse al demone cinghiale uno sguardo disperato: «Dopo la posa tornerò da Marcus e dai miei?»
Il demone cinghiale gli indicò l’apertura nel muro: «Fallo.»
Arminio provò a fare qualche passo, ma una serie di raffiche di vento gelido lo sospinsero indietro, e il vorticare di stelle lo fece svenire.
Il demone cinghiale uscì dall’edificio, si caricò in spalla Arminio, lo depose con delicatezza davanti alla scatola.
Arminio riprese i sensi, vide il demone cinghiale chino su di lui gli urlò contro: «Mi hai intrappolato.»
Il demone cinghiale si massaggiò le orecchie: «No, no. Sei tu che non riesci a trovare la via d’uscita. Per me, avremmo anche finito con la posa.»
Arminio guardò la scatola aperta, ancora piena di vini, scatole di dolci, vasi di creme salate, pane ai semi di zucca. «Credevo che ci fossero meno provviste.»
Il demone cinghiale si batté una manata sulla fronte: «Eh, già. Questo è strano. Vuol dire che una parte di te vuole rimanere qui.»
Arminio uscì dall’apertura e si sforzò di resistere al vento, al turbinio di stelle, ma una folata più violenta delle altre lo trascinò fra le stelle.
Il demone cinghiale uscì e vide una costellazione a forma di chiave; fischiò di stupore.
Rientrò nell’edificio e mormorò fra sé: «Accidenti a lui, ha trovato il modo di squagliarsela, però non a casa. Quel fratello deve essere davvero diabolico.»
Prese la scatola, la chiuse, la portò fuori, dove il vento la trascinò via, lungo la nuova costellazione. Il demone cinghiale rientrò nell’edificio, guardò le stelle sulla lastra di vetro: «Perlomeno non è venuto malaccio.»
view post Posted: 22/1/2022, 20:36 Skannatoio Gennaio-Febbraio 2022 - Lo Skannatoio
Ciao, White Pretorian, posso provare a mettere giù qualcosa. Speriamo in bene.
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